La storia del Castello Utveggio di Palermo, condannato di nuovo all’abbandono

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Voluto alla fine degli anni ’20 del secolo passato dal cavaliere Michele Utveggio, il Castello, che si affaccia su quello che Goethe definiva “il più bel promontorio del mondo”, non ha mai avuto fortuna. Inizia come albergo di lusso: il Grand Hotel Utveggio. Ma dopo la seconda guerra mondiale cade nell’abbandono. Lo rilancia, alla fine degli anni ’80 del secolo passato, l’allora Presidente della Regione, Rino Nicolosi, come sede del CERISDI, Centro di alta formazione. A riportarlo ai ‘fasti’ dell’abbandono sta pensando il Governo Crocetta. Con il sindaco Leoluca Orlando nel ruolo che gli è congeniale: il cane dell’ortolano…

Il crollo della casa degli Usher è uno dei racconti più tenebrosi e inquietanti di Edgar Allan Poe, dove il male trionfa senza violenza, ma attraverso il cupio dissolvi, l’esercizio volontario, cosciente e deliberato dell’inerzia e del’indifferenza.

Mi è venuto in mente riflettendo sulle vicende che hanno portato alla ennesima chiusura del Castello Utveggio, ovvia conseguenza della chiusura del Centro di studi direzionali (CERISDI), la cui istituzione fu fortemente voluta negli anni ’80 del secolo scorso dall’allora Presidente della Regione, Rino Nicolosi, che ne ebbe l’intuizione.

Tutti i palermitani vedono e  ammirano ogni giorno della loro vita il Castello, ma pochi lo hanno visitato e vissuto e quindi possono dire di sentirlo proprio. E temo che questo sia il karma negativo della costruzione di questo edificio, il suo vero, grande nemico.

Facciamo po’ di storia e cerchiamo di capire come è andata.

Il castello Utveggio è un imponente edificio in stile liberty, simile ad un castello neogotico dal caratteristico colore rosa pallido (che non è il colore originale, che invece era di un rosso scuro mattone, colore che personalmente preferivo), posto sul promontorio del monte Pellegrino, il “più bel promontorio del mondo”, come Goethe lo definì nel suo  Viaggio in Italia. E’ posto a circa 350 metri sul livello del mare.

La costruzione dell’edificio iniziò nel 1928 e venne ultimata nel 1933. L’edificio fu inaugurato l’anno successivo. Il progetto era dell’architetto Giovan Battista Santangelo, professore della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Palermo, che lo eseguì per volere del cavaliere Michele Utveggio. Il cavaliere, che aveva acquistato nel 1927 i terreni dal Comune di Palermo, finanziò l’intera opera, compresa la strada di collegamento e il sistema di approvvigionamento idrico.

L’edificio venne quindi adibito ad albergo di lusso, al quale venne dato il nome di Grand Hotel Utveggio.

Purtroppo l’idea imprenditoriale non ebbe fortuna, nonostante l’offerta per l’epoca fosse estremamente competitiva. Dopo poche stagioni in affari, con l’inizio della seconda guerra mondiale, l’attività declinò. La guerra e l’utilizzo del castello e dell’intera zona, prima da parte delle truppe nazifasciste, e poi di quelle alleate, decretarono la chiusura definitiva dell’impianto. C’è chi ricorda che, dopo pochi giorni dall’abbandono, come se si fosse data appuntamento, una folla di popolani, a bordo di decine e decine di  carretti, strascini, carrettini a mano e camioncini, persino a piedi, prese d’assalto il castello e lo svuotò completamente.

Dopo anni di squallore e di abbandono, il castello venne acquistato e restaurato dalla Regione ed affidato nel 1988 ad un ente per la realizzazione di una scuola manageriale, il CERISDI, Centro di alta formazione, appositamente istituito. Con l’occasione vennero aggiornati gli interni originali e furono adeguati gli impianti idraulici, elettrici ed informatici per rendere la struttura moderna.

La felice intuizione di Nicolosi si scontrò presto con la truce realtà della politica regionale. Da un lato l’invidia del fare, che condannano coloro che lavorano; dall’altra la bassezza politica dei soci dell’ente che hanno sempre subordinato i finanziamenti all’ente, così come a qualunque istituzione, alla risposta alle immortali parole di Sylock, il mercante di Venezia: “A me che me ne viene?”.

E infine la consequenziale inadeguatezza degli amministratori, scelti, salvo qualche rara e perciò preziosa eccezione, dai politici di turno con il metodo della fedeltà e non con quello della competenza (Immaginatevi l’Accademia musicale Chigiana o la Scuola musicale di Fiesole o l’Opificio delle pietre dure di Firenze o il Collegio europeo di Parma nella mani di Crocetta e CO& !!).

Dopo anni buoni, anni così così e annate sempre più grame e travagliate, la politica si rese conto che il gioco non valeva  più la candela. Meglio dirottare i soldi del finanziamento del CERISDI, peraltro sempre più esigui, a qualche centro studi fatto in famiglia che, all’ombra dei cipressi, pare che non faccia nulla ed invece fa tanto…

E così, dopo quelli comunali, cessano i finanziamenti regionali. Dei privati manco a parlarne. Quelli sono duri di suo, ma sono disposti scucire i soldi solo se possono confrontarsi con persone serie e condividere progetti veri e seri. E così la lenta agonia cessa il 23 marzo 2016, quando l’Assemblea straordinaria dei soci ha deliberato lo scioglimento dell’Associazione e la conseguente liquidazione del Centro.

Sulla decisione è intervenuto, veloce come una di quelle poiane che nidificano sulla nostra montagna sacra, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, la cui indifferenza nei confronti della scuola lo chiama invece alle sue responsabilità.

Orlando ha definito la liquidazione “l’epilogo temuto e preannunciato dell’attuale gestione del CERISDI, espressione della Regione del tutto disattenta e assente”. Ed ecco il punto: “Una gestione priva di progettualità (la sua di lui) e chiusa ad ogni forma di apertura a istituzioni e realtà locali (come la sua) e internazionali”. Orlando chiude la sua appassionata requisitoria dichiarandosi pronto a continuare fare quello che ha fatto finora, ovvero “sollecitare la presenza a Castello Utveggio di una struttura di formazione di eccellenza a servizio di tutta la comunità, richiamando il ruolo della Regione anche quale proprietaria del Castello”.

Ma di suo non ci deve mettere niente, a meno che non faccia tutto lui, che le cose le sa fare.

Il metodo Orlando, dunque, ovvero del cane dell’ortolano: non raccogliere e non fare raccogliere.

Foto di Giuseppe Romano

 

 

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