Pubblichiamo per intero il discorso che l’editore di questo blog, il dottore Franco Busalacchi, ha tenuto al convegno promosso a Palermo dalla Lega Nord alla presenza del suo segretario nazionale, Matteo Salvini
Nella mitologia greca Encelado è uno dei giganti figlio di Gea (la terra). Con gli altri giganti, Encelado partecipò alla cosiddetta gigantomachia, la battaglia tra i giganti e gli dei dell’Olimpo. Durante la battaglia Encelado tentò di fuggire, ma la dea Atena lo sotterrò gettandogli sopra l’isola di Sicilia, luogo dal quale, come ci ricorda Apollodoro, non si può più fuggire; il mito narra che l’attività vulcanica dell’Etna sia originata dal respiro infuocato di Encelado, mentre i tremori della terra durante i terremoti, dal suo rotolarsi sotto la montagna a causa delle ferite.
Ho raccontato il mito solo per amore di precisione: se c’è ancora qualcuno che si raccomanda all’Etna per risolvere la questione siciliana può rivolgersi direttamente al titolare.
Ma io voglio credere che i tempi sono cambiati.
Una forza demoniaca sotterranea, carsica, percorre il sottosuolo dell’isola, dal Passero al Peloro, “della bella Sicilia che caliga non per Tifeo, ma per nascente zolfo”, come canta Dante. Una bellezza straziante, pagata caro prezzo, mito, madre di miti, palmizio venerato.
E’ questa forse l’identità siciliana? Magari! Le cose sono molto più complicate, un intrico, un viluppo che ci rimanda ai simboli contorti e ritorti della nostra terra, l’ulivo, il dono di Atena all’umanità, o la vite, consacrata a Dioniso. Intrecci indissolubili che nessuno ha mai avuto la pazienza e la curiosità di districare e che ha preferito recidere, perdendo però la sua pace.
Un paradiso abitato da diavoli, ci definì Croce.
E’ questa forse l’identità siciliana?
Siete a Palermo, nella mia città, e state percorrendo una strada di periferia, su uno stretto marciapiede. Davanti a voi, su quel marciapiede, a distanza di circa 10 metri, stanno tre ragazzotti che chiacchierano. Uno è appoggiato con indolenza al muro di una casa, un altro è appena sotto il marciapiede, il terzo è proprio di fronte a voi, vi sta osservando. Siete arrivato davanti a loro, vi accostate e chiedete gentilmente di potere passare. I tre ragazzi si scostano e vi dicono: “Prego, si accomodi”.
Rifacciamo la stessa scena, con gli stessi personaggi, ma modificando leggermente il copione. Vi avvicinate con fare spocchioso e dite: “Devo passare”. Non finirà bene. A gentilezza rispondiamo con gentilezza, all’arroganza con la violenza. Come tutti gli esseri viventi e senzienti, abbiamo una testa e una coda; se ci prendono per la testa siamo gentili e rispettosi, se ci prendono per la coda reagiamo, anche di brutto.
Chiunque venga in Sicilia, fosse per il più nobile degli intenti e il più onorevole degli scopi, non deve mai dimenticare questa verità.
E’ questa l’identità siciliana? Magari fosse solo questo. Angosciata e angosciosa centralità, in una pianura liquida, il Mediterraneo, il nostro padre; porto solare, isola remota ad occidente, qui si celebra l’età dell’oro, l’età di Demetra, signora della messi. E che altro è quell’eterno, biondo splendore, se non il dono della dea, il grano che matura al sole, secondo natura, sotto gli occhi compiaciuti degli dei? Aurea prima sata est aetas , canta Ovidio. La prima età fu quella dell’oro, l’età di Demetra e Kore.
“Hanno ammazzato a cumpari Turiddu!!”. Non “compare Alfio ha ucciso cumpari Turiddu”. Hanno. Omertà? Forse, ma non solo.
Nell’impersonale, la morte prende possesso della vita senza presentare il conto.”Hanno”. Morire è facile in questa terra; a volte invece non si muore mai. “Sugnu muortu e ancora è muoriri”, si legge sulla parete di una prigione dell’Inquisizione spagnola in Sicilia.
E’ questa l’identità siciliana? Magari! “La terra a chi la lavora”, estrema declinazione di un “movimento caotico, tumultuoso e punteggiato di ferocia dei contadini per impadronirsi della terra”, come ci ricorda Gramsci, un isolano anche lui. E chi ci promette libertà ha gioco facile, perché per secoli, per la maggioranza dei siciliani, che erano contadini, la libertà si è identificata con il possesso della terra.
E’ questa l’identità siciliana? Magari fosse solo questo. Mille anni di feudalesimo, mille anni di prevaricazione, di giustizia denegata, di sprechi, di lusso e miseria, di sfarzo e sporcizia. Palazzi bellissimi, raffinata cultura, pagata a lacrime e sangue. Il contadino che si rompe la schiena, il picconiere che cava lo zolfo e il caruso che lo porta in superficie mantengono per un salario di pochi centesimi una schiera infinita di parassiti e sfruttatori, dal gabelloto al nobile che nemmeno sa dove sono le sue terre e le sue miniere.
E che altro chiede per essere felice Ciaula, il piccolo Ciaula, il protagonista della novella di Pirandello, se non di riposare qualche minuto in più?
E’ questa l’identità siciliana? Io non lo so, ma una cosa la so. Noi siamo gente acuta e sospettosa, come ci descrive Cicerone, l’unico non siciliano che ci abbia difeso, denunciando la rapacità di un governatore romano della Sicilia, Verre. Siamo impegnativi, dice la cantantessa Carmen Consoli.
Difficili da capire: gli uomini e le donne dell’alta Italia non sono mai riusciti a spiegarsi come mai la Sicilia, dopo essere stata liberata da una monarchia reazionaria e assolutista, non fosse progredita; si sono persuasi quindi che le cause del nostro sottosviluppo non sono esterne, da ricercarsi nella condizioni economiche politiche obbiettive, ma interne, innate nella popolazione.
Non rimaneva dunque che una spiegazione: l’incapacità organica dei siciliani e di tutto il Sud, la loro barbarie, trovano una naturale spiegazione nella loro inferiorità biologica.
Nacquero così le teorie di “scienziati” miserabili, come Lombroso, Niceforo, Sergi, Ferri, Orano e tanti altri, sul modello collaudato nelle conquiste coloniali nel nuovo mondo, in cui i massacri dei nativi venivano giustificati dai gesuiti con la circostanza che quei poveretti non avevano anima.
Eppure tutto cambia se si comprende che l’unità è avvenuta non su una base di uguaglianza, ma come conquista militare ed egemonica del Piemonte sul Mezzogiorno e la Sicilia, e che da allora il Nord si è sempre comportato come una piovra che si arricchisce a spese del Sud e che il suo incremento economico industriale era ed è in un rapporto diretto coll’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridione.
L’unità non si costituì tra eguali. Aveva ragione Metternich quando affermava che l’Italia era un’espressione geografica. Ce lo hanno fatto intendere come disprezzo e ci hanno insegnato a odiare Metternich, così come, mentre in tanti costruivano il romanzo storico chiamato risorgimento, ci hanno insegnato ad odiare gli austriaci.
Metternich era un statista di intelligenza superiore e il significato della sua frase è un altro. Non è unificandone il territorio che si può fare dell’Italia una nazione, ma unendone i vari e diversi popoli in una unione che rispetti le diversità e le specificità di ognuna sua componente.
Metternich ci indicava una via: quella che seguirono nella loro elaborazione politica e costituzionale Cattaneo e gli altri federalisti.
Cattaneo era uno spiritaccio acuto e ironico e discutendo a tavola davanti a un pollo arrosto con alcuni sostenitori dell’unità che dicevano di non potere mandare giù l’Italia federale rispose che neanche il pollo intero si può mandare giù.
A quale Italia pensava? Ad una “non Italia” parte viva di una “non Europa”, un’Italia di eguali, rispettosa della memoria e delle diversità delle sue componenti e della loro scelte, dentro un’Europa di eguali, sollecita del bene comune, che si ponesse al servizio delle persone e non diventasse serva dei mercati.
Del resto, anche la Lombardia venne annessa al Piemonte recalcitrando. Essa era più ricca, più avanzata, meglio governata.
Per capire meglio le cose di quel tempo ricorderò una storiella sulle votazioni per l’annessione della Lombardia al Piemonte.
Lo Spirito folletto, periodico satirico di Milano, pubblicò in quei giorni una vignetta in cui una donna chiede al marito: (il grande Carlo Porta mi perdoni!):
«Gastu, dito sì o no?».
Risposta del marito:
«Cossa gogìo da saver mi? … i m’ha dà un pezetin de carta scrito, e oto soldi; go butà la carta nel buso e i bezi in scarsela … e servitor patroni».
Noi siciliani ce le beviamo tutte, tranne l’ultima. Ci siamo bevuti Garibaldi, Mussolini, De Gasperi e tanti altri. Abbiamo persino creduto che un lumbard milionario, forse anche un po’ “bauscia”, potesse fare per noi quello che nessun altro aveva fatto; gli abbiamo consegnato l’Isola con un consenso plebiscitario. Siamo stati plebiscitariamente delusi ancora una volta: dal 61 a 0 abbiamo ricavato solo lo 0.
E’ stato poi il tempo dei nipotini del PCI, anche loro generatori di ascari, di servi e di miseria. Oggi il nostro impegno di autonomisti e di indipendentisti è quello di scongiurare l’ultima e più pericolosa deriva, quella dei comici che vanno al potere carpendo la buona fede di tanti giovani e di tante persone serie.
Tutti quelli che, senza tatticismi e senza secondi fini riconosceranno la giustezza della nostra posizione, la doverosità della nostra battaglia e si schiereranno al nostro fianco sono i benvenuti.
E’ tempo di rimescolamento di carte e di riposizionamenti per garantirsi la propria sopravvivenza politica. Ne vedremo delle belle. Cambi di casa e di casacca, valzer, pentimenti, folgorazioni, illuminazioni, e Moulin Rouge. Non dobbiamo avere paura se sapremo distinguere tra la giravolta tattica e pelosa e l’autentico rinnovamento interiore. Basteranno due prove: da un lato l’enormità del salto e il suo coefficiente di difficoltà e, dall’altro, la qualità umana, personale e professionale di chi lo tenta.
Sarò diretto: chi venisse per costruire e spostare una nuova massa critica, pur conservando la propria identità o venisse con la convinzione che è possibile utilizzare la stessa forza già sperimentata altrove e lottare per una causa che non gli appartiene, ritorni da dove è venuto.
Chi non coglie la disperazione nel gesto delle madri che tentano di sottrarre i propri figli agli arresti, chi ci legge solo una truce connivenza, torni da dove è venuto.
Chi vuole accostarsi con rispetto alle nostre ferite millenarie è il benvenuto, chiunque volesse ancora una volta abusare di un popolo generoso e gentile, è meglio che se torni da dove è venuto.
Dalle nostre parti, quando si sprecano opportunità, per incapacità o altro, si suole dire che il padreterno dà pane a chi non ha denti. Può succedere anche il contrario: e cioè che chi ha denti non ha abbastanza pane da masticare.
Fuori di metafora, l’istituzione Regione siciliana ha avuto il pane, cioè uno Statuto speciale, ma non ha avuto i denti, cioè un grande partito di livello regionale che lo valorizzasse e lo difendesse. O meglio, lo ha avuto, ma in un momento storico e politico in cui l’indipendenza siciliana avrebbe potuto compromettere gli equilibri del pianeta definiti a Yalta.
Infatti sia i Sovietici che gli Usa la avversarono, temendo entrambi che uno nuovo stato libero avrebbe potuto creare problemi circa la sua collocazione tra Oriente e Occidente.
In tempi assai mutati la Regione Lombardia ha avuto quel partito, la Lega prima maniera, ma non ha il nostro Statuto.
Evolversi per sopravvivere. Per crescere e migliorare. E’ il vero, unico dogma della scienza, e nessuna creatura vivente, fosse anche collettiva, può sottrarsi.
Noi siamo qui per capire come e se la Lega sta evolvendo. Se sta evolvendo utilizzando una strategia intelligente verso una forma superiore. Se da parte della Lega è stato compreso che per raggiungere e travalicare i suoi obiettivi iniziali, senza tradirli, essa deve superare i suoi ambiti territoriali e politici attraverso la costruzione di un soggetto di livello nazionale in un sistema federale: uno Stato tra eguali, voluto da eguali e in cui tutti sono eguali.
Oppure se, come sono in tanti a credere, la Lega si stia espandendo sul terreno nazionale nel tentativo di cannibalizzare i resti di Forza Italia e porsi come forza egemone nel centrodestra a livello nazionale .
Non sarà difficile capirlo, anche a breve, anche in assenza di spiegazioni (cosa che ci metterebbe in sospetto): saranno le alleanze che cercherà, e quelle che romperà, a farcelo capire. E non solo. E’ consapevole Salvini che non avrà vita facile né a Sud né al Nord? E non penso ai borbottii del senatur, che lasciano il tempo che trovano, quanto ai tanti militanti che storceranno il muso.
Penso a quella candidata leghista che su facebook ha dichiarato di essere ”una bastarda leghista”, vantandosene e che non avrebbe avuto pace finché i meridionali non fossero tutti annegati.
Credo che nel nuovo progetto non possa esserci spazio per soggetti così.
Salvini, è pronto a correre anche questo rischio al suo interno? “Parigi val bene una messa”, disse Enrico terzo quando capì che per diventare re di Francia doveva abiurare e da protestante farsi cattolico.
Stiamo pensando la stessa cosa? Stiamo pensando ad un sistema nel quale tutte le Regioni dispongano (e torno alla metafora di prima) di pane da masticare e denti per masticare?
Uno Stato nel quale venga cioè coniugato a livello regionale il connubio “Statuto speciale e partito regionale”?
Stiamo pensando a che cosa sarebbero, che cosa saranno le Regioni tutte, una Lombardia con i poteri statutari uguali a quelli della Sicilia e, per converso, una Sicilia guidata da un partito autenticamente autonomista con una forte connotazione indipendentista? Siamo d’accordo che a quel punto l’indipendenza, che resta comunque per noi siciliani un traguardo ineludibile, potrebbe diventare un’opzione non immediata, ma frutto anch’essa di una naturale evoluzione e non imposta dalla necessità di sopravvivere, così come è adesso?
Siamo convinti che cesserebbero sicuramente le turbolenze e le pulsioni secessioniste e separatiste e ogni diversità troverebbe il suo ubi consistam in un crogiolo virtuoso?
E’ questa la vera riforma della Costituzione, quella per cui dobbiamo batterci, non la Costituzione di uno solo, né la Costituzione delle banche, dei mercati e dei potentati internazionali, politici ed economici che siano.
Una riforma che venga dal basso, dalla consapevolezza della gente, dai no che diventano sì.
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