I grandi industriali italiani della pasta hanno capito che non possono più utilizzare il grano duro prodotto nelle zone fredde e umide del Canada. Così adesso vorrebbero quello che fino ad oggi hanno snobbato: il grano duro del Sud. Ma, da prepotenti quali sono, vorrebbero controllare prezzi, varietà da coltivare e pratiche agronomiche. Per produrre un grano iperproteico che gli consentirebbe di fare soldi risparmiando sui costi di produzione. Peccato che la pasta iperproteica fa male alla salute. Da qui l’esigenza che il Mezzogiorno si organizzi per produrre la propria pasta
Ormai è assodato: le grandi industrie della pasta italiana hanno capito che dovranno eliminare il grano duro canadese. Conta poco il fatto che l’Unione Europea abbia siglato l’accordo commerciale con il Canada – il cosiddetto CETA – facendolo ‘ingoiare’ con la forza alla piccola Vallonia, come vi abbiamo raccontato qui:
Insomma, il grano duro fatto maturare artificialmente con il glifosato (o gliphosate) – ‘specialità’ agronomica dei canadesi – se lo mangeranno gli stessi canadesi. Noi abbiamo messo un po’ del nostro, dando la parola, lo scorso 1 ottobre, al micologo Andrea Di Benedetto, come potete leggere qui:
Il problema è che, adesso, gli industriali si sono inventati un’altra diavoleria che, all’apparenza, sembra un grande affare per i produttori di grano duro del Sud: i “Contratti di filiera”.
In questo articolo proveremo a illustrare che anche quest’ennesima trovata non va bene per i produttori di grano duro del Mezzogiorno d’Italia e non va bene nemmeno per i consumatori.
Insomma, per dirla in breve, il “Contratto di filiera” va bene solo per gli industriali della pasta che, non potendo più, in prospettiva, fare soldi con il grano duro canadese, adesso vorrebbero tornare a sfruttare gli agricoltori del Sud Italia.
Proviamo, adesso, a illustrare, per grandi linee, che cos’è un “Contratto di filiera” e perché deve essere combattuto.
Sulla carta, gli industriali della pasta si presentano come i ‘salvatori’ dei produttori di grano duro. Qui di seguito illustriamo il loro ragionamento:
“Il vostro grano duro ha un prezzo basso. Quest’anno è precipitato a 14 Euro al quintale. Oggi è arrivato a 22 Euro. Ma a voi corrispondono, sì e no, 20 Euro al quintale. Noi, con il ‘Contratto di filiera’, vi offriamo 28 Euro per quintale di grano duro”.
Sì, sulla carta sembra un affare. Ma non lo è. Vediamo il perché.
Intanto chi accetta il ‘Contratto di filiera’ deve seminare il grano duro fornito dalle industrie. E deve seguire le pratiche agronomiche indicate dalle stesse industrie.
Che significa tutto questo?
Primo: che la varietà da coltivare la scelgono loro. Ed è una varietà di grano duro che, come diremo in seguito, serve agli industriali, non certo ai consumatori.
Secondo: le industrie della pasta impongono un programma di concimazione imperniato, prevalentemente, sull’azoto. Non è un caso che puntino sulle concimazioni azotate, perché è l’azoto che deve garantire un’alta percentuale di proteine nelle cariossidi.
Siamo così arrivati al punto nodale della questione: le proteine contenute nel grano duro, cioè il glutine. Agli industriali interessa ottenere un grano duro ricco di un particolare glutine. Ufficialmente, ci hanno fatto sempre credere che di glutine, nella pasta, più ce n’è, meglio è. Questo perché il glutine conferisce alla pasta la tenuta durante la cottura.
Ma le cose stanno proprio così? La storia è un’altra. Agli industriali della pasta interessa avere un grano duro super-ricco di glutine (e magari di un particolare glutine) non perché vogliono che noi mangiamo la pasta al ‘dente’, ma perché loro, con la pasta ad alter percentuali di glutine risparmiano sui costi di produzione.
La pasta normale, per seccare, impiega almeno 24 ore. Gli industriali, se il grano è ricco di glutine, per seccare la pasta impiegano appena due ore.
Il problema è che la pasta ad alta concentrazione di glutine se, da un lato, fa guadagnare un sacco di soldi in più agli industriali, dall’altro lato fa molto male ai consumatori, perché la pasta iperproteica provoca disturbi al nostro organismo, come potete verificare ascoltando quello che viene illustrato in questo Speciale del TG 1 sui grani antichi della Sicilia:
Pillole di veleni nel piatto: i grani antichi
Dunque, riassumendo, gli industriali della pasta italiana sono in difficoltà perché sanno che non possono più utilizzare il grano duro canadese di qualità inferiore (infatti il Canada produce anche grano duro buono: ma quello se lo tiene: a noi italiani rifila il grano duro che viene coltivato nelle aree fredde e umide e che viene fatto maturare artificialmente con il glifosato, come vi abbiamo raccontato nel seguente articolo:
Stanno provando a tornare ad acquistare il grano duro del Sud Italia. Ma lo vogliono fare cercando di imporre agli agricoltori le varietà di grano da coltivare e le pratiche agronomiche da seguire. Il tutto per produrre un grano duro ricco di proteine che a loro fa guadagnare un sacco di soldi, ma che fa male alla salute dei consumatori.
Non è finita. Come già ricordato, gli industriali della pasta del nostro paese – protetti dal solito Governo Renzi, Governo che è nemico del Sud Italia – propone agli agricoltori del Sud i “Contratti di filiera” che sono solo apparentemente remunerativi. Pagano il grano duro a 28 Euro al quintale, ma impongono sementi e, soprattutto, pratiche agronomiche irrazionali, se non sbagliate.
Ma l’aspetto più grave è che, così facendo, ovvero praticando questi “Contratti di filiera”, fanno in modo che le Camere di Commercio – dove si stabiliscono i prezzi di mercato in base alla domanda e all’offerta di grano duro – non conteggino il grano duro che rientra negli stessi ‘Contratti di filiera’. Un marchingegno che serve solo ad alterare il mercato del grano duro, mantenendo i prezzi bassi, come ha denunciato GranoSalus, dove si spiega anche il ruolo nefasto svolto dal Governo Renzi:
Morale: debbono essere i meridionali a produrre la pasta con il proprio grano duro. E in parte questo già avviene, come abbiamo raccontato in questo articolo:
Noi abbiamo citato alcune aziende: ma ce ne sono altre che i consumatori del Sud debbono cominciare a valorizzare.
Ricordiamoci sempre che il grano duro del Sud Italia è tra i migliori del mondo. E che in questa battaglia per liberare gli agricoltori e i consumatori l’Unione Europea non ci aiuta, come spiega in questo articolo Saverio De Bonis:
Quindi dobbiamo essere noi meridionali ad aiutarci.