di Ignazio Coppola
Fantina è un paesino del Messinese. Qui il 2 Settembre del 1862, le truppe piemontesi, al comando del maggiore Giuseppe De Villalta, si resero protagoniste di un eccidio di un gruppo di garibaldini in ritirata, dopo che il loro capo – Garibaldi – era stato bloccato sull’Aspromonte dal ‘presunto’ re galantuomo. Vi raccontiamo un atto di rara vigliaccheria che la dice tutta sullo schifo delle truppe sabaude, i cui metodi non erano molto diversi da quelli che, anni dopo, la Germania di Hitler utilizzerà per fare fuori gli ebrei
Fra le tante verità negate dalla storiografia ufficiale del risorgimento in Sicilia, ossia gli eccidi, nell’Agosto del 1860, di Bronte, di Biancavilla e dei paesi del circondario etneo ad opera del generale garibaldino Nino Bixio – ed ancora la rivoluzione repressa nel sangue di Alcara Li Fusi, nel Maggio dello stesso anno, ad opera di un’altro generale garibaldino, Giovanni Interdonato, di cui troviamo traccia nel libro di Vincenzo Consolo Il sorriso dell’ignoto marinaio – e le successive rivolte anch’esse annegate nel sangue dal generale Pietro Quintino, a Castellammare del Golfo, il 3 gennaio del 1862 (che potete leggere qui) e poi ancora quella di Palermo del settembre del 1866 detta ‘La rivolta del sette e mezzo’ (durò infatti 7 giorni e mezzo) in cui, in una Sicilia tenuta, di volta in volta, in perenne stato d’assedio sino alla rivolta dei Fasci siciliani, furono massacrati migliaia e migliaia di palermitani dalle truppe piemontesi del generale Raffaele Cadorna, ve n’è una passata anch’essa nel dimenticatoio della storia del nostro risorgimento che va sotto il nome di eccidio di Fantina.
Un eccidio che la dice tutta sui barbari e sanguinari metodi, di chiara impronta nazista, dell’esercito italo-piemontese e che ebbe luogo appunto a Fantina nel Settembre 1862 in concomitanza ai fatti di Aspromonte che, come tutti sanno, si conclusero con il ferimento di Garibaldi ad opera dei bersaglieri del generale Pallavicini che aveva avuto, dal re ‘galantuomo’ Vittorio Emanuele II° l’ordine perentorio di fermare a tutti i costi, anche al prezzo di un bagno di sangue, l’avanzata dei garibaldini che si avviavano verso la città eterna al grido di “Roma o morte”.
Una scarica di fucileria alle pendici dell’Aspromonte richiamò all’ordine sabaudo i bollenti spiriti degli illusi garibaldini e ne fermò l’avanzata. Ed è da quel momento l’esercito regio apre una vera e propria caccia ai garibaldini perpetrando nei loro confronti arresti, repressioni e deportazioni. Quasi duemila volontari, per lo più, siciliani e meridionali, vengono arrestati ed assieme a diversi militari che avevano abbandonato i loro reparti per unirsi a Garibaldi vengono deportati e rinchiusi nelle fortezze dell’antico regno sabaudo tra le quali la più triste e nota era quella di Fenestrelle, nell’Alta Savoia a più di 2 mila metri dall’altezza e da cui per la rigidità del clima e per il barbaro stato di detenzione era difficile uscirne vivi.
Ed è in questo contesto della caccia spietata ai garibaldini dopo i fatti Aspromonte che avvenne appunto l’ignobile eccidio di Fantina ad opera del 47° reggimento di fanteria sabauda agli ordini del maggiore Giuseppe De Villalta nei confronti di una colonna di garibaldini guidata dal palermitano Carlo Trasselli, il quale, dopo aver inutilmente cercato di raggiungere Garibaldi in Calabria, saputo l’infelice esito dell’impresa, rassegnato si accingeva a raggiungere Novara di Sicilia per consegnare le armi al sindaco di quel paese.
Nella marcia di avvicinamento a Novara la colonna si disperse ed una parte di essa, esausta, si fermò a riposare, trovando rifugio nelle case e nella chiesetta di Fantina, un piccolo centro della provincia di Messina. E la notte tra il 2 e 3 Settembre che i fuggiaschi furono circondati e sorpresi nel sonno dai piemontesi. Circondati si arresero e quando furono tutti in piedi il comandante sabaudo maggiore Giuseppe De Villalta si fece loro incontro dicendo:
“Volontari se in mezzo a voi si celano dei disertori si facciano avanti. Il re li perdona e li lascerà immediatamente raggiungere i loro corpi“.
Illusi dalle promesse di quell’uomo senza dignità e senza alcun onore si fecero avanti in sette e immediatamente circondati e messi in disparte furono richiesti del nome e del corpo d’appartenenza da cui avevano disertato. Fu a quel punto che la jena, calpestando il codice d’onore e ogni elementare norma d‘umanità, rivelò il suo ignobile volto e rivolgendosi a quei poveretti, che si erano illusi delle sue convincenti promesse, così si pronunciò:
“Soldati voi siete spergiuri verso la patria e il re. In nome della legge militare vigente, voi siete condannati alla pena di morte da eseguirsi all’istante. Disertori, vi concedo dieci minuti da dedicare alla preghiera”
Inutili furono le proteste di quei poveri sventurati che alla fine chiesero, prima di essere fucilati, di potere scrivere due righe come ultimo pensiero ai propri cari e soprattutto, Costante Bianchi, il più giovane dei sette, appena diciottenne, che implorò sino alla fine, rivolto al plotone che stava per fucilarlo, di poter lasciare un ultimo messaggio di saluto alla amata madre.
“Soldati – disse per l’ultima volta il giovane – il voto dei morenti è sacro. Se avete una madre che amate anche voi, lasciate che io scriva una parola alla mia”.
Fu tutto inutile Giuseppe De Villalta vile jena assetata di sangue fu irremovibile rispondendo così alla supplichevoli richieste dei condannati a morte:
”Siete solo briganti e non meritate altro che piombo nello stomaco”.
Al terzo rullo di tamburo una scarica di fucileria pose fine alla vita di quelle giovani vittime. I corpi di quei sette martiri: Giovanni Balestra, Costante Bianchi, Giovanni Botteri, Giovanni Cerretti, Ulisse Grazioli, Barnaba della Momma e Giovanni Panieri furono sepolti sotto il sagrato della chiesa di Fantina e sono ricordati da una lapide commemorativa collocata sulla facciata della chiesa.
Nel Settembre del 2000, nel luogo dell’eccidio, è stato eretto un cippo con i loro nomi a perenne ricordo di quell’atto di viltà e di barbarie: quegli atti di viltà e di barbarie che i piemontesi, all’alba dell’Unità d’Italia, perpetrarono con massacri e stragi a danno delle popolazioni meridionali nel nome del Re galantuomo il quale, per l’inaudito eccidio di Fantina, non si risparmiò di dispensare promozioni (De Villanata da maggiore fu promosso colonnello) e riconoscimenti ai disumani e crudeli protagonisti di quell’atto infame e negazione di ogni umana pietà.
Dall’eccidio di Fantina riuscì a salvarsi per miracolo colui che diverrà poi un’icona dell’anarchismo e tra i fondatori del socialismo italiano, Amilcare Cipriani, il quale in seguito eletto deputato nel partito socialista non occupò mai il suo seggio per non prestare giuramento al re. Cipriani disertore due volte nella spedizione dei mille prima ed in quella d’Aspromonte poi e che in quel frangente faceva parte della colonna Trasselli, assistette impotente alla barbara esecuzione dei suoi compagni dall’alto di una collina.
Qualche anno più avanti Pietro Castagna, un altro garibaldino sopravvissuto a quell’eccidio da testimone, ricostruì, per conto del giornale di Brescia Il fascio della democrazia, con puntualità tutti i terribili particolari di quella drammatica giornata. E ancora più di recente, infine, il giornalista Antonio Ghirelli da poco scomparso, a quell’avvenimento ha dedicato nel 1986, edito da Sellerio, un saggio dal titolo: “L‘eccidio di Fantina”.
Per il resto, di questo infame atto di viltà compiuto dall’esercito piemontese non vi è la minima traccia, obliato nei partigiani resoconti della storiografia ufficiale e scolastica. La damnatio memoriae ha colpito ancora.
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