Originario della Campania, la sua famiglia era arrivata in America nel 1873. Cinque anni dopo fu assunto come netturbino a New York. Qualche anno dopo passò alla Polizia dove si guadagno la stima dell’allora assessore comunale, Theodore Roosevelt, il futuro Presidente degli Stati Uniti. Poliziotto bravissimo, Joe Petrosino seguì una pista che lo conduceva in Sicilia, forse per svelare gli intrecci tra Mano Nera e mafia siciliana. Ma la mafia lo fermò con quattro colpi di pistola, in Piazza Marina
Il 30 agosto del 1860, giusto centocinquantasei anni fa, nasceva a Padula, nel Salernitano, Giuseppe ‘Joe’ Petrosino.
La sua famiglia emigrò a New York nel 1873 e Giuseppe, poi Joe, crebbe nel sobborgo di Little Italy. Nel 1877 Joe prese la cittadinanza statunitense e fu assunto l’anno dopo come netturbino dall’amministrazione newyorkese. Era caposquadra quando, una dopo l’altra, erano cominciate ad arrivare in America le fitte schiere degli emigranti italiani.
Furono problemi per le autorità americane, primo quello dell’ordine pubblico. I poliziotti non riuscivano a capire gli italiani, né a farsi capire da loro: questo generava un clima a favore delle organizzazioni criminali.
Dipendente dal Dipartimento di polizia come spazzino, Petrosino non senza difficoltà, fu ammesso nel corpo di Polizia.. Petrosino era basso, ma in compenso aveva spalle larghe, bicipiti possenti e, ciò che più contò per il suo arruolamento, grinta ed intelligenza.
Determinante ai fini della sua carriera, oltre al suo impegno, era stata la stima riposta in lui da Theodore Roosevelt, il futuro Presidente degli Stati Uniti, allora assessore alla Polizia.
Petrosino, promosso sergente, fu affrancato dal servizio d’ordine pubblico e destinato alla conduzione d’indagini. I criminali di Little Italy si trovarono improvvisamente di fronte ad un nemico che parlava la loro stessa lingua, che conosceva i loro metodi, che poteva entrare nei loro ambienti.
Risolse brillantemente numerosi casi. Era abile nel travestirsi, rapido nell’azione, inflessibile e quasi feroce verso i criminali; divenne quasi un simbolo della lotta a favore della giustizia e della legge.
Nel 1905, divenne tenente, e gli fu affidata l’organizzazione d’una squadra di poliziotti italiani, l’Italian Branch. Questa mossa rese più proficua ed efficace la sua lotta senza quartiere contro la Mano Nera, una tenebrosa organizzazione a carattere mafioso, con ramificazioni in Sicilia attraverso la quale si esprimeva il racket.
Seguendo una pista che avrebbe dovuto portarlo ad infliggere un decisivo colpo alla Mano Nera, Petrosino giunse in Sicilia.
La missione era top secret, ma a causa di una fuga di notizie tutti i dettagli furono pubblicati sul N.Y.Herald.
Petrosino partì comunque, nella convinzione, rivelatasi un errore fatale, che in Sicilia la Mafia, come a New York, non si azzardasse a uccidere un poliziotto.
Alle 20.45 di venerdì 12 Marzo 1909, in Piazza Marina, a Palermo, all’interno del Giardino Garibaldi risuonarono tre colpi di pistola in rapida successione e un quarto fu sparato subito dopo. Petrosino fu raggiunto da quattro pallottole: una al collo, due alle spalle, e un quarto, mortale alla testa.
Il governo mise subito a disposizione la somma di 10.000 lire, corrispondenti a quasi 40.000 Euro attuali, per chi avesse fornito elementi utili a scoprire i suoi assassini. La paura della mafia però anche in quella occasione fu più forte dell’attrazione esercitata da quell’elevata offerta di soldi: le bocche rimasero chiuse.
Si ritiene oggi che il responsabile della sua fine sia stato il boss Vito Cascio Ferro, tenuto d’occhio da Petrosino sin da quando questi era a New York, ed il cui nome era in cima ad una “lista di criminali” redatta dal poliziotto italoamericano. Vi fu certamente un collegamento tra la morte di Petrosino e alcuni personaggi malavitosi appartenenti alla cosca newyorkese di Giuseppe “Piddu” Morello.
L’ipotesi più verosimile è che Morello e Giuseppe Fontana – emigrato in America dopo l’assoluzione per l’omicidio di Emanuele Notarbartolo (qui potete leggere la storia di Emanuele Nortarbartolo, ucciso dai mafiosi l’1 Febbraio del 1893) e aggregatosi alla banda di Giuseppe Morello – si siano rivolti a Vito Cascio Ferro affinché organizzasse l’omicidio del poliziotto per loro conto.
Cascio Ferro affidò l’esecuzione materiale del delitto a tale Paolo Palazzotto..