Il 20 novembre del 1913 nasceva a Partinico Francesco “Ciccio” Patti, ciclista. I Nuovi Vespri ne ricorda la figura stralciando dal “Il Museo del Ciclismo”, che certo non ce ne vorrà, alcuni passaggi di un bellissimo articolo, forse di Paolo Mannini, che in occasione della morte ne ricordava le imprese
“Patti, che tutti chiamano un po’ per affetto un po’ per devozione “Zio Ciccio”, era uno degli antesignani di un ciclismo mai troppo sbiadito, l’ultimo autentico esponente di uno sport eroico, il cui fascino è stato solo scalfito in parte dalla piaga del doping. Patti ha gareggiato quasi alla pari con gente del calibro di Gino Bartali, Fausto Coppi, Guerra, Corrieri, e nessuno saprà mai dove sarebbe potuto arrivare se un giorno avesse scelto di lasciare la “sua” terra per trasferirsi al Nord.
Agli amici raccontava:
“Io penso che a quell’epoca noi corridori del Sud Italia eravamo molto penalizzati dalla geografia. Eravamo costretti a partire in bici per partecipare alla ‘Milano-Sanremo’, o per presentarci in tempo alla partenza del Giro d’Italia. C’imbarcavamo sul postale per Napoli, quindi salivamo in sella alle nostre biciclette e partivamo alla volta di Milano, di Brescia, per il Trentino. Insomma facevamo un po’ di riscaldamento prima della gara vera e propria”.
Non mancava un pizzico di nostalgia nelle parole di Ciccio Patti, nel suo sguardo tuttavia traspariva la serenità dei giusti.
“Mi sento come uno che ha dato tanto allo sport – osservava l’ex ciclista – non mi sento però un eroe. Non vivo di ricordi, la realtà mi appartiene e mi aiuta a rimanere giovane. Mi dispiace solo che negli ultimi tempi il medico mi ha suggerito di andarci piano con i pedali. Certo, ogni tanto mi piace sfogliare vecchi ritagli di giornale, vedere com’ero”.
Tra i tanti campioni con i quali si è misurato nella sua interminabile carriera, iniziata il 15 maggio 1932, il ciclista nato a Partinico ne ricordava uno in particolare.
“Learco Guerra, che tutti chiamavano giustamente la locomotiva umana – confessava Patti – m’impressionò favorevolmente per la sua straordinaria umanità: al termine di una tappa del Giro d’Italia, la ‘San Severo-Campobasso’, mi fece chiamare da uno dei suoi massaggiatori e, dopo avermi elogiato per la correttezza dimostrata in gara, mi regalò quattro tubolari. Insomma, mi diede la possibilità di proseguire la gara, dal momento che, dopo avere forato tre volte, ero rimasto con una sola ruota di ricambio”.
Nei suoi viaggi a ritroso, fatti di ricordi e di imprese titaniche, Patti citava spesso la coppia di ciclisti più famosa della storia. “Coppi e Bartali, che io guardavo con grande ammirazione – faceva notare – erano molto umili durante le gare. Il campione si vede anche dai piccoli gesti e loro riuscivano a conservare intatta una certa genuinità. L’Italia era spaccata in due, metà tifava per il piemontese, l’altra metà per il toscano”.
E Patti? Lo “Zio Ciccio” non ha mai dubbi: “Io ero Bartaliano”. Aveva disputato l’ultima gara di rilievo nel ’95, a 82 anni suonati: Patti si era permesso il lusso di classificarsi terzo al Campionato Mondiale Master.”