Nella riunione che esattamente 73 anni fa, a Caltanissetta, segna la nascita della Democrazia Cristiana, si discusse del separatismo che dilagava in Sicilia. Alla fine, ufficialmente, questo partito si schiera per l’Unità. Ma non mancarono voci fuori dal coro. Come quella di Silvio Milazzo e di Luigi La Rosa che accuserà Aldisio di essersi venduto per interessi personali: “In Sicilia non vi è persona in buona fede che non sia separatista. Tutti comprendono che, rimanendo unita all’Italia, la Sicilia precipiterà nel disastro economico e morale”. E non aveva torto…
Quando, nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, le forze alleate iniziano lo sbarco in Sicilia, a tirare un sospiro di sollievo furono in tanti: i cittadini, storditi dai bombardamenti feroci, gli anti fascisti (la maggior parte dei siciliani), i mafiosi che avevano appoggiato lo sbarco, e, soprattutto, i separatisti che speravano nell’appoggio degli alleati per affermare il diritto dei Siciliani a liberarsi, finalmente, della dominazione italiana. Sappiamo che, in un primo momento, in effetti, l’Amgot (Allied military government of occupied territory), guidato dal discusso colonnello Charles Poletti per la parte che riguarda i “civil affairs” della Sicilia, fomentò questa illusione. Ci sono tanti documenti ufficiali che mostrano come gli americani (lo stesso vale per i russi) non sottovalutassero affatto il movimento separatista siciliano che era appoggiato da gran parte della popolazione (di tutti i ceti, come descrive perfettamente lo storico Giuseppe Carlo Marino in ‘Storia del separatismo Siciliano- Editori riuniti) ,e di dialoghi con Andrea Finocchiaro Aprile che li accolse con il famoso appello in cui si affermava che la Sicilia intendeva “organizzarsi, governarsi e vivere separatamente” (la storia poi andrà diversamente: la Sicilia venne riconsegnata all’Italia, una sua indipendenza non potè rientrare negli accordi tra le super potenze che si divisero l’Europa).
In quell’anno, cominciano a muovere i primi passi quelli che poi sarebbero diventati i giganti dei partiti italiani. In particolare, il 16 Dicembre del 1943, a Caltanissetta, a casa dell’avvocato Giuseppe Alessi, va in scena una riunione che passerà alla storia come la nascita ufficiale della Democrazia Cristiana.
Di cosa si parlò durante quella riunione?
La premessa è che quello stesso giorno, come racconta Salvatore Nicolosi nel volume ‘Sicilia contro Italia’ (Carmelo Tringale editore) a Palermo comunisti, socialisti e repubblicani avevano sottoscritto un documento in cui si schieravano ufficialmente contro la separazione della Sicilia dall’Italia, pur glissando sulla questione in primo piano a livello nazionale: ovvero la scelta tra monarchia e repubblica (il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia si era già schierato per la Repubblica). L’estensore, secondo Nicolosi, fu il professor Giuseppe Montalbano, il comunista che stupì tutti per il suo ‘amor patrio’, che in seguito sarebbe divenuto sottosegretario con De Gasperi e che due giorni dopo dalla firma della bordata anti separatista, incontrò all’Excelsior di Palermo una delegazione sovietica, anche’essa contraria all’indipendenza della Sicilia (va da sé che il problema era sotto quale influenza sarebbe finita una Sicilia libera).
L’argomento, dunque, non poteva che essere questo. E anche su questo la DC diede prova del suo pluralismo di visioni. C’erano circa una ventina di personaggi. Tra questi, oltre ad Alessi, il moderato Salvatore Aldisio da Gela, Bernardo Mattarella da Trapani, Silvio Milazzo da Caltagirone, patria di Don Sturzo e del suo pupillo Mario Scelba. Da Palermo erano arrivati il medico Pasquale Cortese e Franco Restivo, entrambi sturziani doc (la storia ci racconterà che tre di loro diverranno in seguito Presidenti della Regione: Alessi, Milazzo e Restivo).
I democristiani di Sicilia, scelsero anche loro di temporeggiare sulla questione istituzionale, ma secondo Nicolosi non per gli stessi motivi per cui lo aveva fatto il CLN a Roma (l’ attesa cioè che tutta l’Italia fosse liberata) ma per questioni locali: “La monarchia- leggiamo in Sicilia contro Italia- costituiva almeno per ora l’unico preciso riferimento per la lotta al separatismo”.
La posizione anti separatista della DC venne dunque acclarata. Ancora allo stato embrionale, si profilava la via dell’Autonomia (che, come sappiamo, sarà la soluzione finale pattuita con Roma a patto che le ambizioni indipendentiste venissero abbandonate).
In quell’occasione, tra critiche al Governo Badoglio e al CLN nazionale, di cui la Dc faceva parte, l’unico che si distinse per il suo filo separatismo fu Silvio Milazzo che in un documento ufficiale poneva riserva su quanto era stato oggetto di decisione.
Alessi e Mattarella, invece, ufficializzarono la posizione unitaria del partito contro i separatisti siciliani.
Così, conclude Nicolosi commentando quella riunione, “il MIS stava rapidamente passando dal ruolo di gran favorito a quello di nemico pubblico. Ma fu proprio questo a circondarlo di una popolarità insperata. Presto, anche se per pochi anni sarebbe diventato lo schieramento numero 1 della Sicilia”.
Va da sé che la nostra è necessariamente una sintesi di una giornata passata alla storia e che non è semplice comprendere e, soprattutto, riassumere tutte le condizioni di allora che spinsero la DC ad assumere quella posizione. Ciò che è certo è che nel momento in cui le due grandi potenze, USA e URSS, si schierarono contro l’indipendenza della Sicilia (in buona sostanza la Sicilia libera si sarebbe aggiunta alla lunga lista dei Paesi contesi dall’uno o dall’altra), le speranze svanirono.
Se poi, alcuni di questi protagonisti, si siano pentiti della loro scelta, lo si può solo ipotizzare. Certo è, ad esempio, che il primo Presidente della Regione Siciliana, Giuseppe Alessi, tuonò con furia contro il tradimento dello Stato con il quale la Sicilia aveva pattuito l’Autonomia. Proverbiale la sua presa di posizione contro l’abolizione dell’Alta Corte (organismo che avrebbe dovuto rappresentare la Sicilia nei giudizi di legittimità costituzionale): “E’ stata sepolta viva” diceva Alessi, riferendosi all’atto unilaterale con cui Roma ne assorbì le competenze. E fino a poco prima della sua morte, dall’alto dei suoi 90 anni, si appellava ai deputati dell’Ars affinché difendessero quel che restava della nostra Autonomia tradita.
Non solo. Sulle posizioni assunte a Caltanissetta, non mancarono, oltre a quella di Milazzo, altre voci fuori dal coro.
Sul blog dello storico Giuseppe Casarrubea (scomparso recentemente) troviamo, ad esempio, una lettera di Luigi La Rosa, lettarato e politico di Calatagirone, a don Luigi Sturzo, di cui era seguace.
Siamo nel 1944, 5 mesi dopo la riunione in casa Alessi cui La Rosa fa esplicito riferimento nella missiva accusando Aldisio di essersi imposto con autorità su tutti gli altri per meri interessi personali. Leggiamone alcuni passaggi:
“Sebbene io abbia chiaramente affermato di non avere alcuna ambizione, sono stato espulso con l’accusa di essere un separatista. A Palermo, Termine ha subìto lo stesso trattamento, malgrado si sia dichiarato separatista solo in seguito al suo allontanamento. Lo stesso dicasi per Cammarata a Caltanissetta (non aderisce al separatismo) e per Silvio Milazzo, che Lei conosce bene. Il suo sarebbe stato un contributo prezioso per il partito. E’ stato accusato di essere un mio informatore e di altre nefandezze.
“La situazione – continua La Rosa- è la medesima a Palermo, e ancor più grave a Catania. Monsignor Filippi, l’arcivescovo di Monreale con cui ho parlato parecchi mesi fa, ha dichiarato che un simile partito è destinato a fallire miseramente. E questi, caro Luigi, parlano delle masse! Che rimedio può esserci? Bisognerebbe ricominciare da capo. Ma questi intriganti, che si sono dotati di ogni autorità, si rassegneranno a promuovere una pulizia generale, una nuova genesi? Certamente no. Tuttavia, la condotta di Aldisio e quella dei suoi amici è indubbiamente guidata da interessi personali. Essi ostentano uno spirito unitario per offrirlo alla monarchia e al governo. Puntano solo ad assicurarsi incarichi di alto livello, in un periodo di transizione come quello attuale in cui il potere si ottiene con le nomine, e non per via elettorale….”
“… Nell’incontro tenutosi a Caltanissetta il 16 dicembre 194 la proposta di Silvio Milazzo – tesa a superare le difficoltà e a riconciliare le fazioni opposte – è stata respinta con tale violenza e brutalità da rendere impossibile la presentazione dell’ordine del giorno. Gli amici sono stati obbligati a sospendere la riunione. L’ordine del giorno affermava: “Abbiamo ascoltato la proposta del cavalier Silvio Milazzo perchè il partito aiuti il popolo siciliano a decidere del proprio destino. Consideriamo che tale iniziativa sia in armonia con i principi fondamentali del nostro movimento, fondati sulla vera democrazia e in perfetta sintonia con i proclami degli Alleati. In conformità con tali principi, che consentono la libera dimostrazione della volontà popolare, affermiamo quindi come principio programmatico di capitale importanza il diritto del popolo a decidere per se stesso. Che tale diritto possa in breve venir esercitato in un clima di assoluta libertà!”
Un simile ordine del giorno avrebbe messo tutti d’accordo. Ma per impedirne l’approvazione, fatto che avrebbe contribuito non poco al progresso del partito, hanno invece optato per lo scandalo. E nessuno lo ha sottoscritto. Monsignor Filippi, arcivescovo di Monreale, monsignor Carciotto, vicario generale della diocesi di Catania e molti altri si mostravano favorevoli al documento. Tutti infatti lo giudicavano opportuno, ma era necessario creare uno scandalo, e con tale insistenza da escludere persino una eventuale riconciliazione.
Ora regna il disordine. La Sua lettera ad Aldisio del 30 novembre è stata divulgata solo in parte. Sono inoltre sorte speculazioni sul Suo slogan “regionalismo sì, separatismo no”.
“Mi dispiace contraddirLa ma, al momento, in Sicilia non vi è persona in buona fede che non sia separatista. Tutti comprendono che, rimanendo unita all’Italia, la Sicilia precipiterà nel disastro economico e morale. In ogni modo, abbiamo sempre avuto aspirazioni indipendentiste. Nella sua Cronistoria dell’Indipendenza Siciliana, pubblicata nel 1877, Cesare Cantù scrive: “Sembra che la Sicilia abbia sempre atteso il momento e il luogo opportuni per liberarsi dalla dominazione italiana.” E’ questa la situazione, anche se comprendo che ciò possa provocarLe dei dispiaceri.
Le aspirazioni indipendentiste- continua la Rosa nella sua missiva- si sono ora rafforzate a partire dal disastro provocato dall’incurabile megalomania dell’Italia. Tradiremmo la nostra coscienza e i nostri sentimenti se ci avvicinassimo ad un partito che pretende la rinuncia alla libertà individuale, una pulsione naturale che nemmeno i negri accettano. Ma gli Alleati – che dovrebbero garantirci l’indipendenza per avere un Mediterraneo libero ed evitare tutte le difficoltà che sorgerebbero da una Sicilia in mani italiane – non sembrano interessarsi alla questione.
E ciò non significa che i siciliani siano felici di una simile ipotesi. L’unità con l’Italia sarebbe accolta come un segno della malasorte. Come Lei sa bene, l’unità è l’obiettivo di pochi professionisti. Per la Sicilia è una questione di vita o di morte. Contrariamente a ciò che Lei pensa, la Sicilia è in grado di riparare ai danni della guerra attingendo alle sue risorse, mentre l’Italia (da Napoli al Nord) versa nella più totale rovina. L’unità finirà per vanificare tale ipotesi: ciò è chiaro come la luce del sole”.
La lettera si conclude con un saluto affettuoso a Don Sturzo (qui potete leggerla integralmente)
Il tempo gli ha dato ragione. Aldisio farà una sfavillante carriera (al servizio di Roma). La Sicilia è precipitata nel disastro economico e morale.
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