Alla fine l’hanno anche arrestato. Epilogo pirandelliano per un personaggio che ha sempre combattuto richiamandosi alla Giustizia. Ora, però, è di nuovo libero. Ad Agrigento – la sua città – non l’hanno mai amato. E’ sempre stato considerato una variabile incontrollata e incontrollabile. Proviamo a ricostruire oltre trent’anni di storia. Anzi di lotte politiche ed ambientaliste. Dentro uno schieramento politico – la sinistra agrigentina, ‘consociativa’ da sempre – che l’ha sempre ostacolato
Il Tribunale del Riesame di Palermo, presieduto dal giudice Antonella Consiglio, ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare a carico di Giuseppe ‘Peppe’ Arnone. Di conseguenza, Arnone, negli anni ’80 del secolo passato leader di Legambiente Sicilia, avvocato e già consigliere comunale ad Agrigento – la sua città – è stato scarcerato.
Arnone era stato arrestato lo scorso 12 novembre ad Agrigento. Gli uomini delle forze dell’ordine l’hanno fermato mentre usciva dallo studio di Francesca Picone, anche lei avvocato. Secondo l’accusa, avrebbe intascato una tangente sotto forma di due assegni per un importo di 14 mila Euro.
Secondo la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento – retta da qialche settimana da Luigi Patronaggio – gli assegni trovato addosso ad Arnone si configurerebbero come “le prime due rate di una tangente di 50 mila Euro” che l’avvocato avrebbe chiesto alla collega per non sollevare clamore mediatico su una pregressa vicenda giudiziaria che coinvolge l’avvocato Francesca Picone imputata per irregolarità nei confronti di una sua ex cliente.
L’arresto di Arnone – almeno per chi lo conosce dai primi anni ’80 del secolo passato (è il caso di chi scrive questo articolo) – è sembrato un po’ strano, come potete leggere qui di seguito:
Ci è sembrato strano non tanto e non soltanto perché, di solito, le tangenti non si incassano sotto forma di assegni, ma anche perché il personaggio – sicuramente ‘difficile’ – non si presta a questo genere di azioni.
Dopo l’arresto e la notizia che era in corso una transazione tra Arnone e l’avvocato Picone sono arrivare le precisazioni della Procura della Repubblica di Agrigento, come potete leggere qui di seguito:
Davanti a tali precisazioni noi ci siamo fermati in attesa degli eventi.
Nel frattempo ad Arnone sono stati concessi gli arresti domiciliari. Ma lui ha trovato il modo di farsi arrestare per la seconda volta. Motivo: portato in Tribunale in qualità di imputato, ha pensato bene, dopo l’udienza che lo riguardava direttamente, di indossare la toga per esercitare la sua professione di avvocato. Tutto questo mentre risultava agli arresti domiciliari…
Sì, Arnone – questo è il suo carattere – ne pensa una, ne dice un’altra e ne fa un’altra ancora.
La sua è una vita avventurosa e, da buon agrigentino ‘irregolare’, un po’ pirandelliana. Finire in galera dopo aver predicato per una vita la legalità non è forse un epilogo degno di un personaggio del grandi scrittore e drammaturgo agrigentino?
Riverso – come si usa dire in siciliano (con riferimento alla lingua siciliana che corre tra Agrigento, Porto Empedocle e Sciacca, lasciando fuori le aree interne, dove la lingua si ‘appesantisce’ un po’) – cioè di non facile gestione, lo è sempre stato.
Piaccia o no ai suoi compagni – o ex compagni – della sinistra post comunista di Agrigento, è da lì che arriva Arnone. E da lì, ancora liceale, approda a Legambiente, dove inizia a fare coppia con un altro personaggio mitico dell’ambientalismo siciliano: Angelo Dimarca.
Alla fine Legambiente – cosa che per i dirigenti del Pci dell’epoca è stata sempre ‘difficile’ da spiegare ad Arnone e a Dimarca – era una mezza filiazione del Pci. Ad Agrigento e dintorni – siamo nei primi anni ’80 del secolo passato – esisteva solo il Pci ‘consociativo’ di Michelangelo Russo e del suo ‘delfino’, Angelo Capodicasa, due ‘filosofi’ di scuola sofistica-‘akragantina’.
Solo chi ha vissuto quegli anni osservando gli eventi – ed è sempre il caso di chi scrive, che per giunta è anche originario dell’Agrigentino, per la precisione di Sciacca, la città che ha dato i natali a Michelangelo Russo – può raccontare gli scontri tra Arnone e la politica agrigentina.
Arnone, allora, era veramente un ‘cane senza padrone’: pur di difendere l’ambiente, con il simbolo di Legambiente attaccava a testa bassa tutti: democristiani, socialisti, laici (allora Psdi, Pli e Partito Repubblicano andavano sotto il nome di partiti laici e si beccavano un assessorato regionale a testa nei Governi regionali di pentapartito) e anche i suoi compagni di partito.
Con Capodicasa, ad esempio, Arnone non è mai andato d’accordo. Mai. La differenza è che Capodicasa è parlamentare da oltre trent’anni, mentre Arnone è stato sempre sacrificato.
Non potete immaginare a metà anni ’80 che cosa non avrebbe fatto Arnone quando il Pci siciliano difendeva gli “abusivi per necessità”, con l’Assemblea regionale siciliana che discuteva una legge ‘intelligente’ che con l’oblazione sanava l’illecito amministrativo (la ‘casetta’ abusiva, spesso in riva al mare), ma lasciava in piedi il fatto penale…
Arnone ha fatto la guerra ai suoi ‘compagni’ del Pci agrigentino; ma questi ultimi, a lui, non hanno mai risparmiato nulla. I colpi che si sono tirati sono stati durissimi. Il problema, per Arnone, è che, alla fine, lui era sempre disarmato, mentre i suoi nemici hanno sempre avuto dalla loro il partito: che prima si chiamava Pci, poi Pds, poi Ds e oggi PD.
Il Pci, in Sicilia, tranne casi rari, non ha mai avuto un classe dirigente ‘autoctona’. I dirigenti siciliani sono sempre stati poco autonomi rispetto a Roma. Dal Pci fino al PD, la carriera, i dirigenti siciliani l’hanno sempre fatta con il permesso di Roma. Peggiorando nel corso degli anni. E quando qualcuno dimostrava di essere troppo autonomo, zact!, è stato ‘segato’.
Cosa che è capitata a Pino Apprendi, unico parlamentare di Sala d’Ercole del PD che, nella passata legislatura, ha denunciato una mega speculazione sulle coste siciliane con una dettagliata interpellanza. Cosa che, con molta probabilità, è costata ad Apprendi la rielezione alle elezioni regionali del 2012. E che, sempre con molta probabilità, gli impedisce attualmente di entrare all’Ars al posto di un parlamentare condannato. ‘Quelli’ non dimenticano…
Arnone non ha mai trovato posto nelle liste del centrosinistra. Al suo posto sono sempre andati altri, che non avevano più meriti di lui. Anche i ‘paracadutati’ da Roma. L’importante era non candidare lui.
Quando c’era il Pci qualche ‘paracadutato’ dalla ‘Capitale’ arrivava: ma erano nomi di personaggi di spessore, talvolta siciliani ‘romanizzati’ che venivano eletti nell’Isola: per esempio, Renato Guttuso nel collegio senatoriale di Sciacca. Oggi i vertici del PD – fregandosene degli elettori siciliani, considerati dal Partito Democratico romano gente che deve solo obbedire – impongono nelle liste siciliane illustri sconosciuti (mogli di potenti, amici e sodali vari) che in cinque anni forse si fanno vedere in Sicilia per le vacanze.
Per il PD romano la Sicilia è una ‘colonia’. E si vede da come questo partito amministra la Regione da otto anni.
Se oggi il PD siciliano è quello che è: cioè il partito che alla presidenza della Regione si fa rappresentare da Rosario Crocetta, con tale Fausto Raciti segretario regionale e Giuseppe ‘Peppe’ Lumia come senatore eletto un po’ di qua e un po’ di là, ebbene, ciò avviene perché l’essenza di questo partito, nella nostra Isola, è fatta d’inesistenza sociale prima che politica.
Con questi Arnone ha sempre avuto grandi difficoltà. Nel novembre del 1993 Arnone è stato sindaco di Agrigento per una notte. Gli exit poll lo davano eletto fino alle prime ore del mattino. Dopo l’alba i voti erano cambiati. Si disse che gli agrigentini si erano divertiti a dire che votavano Arnone e poi, nel segreto dell’urna, votavano il suo avversario, Calogero Sodano, eletto sindaco. Vero? Falso? Vattelappesca.
Arnome aveva contro quasi tutto il suo partito. Chissà cosa successe quella notte…
Qualche sbandata l’ha presa anche lui. Come quando pensava che una certa imprenditoria agrigentina – storicamente temeraria e ci fermiamo qui – si sarebbe “risanata”. Un abbaglio.
Di avversari ne ha tanti. Uno di questo è Franco Castaldo, metà giornalista e metà filosofo. Un altro è l’ex sindaco di Realmonte, Salvatore ‘Totò’ Petrotto, uno che quando scrive va a ruota libera, il primo che ha sfidato i potenti di Confindustria Sicilia quando tutti i osannavano. Non potete immaginare quanto sia difficile per una persona essere amico di tutt’e tre. Succede sempre al sottoscritto. Messi tutt’e tre insieme, sono un’equazione irrisolvibile.
E gli agrigentini di Agrigento? Per Arnone vanno dall’uno all’altro estremo: o amore o odio. Niente via di mezzo. Anche se col passare degli anni l’insofferenza ha preso il sopravvento sul resto.
Un’altra pagina strana Arnone la scrive nel 2012. Quando cerca di trovare spazio nella lista di Rosario Crocetta alle elezioni regionali. Ne discute – molto animatamente – in un’intercettazione con il solito Peppe Lumia, che di Arnone ha sempre avuto una paura matta. Abituato ad agire nell’ombra, il ‘Senatore della porta accanto’ – com’è stato ‘pittato’ da un bravo collega – detesta l’ ‘eliofania’ politica.
Ma neanche con Crocetta, alla fine, ha voluto Arnone. Anche Rosario da Gela l’ha considerato ‘indigeribile’.
Pure con Legambiente è finita male. Arnone ha cresciuto una nidiata di ambientalisti, o quasi tali, che poi l’hanno tradito. E’ una stella che si porta dietro.
Negli ultimi anni, da avvocato, ha aperto una vertenza con la Giustizia di Agrigento. Con la gestione dell’ex procuratore della Repubblica, Renato Di Natale, e con alcuni dei suoi sostituti le polemiche sollevate da Arnone sono state al vetriolo. E’ andato sopra il rigo? Forse sì. Anzi, sì. Però con tutto quello che è successo ad Agrigento – e con tutto quello che è successo ad Arnone – se non giustificato, va almeno capito (qui vi raccontiamo tutti i retroscena dei suoi conflitti con i magistrati).
Ragazzi: è un uomo che va controcorrente da oltre trent’anni. Pure contro la magistratura. Da solo. Ha sbagliato? Forse sì. Soprattutto a parlare. Ma lui, Arnone, è fatto così: quando una cosa la deve dire, la dice. E per lui la parola non è fatta per mascherare il pensiero. E questo è un problema se si vuole fare politica, soprattutto nella sinistra siciliana, dove bisogna strisciare a Roma per ingraziarsi i ‘capi’ e mentire in Sicilia per gabbare i cittadini.
Ora l’hanno anche arrestato. E rilasciato. Una cosa comunque la possiamo dire con certezza: il suo conterraneo non l’avrebbe inserito tra i politici maneggioni e trasformisti del suo romanzo I vecchi e i giovani. Troppo imprevedibile anche per Pirandello.
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