Le nuove generazioni non ci cascano. Rimandano al mittente le bugie storiche e si riappropriano dell’identità Siciliana. Con buona pace degli intellettualoidi italienati e salariati. Appuntamento domani a Palermo, in Piazza Verdi, alle 17.30
Sulla memoria si fonda il futuro di un popolo. Ed è proprio la memoria che è stata negata ai Siciliani costretti a studiare, sui banchi di scuola, una storia falsata che ha censurato l’identità di un popolo e gli eventi più significativi della nostra terra.
Ma la propaganda storica non funziona più. In tutto il Sud, grazie al coraggio della storiografia moderna, all’impegno d movimenti e di molti intellettuali, è cominciato un processo irreversibile che mira a ristabilire la verità contro i soprusi delle menzogne storiche (di questi argomenti ci stiamo occupando ogni giorno nella nostra rubrica storia e controstoria).
Un risveglio che sta interessando pure la parte migliore della Sicilia: i giovani, sempre più consapevoli dei loro diritti e tra questi, del diritto alla verità storica. In questo nuovo contesto si inserisce il corteo in memoria della Rivolta del Sette e mezzo, una delle rivoluzioni più importanti della storia siciliana (Settembre 1866) contro i soprusi della neo Italia Unita che i libri di storia ufficiali ‘dimenticano’ di approfondire.
Il corteo, organizzato dai giovani dei centri sociali, è in programma domani, giovedì 22 Settembre, nel capoluogo siciliano, a partire dalle 17.30. L’appuntamento è in Piazza Verdi (Teatro Massimo). I ragazzi invitano la cittadinanza tutta a partecipare con dei manifesti che stamattina tappezzano i muri del centro, rigorosamente scritti in siciliano:
“ A rivorta nun appi nuddu leader carismaticu, ma fu ‘a genti dî quarteri populari a essiri u viru capu dâ rivorta […]. Una doppu l’àutra i casermi dî carabineri foru cunquistati, e nnô giru di pochi uri i ribelli s’avìanu pigghiatu ‘a città.” si legge nei manifesti.
“È facili dunca capiri nzoccu lassò l’unità d’Italia nnâ nostra terra, i siciliani avìanu sulu du’ strati: briganti o emigranti.”
In questo articolo vi proponiamo un video in cui Franco Busalacchi, editore di questo blog, scrittore e storico, e Ignazio Coppola, esperto di storia siciliana, parlano della rivolta del Sette e Mezzo su Tvm.
In questo, invece, un approfondimento di TerraeLiberazione, sulla portata di quella rivolta che può essere considerata una delle più grandi rivoluzioni proletarie di tutti i tempi.
Ciò che è certo è che i tempi stanno cambiando. E che i giovani Siciliani si stanno preparando a riprendersi la Sicilia. Con buona pace degli intellettualoidi italienati e salariati e di una classe politica di ascari che continua a giocare con il futuro dei giovani.
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La descrizione che ne fa Camilleri
“Una tinta mattinata del settembre 1866, i nobili, i benestanti, i borgisi, i commercianti all’ingrosso e al minuto, i signori tanto di coppola quanto di cappello, le guarnigioni e i loro comandanti, gli impiegati di uffici, sottuffici e ufficiuzzi governativi che dopo l’Unità avevano invaso la Sicilia pejo che le cavallette, vennero arrisbigliati di colpo e malamente da uno spaventoso tirribllio di vociate, sparatine, rumorate di carri, nitriti di vestie, passi di corsa, invocazioni di aiuto. Tre o quattromila viddrani, contadini delle campagne vicino a Palermo, armati e comandati per gran parte da ex capisquadra dell’impresa garibaldina, stavano assalendo la città. In un vìdiri e svìdiri, Palermo capitolò, quasi senza resistenza: ai viddrani si era aggiunto il popolino, scatenando una rivolta che sulle prime parse addjrittura indomabile. Non tutti però a Palermo furono pigliati di sorpresa. Tutta la notte erano ristati in piedi e viglianti quelli che aspettavamo che capitasse quello che doveva capitare. Erano stati loro a scatenare quella rivolta che definivano “repubblicana”, ma che i siciliani, con l’ironia con la quale spesso salano le loro storie più tragiche, chiamarono la rivolta del “sette e mezzo”, ché tanti giorni durò quella sollevazione. E si ricordi che il “sette e mezzo” è magari un gioco di carte ingenuo e bonario accessibile pure ai picciliddri nelle familiari giocatine di Natale. Il generale Raffaele Cadorna, sparato di corsa nell’Isola a palla allazzata, scrive ai suoi superiori che la rivolta nasce, tra l’altro, “dal quasi inaridimento delle risorse della ricchezza pubblica”, dove quel “quasi” è un pannicello caldo, tanticchia di vaselina per far meglio penetrare il sostanziale e sottinteso concetto che se le risorse si sono inaridite non è stato certamente per colpa degli aborigeni, ma per una politica economica dissennata nei riguardi del Mezzogiorno d’Italia”. (Andrea Camilleri, Biografia del figlio cambiato, Edizioni Rizzoli – La Scala)