La distanza tra economia reale e finanza si palesa a Piazza Affari. Che esulta dopo l’annuncio di una nuova ondata di esuberi decisi dal gruppo bancario di Piazza Cordusio. E mentre elité finanziarie, politicantes e commentatori ‘moderati’ fingono di non cogliere i segnali di rivolta sociale, all’orizzonte, come spiega Lidia Undiemi, si intravedono nuvole nere: la Troika
Vedremo come andrà oggi, ma il boom registrato ieri dal titolo Unicredit (+15,9%) alla Borsa di Milano è alquante inquietante: rivela senza alcuna pietà la distanza che c’è tra economia reale e finanza. Tra il nostro mondo, fatto di lavoro quotidiano e salari, e quello di una elité che gode di corsie preferenziali e di appoggi importanti, a Roma come a Bruxelles. A determinare l’impennata del titolo, infatti, è stato l’annuncio del nuovo piano industriale di Piazza Cordusio che prevede, oltre ad una sostanziosa ricapitalizzazione, una nuova ondata di esuberi: 6500 in tutta Italia, almeno 500 in Sicilia e la chiusura di 50 filiali. E Piazza Affari festeggia, perché tanto la mazzata da quelle parti non si farà sentire. E la logica del mercato bellezza, direbbe qualcuno. Che domina incontrastata (o quasi) e che non si arrende dinnanzi ad una povertà dilagante causata proprio da questo modello di società che chi ci governa continua a inseguire.
Che la gente sia stanca di politiche volte solo a preservare una finanza fuori controllo e totalmente deregolamentata che diventa devastante, di un asuterity che ha solo aumentato il divario tra ricchi e poveri, è chiaro a tutti. In tutta Europa, si dice, crescono i populismi. Ci viene il dubbio che siano gli stessi ‘pupari’, le stesso oligarchie, a definire così quelle che in altri tempi sarebbero state definite rivolte sociali. E che oggi si incanalano in questo o in quel partito, basta che sia slegato dagli apparati di potere.
Anche in Italia succede lo stesso. Il No al referendum, su questo c’è accordo, al di là di chi ha voluto difendere la Costituzione da opportunismi politici del momento, è stato soprattutto un No ad un sistema che non fa nulla per invertire la marcia. Nessuno, per esempio, ha creduto all’opposizione renziana all’UE dell’austerity perché è arrivata solo in campagna elettorale e perché, come vi abbiamo detto qui, nei fatti concreti anche Renzi è stato uno yesmen di Francoforte e Bruxelles.
E’ il momento di cambiare, pare ovvio. Ma ancora si tenta di ignorare l’allarme che arriva dai popoli che chiedono politiche ‘umane’, keynesiane, del lavoro, sociali, di sinistra. Chiamatele come volete, è comunque il contrario di quelle attuali. Manca, forse, ancora una consapevolezza della gravità della situazione, oppure c’è ancora troppa resistenza da parte di chi, tutto sommato, in queste condizioni non soffre. Lo si deduce anche dalla superficialità e dal conformismo di alcuni commentatori che si ostinano (per senso di gratitudine?) a definire, con tono gratuitamente sprezzante, ‘grillino’ o ‘leghista’ chi chiede una svolta. Evidentemente, loro, non ne sentono la necessità, possono cullarsi nei loro caldi e ‘moderati’ rifugi.
E, all’orizzonte, si intravede una inversione di marcia? A sentire Lidia Undiemi, ricercatrice della Facoltà di Economia di Palermo a autrice di libri come “Il ricatto dei mercati” edito da Ponte alle Grazie (sui temi della nuova governance economica e internazionale, sull’evoluzione del lavoro nel nuovo capitalismo finanziario e sull’influenza delle multinazionali sui sistemi di governo sovranazionali), no:
“La Troika vuole commissariare l’Italia per “salvare” il MPS. Abbiamo detto “NO” e adesso vogliono attaccare la nostra democrazia imponendo leggi e riforme contro i cittadini”. Nel video qui sotto, spiega cosa sta succedendo. Nulla di buono.
Per la Sicilia, va da sé, sarà anche peggio. L’unica soluzione, come questo blog ha sempre sostenuto, passa dal rinnovo della classe politica, dalla cacciata di tutti gli ascari, mercenari al servizio di segreterie romane e dalla revisione dei rapporti con uno Stato che su di noi ha già sperimentato il modello Grecia. La Sicilia, con questa Italia, ha solo da perdere. Ecco che, come sostenuto dal nostro editore, Franco Busalacchi, anche in Sicilia, sulla scia dell’esempio Catalano, la via dell’indipendenza non è solo possibile, ma forse anche necessaria.