Questione migranti: dire qualche verità equivale ad essere politicamente scorretti?

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La Francia, è noto, ha quasi chiuso le proprie frontiere per ragioni di sicurezza. A Ventimiglia i migranti premono per entrare. Ma non passano più. E che fa lo Stato italiano? Mette in atto la “decompressione”. Come? Trasferendo i migranti che ‘premono’ al Sud, in Puglia. Dove verranno ospitati nei centri di accoglienza e, magari, potranno lavorare per 16 ore al giorno. Ci guadagneranno i titolari dei centri di accoglienza e chi usufruirà del loro lavoro

Capitolo I: La “decompressione”.

Cominciamo dalla fine. Dopo la brutale chiusura dei confini francesi per ragioni di sicurezza, a Ventimiglia, i migranti, ormai a migliaia, “premono” per entrare in Francia. Ma non passano più. La situazione diventa intollerabile e pericolosa. Che si fa? Semplice, si “decomprime”. Come?  Deportando un congruo numero di migranti nel caro vecchio Sud, in Puglia, dove gente accogliente e di buon cuore li impegnerà per 16 ore al giorno in lavori socialmente utili (a se stessi) pagandoli “profumatamente”. Tutto per bene.

Capitolo II: Un Paese che non c’è più

Una guerra sporca, in cui i valori universali di humanitas e di pietas sono morti, sta devastando un Paese una volta bellissimo. Una culla di civiltà sacra e preziosa, una testimonianza antica, unica, di forza e bellezza, di ricchezza interiore. Damasco, Aleppo, Palmira, un tempo evocavano storie grandi, messaggi divini, incontri tra saggezza e virtù. Tutto finito. Nell’odio e nella contrapposizione feroce e senza scrupoli tra bande rivali, tra predoni e briganti travestiti da Stati moderni e civili che, al riparo dei loro cinque pasti al giorno, bombardano chiunque stia sotto.

E’ la più visibile di tante guerre invisibili, noiose perché ormai invecchiate tra l’indifferenza e il disimpegno del colto e civile Occidente, con l’eccezione di chi dall’Occidente traffica, comprando e vendendo.

Somalia, Eritrea, Sudan, Nigeria. “Buona la guerra, tanto cibo”, bofonchiava Edgar Abito, lo scarafaggio del film Men in black.

“Ronzano due elitre fuori, ronza il folle mortorio e sa che due vite non contano”, scrive Montale .Proprio così: Non contano, né due, né duemila.

Capitolo III: Attraversando i “prati di Nettuno”

E arrivano sulle nostre coste i sopravvissuti, i profughi, i fuggiaschi. Accanto a tanti che prestano la propria opera generosa e disinteressata per soccorrerli c’ è chi si frega le mani. C’è chi con il dolore e la sofferenza ha costruito un sistema redditizio e miserabile.

Parliamo dei centri di accoglienza dei migranti. Ci sono finti samaritani che, come scarafaggi, si alimentano della miseria e della sporcizia, prima di tutte la loro.

Puntualmente, in ogni tragedia che la colpisce, l’umanità sciorina tutto il suo campionario; amore e avidità, pena e calcolo  si alternano in questo palcoscenico milionario. Tra i cani che scavano tra le macerie si mimetizzano gli sciacalli.

Chi torna a casa e la trova allagata, per prima cosa chiude i rubinetti. Noi no. Un NOI inteso in senso universale.

Ci dividiamo tra chi presidia e garantisce il perpetuarsi della perdita e chi tenta di asciugare il pavimento. Tra chi accoglie e chi rifiuta. E tra questi ultimi sono sicuro che c’è qualcuno che sarebbe ben disposto all’accoglienza se potesse trattare i profughi come schiavi da tenere nelle baracche e farli lavorare nei campi o nelle fabbriche dall’alba al tramonto.

 

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