Prendiamone atto: i controlli sui prodotti agricoli freschi e sui prodotti trasformati sono carenti. Nessuno ci garantisce la salubrità di un cibo. Anche perché – come insegna la storia della passata di pomodoro cinese che diventa made in Italy – ogni prodotto importato nel nostro Paese e lavorato dalle industrie italiane diventa italiano. E allora? Non ci resta che applicare a tutti i prodotti il metodo che GranoSalus sta applicando ai derivati del grano: controlli a tappeto sui prodotti finiti con la diretta partecipazione dei consumatori
Ma cosa dobbiamo portare sulle nostre tavole? Ce lo chiediamo perché le notizie che raccogliamo qua e là sono tutt’altro che tranquillizzanti. Da anni ci parlano con entusiasmo delle virtù quasi taumaturgiche del libero mercato e, in generale, della libera circolazione delle merci. Poi arriva la Coldiretti e ci racconta che esistono i dieci cibi più contaminati, visti dal loro punto di vista, ovviamente: perché tra i cibi contaminati, chissà perché, la Coldiretti tiene fuori il grano, la farine, le semole, la pasta, il pane, i dolci.
Insomma, tutto quello che interessa una parte importante della grande industria italiana che lavora il grano non entra nella classifica. E’ normale tutto questo? No.
La Coldiretti, infatti, ci parla della frutta secca che contiene aflatossine, una tossina prodotta da un fungo che è cangerogena. Giustissimo. Ma perché la Coldiretti non precisa che le aflatossine si trovano pure nel mais? Perché il mais è una coltura importantissima per l’economia del Centro Nord Italia?
Attenzione, il mais è strategico. Ce lo mangiamo dopo l’ebollizione (a Palermo, per tradizione, ad agosto, si vendono le ‘pollanche’: le pannocchie di mais bollite). Ce lo mangiamo in scatola. E ci mangiamo la polenta.
Fine? No. Perché la zootecnia – cioè l’alimentazione del bestiame quando non c’è l’erba fresca – viene impostata sul mais conservati: i cosiddetti insilati.
Che significa questo? Che parlando del mais andiamo a toccare il ciclo del latte e dei formaggi. perché se il mais presenta problemi, ebbene, questo problemi si trasferiscono nel latte e nei derivati dello stesso latte: i formaggi.
E’ per questo che nessuno parla delle aflatossine del mais? Per non intaccare gli interessi di una parte importante del made in Italy? E’ normale tutto questo? No.
La Coldiretti ci dice che al secondo posto tra i cibi più contaminati ci sono le arachidi: altri ‘contenitori’ potenziali di aflatossine. Ovviamente, la salubrità delle arachidi dipende da come vengono prodotte e da come vengono conservate.
Al terzo posto – parliamo sempre della classifica della Coldiretti – ci sono le erbe che arrivano dall’India, potenzialmente trattate con pesticidi che in Italia sono stati banditi nei decenni passati perché dannosi per la salute. Vero: ma questo vale per tutta l’ortofrutta che arriva in Italia dal Nord Africa e dai Paesi asiatici. Insomma a creare problemi non è solo l’India.
Al quarto posto ci sarebbero il tonno e i pesce spada della Spagna. Motivo: conterrebbero metalli pesanti. Domanda: solo tonno e pesca spada della Spagna? E quelli pescati negli altri mari non conterrebbero metalli pesanti?
Al quinto posto i peperoni della Turchia. Troppi pesticidi. Invece negli altri Paesi come verrebbero prodotti i peperoni? Con la magia?
Al sesto posto la Coldiretti ci mette il sesamo dell’India: conterrebbe addirittura salmonelle.
Al settimo posto la frutta secca dell’Iran.
All’ottavo posto le fragole dell’Egitto: troppi pesticidi, dicono alla Coldiretti. Invece le fragole e i fragoloni coltivati in Sicilia sarebbero senza pesticidi?
Al nono posto ci sarebbero i pistacchi (non ricordiamo arrivati da dove).
E al decimo posto il pesce del Vietnam: ovviamente inquinato.
Poi arrivano le Iene – che non sono nuove a belle trasmissioni televisive sull’agricoltura (come potete vedere qui) – e la lista dei prodotti a rischio si allarga con i pomodori (per esempio, con la passata di pomodoro che arriva dalla Cina e che diventa, come per magia, italiana, con gli agrumi egiziani, con l’ananas e via continuando).
Siamo arrivati al punto nodale della questione: se andiamo dietro a tutte le notizie sui prodotti che arrivano sulle nostre tavole ci perdiamo. Perché oggi il consumatore non ha alcuna garanzia.
Non ha alcuna garanzia sul prodotto fresco e non ha alcuna garanzia sul prodotto trasformato.
Non andate dietro alla pubblicità sulla frutta e sugli ortaggi: non ha alcun valore.
Come hanno valore molto relativo i marchi IGT (Indicazione Geografica Tipica) o IGP (Indicazione Geografica Protetta). Sono marchi che servono a poco. Perché, ricordatevelo, di un qualunque prodotto non è importante sapere non cosa c’è scritto nell’etichetta, ma cosa c’è dentro.
Pensate all’olio extra vergine di oliva: dobbiamo fare finta di non sapere che in Europa, già da qualche mese – con la ‘benedizione’ del Parlamento Europeo – circolano 90 mila tonnellate di olio d’oliva tunisino prodotto Iddio sa solo con quali pesticidi? Secondo voi o stanno vendendo con la scritta “Olio d’oliva tunisino”?
Che cosa vogliamo dire? Semplice: che non possono essere le Regioni, lo Stato o, peggio che mai, l’Unione Europea a dirci che un cibo non è contaminato. Dobbiamo essere noi consumatori ad organizzarci, insieme con i produttori – possibilmente del nostro territorio – per effettuare i controlli preventivi su cibi che finiscono sulle nostre tavole.
Sotto questo profilo, l’idea di GranoSalus – l’associazione che sta facendo proseliti tra i produttori di grano duro del Mezzogiorno d’Italia – è vincente.
La Coldiretti, come abbiamo visto, nella classifica dei dieci cibi più inquinati tiene fuori il grano e i derivati del grano e il mais e i derivati del mais. Così non funziona, cari amici della Coldiretti. Le regole, se ci sono valgono per tutti.
Ben vengano, allora, i controlli preventivi, a tappeto, su tutti i prodotti che arrivano sulle nostre tavole.
GranoSalus – con la partecipazione degli stessi consumatori – avvierà i controlli su tutti i prodotti derivati del grano. Così sapremo la verità su pane, pasta, farine, semole e dolci.
L’esempio di GranoSalus andrebbe esteso a tutti i prodotti. A cominciare dai prodotti biologici. Chi ci garantisce che i cibi che ci vengono propinati come biologici lo siano per davvero?
Sappiate che se c’è una cosa difficilissima da realizzare, ebbene, questa è una produzione agricola biologica. Che oltre ad essere tecnicamente difficile è anche molto costosa.
La Sicilia – così raccontano le statistiche – è la prima Regione italiana come produzione biologica. Ma nessuno dice che i controlli sono carenti. Sono a monte e non a valle. Dobbiamo fidarci della parola. Basta questo? No!
L’unica cosa che ci può salvare sono i controlli. A valle. Un cibo, prima di finire a tavola, deve essere oggetto di analisi.
Ovviamente, non tutti i cibi possono essere analizzati. Ma i campioni scelti a caso, sì: questo si può fare. E questo debbono farlo i consumatori.
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Come possono i consumatori fare controlli a campione? A chi si devono rivolgere?