In attesa del referendum sulla Brexit, Londra si allontana sempre più dall’ UE mentre la Commissione di giustizia europea avalla le decisioni nazionaliste targate UK stabilendo che i beneficiari degli assegni familiari dispongano del diritto di soggiorno. L’inizio della fine dell’Europa?
Gli occhi del mondo sono puntati su Londra: resterà o no nell’Unione europea? Cosa decideranno gli inglesi il prossimo 23 Giugno? Gli ultimi sondaggi- e conoscendo gli inglesi non ci sorprende- danno in vantaggio i sostenitori della Brexit, ma la contrarietà delle oligarchie finanziarie all’uscita della Gran Bretagna dall’UE rendono ogni previsione difficile (non manca chi fa notare che ogni voto contro il sistema finora è sempre finito con un particolarissimo 51% a favore dello status quo, vedi il referendum sulla secessione scozzese).
Sia quel che sia, non ci resta che aspettare. Nel frattempo, però, non mancano segnali che avallano la chiusura di Londra anche a livello europeo. Ci riferiamo ad una sentenza della Corte di Giustizia europea che farà sicuramente discutere: “Il Regno Unito può esigere che i beneficiari degli assegni familiari e del credito d’imposta per i figli a carico dispongano di un diritto di soggiorno in tale Stato. Sebbene tale condizione sia considerata una discriminazione indiretta, essa è giustificata dalla necessità di proteggere le finanze dello Stato membro ospitante”.
Un pronunciamento rivoluzionario per certi versi che, indirettamente, assesta un colpo ai sostenitori di una Unione europea sempre più schizofrenica e i cui costi, poi, ricadrebbero su Paesi che hanno un buon sistema di welfare. Parliamo della sentenza nella causa C-308/14 resa nota oggi.
La Commissione europea, in sintesi, ha ricevuto numerose denunce di cittadini dell’Unione non britannici residenti nel Regno Unito, i quali lamentavano il fatto che le autorità britanniche competenti avessero negato loro la concessione di determinate prestazioni sociali a motivo del fatto che essi non erano titolari di un diritto di soggiorno in tale paese. La Commissione ha dunque proposto un ricorso per inadempimento contro il Regno Unito. Che la Corte di Giustizia Europea ha respinto al mittente:
“La Corte – si legge in una nota dell’organismo UE- respinge l’argomento principale della Commissione, secondo il quale la normativa britannica impone una condizione aggiuntiva a quella della residenza abituale, contenuta nel regolamento. In proposito, la Corte ricorda che il criterio della residenza abituale, ai sensi del regolamento, non è una condizione necessaria per poter beneficiare delle prestazioni, ma una «norma di conflitto» il cui scopo consiste nell’evitare l’applicazione simultanea di diverse normative nazionali e di evitare che le persone che hanno esercitato il diritto di libera circolazione restino senza tutela. Secondo la Corte, il regolamento non organizza un regime comune di sicurezza sociale, ma lascia sussistere regimi nazionali distinti. Esso non stabilisce quindi le condizioni sostanziali per la sussistenza del diritto alle prestazioni, poiché spetta in linea di principio alla normativa di ciascuno Stato membro determinare tali condizioni. In tale contesto, la Corte rileva che nulla osta a che la concessione di prestazioni sociali a cittadini dell’Unione economicamente inattivi sia subordinata al requisito che essi soddisfino le condizioni per disporre di un diritto di soggiorno legale nello Stato membro ospitante”.
E ancora:
“Per quanto riguarda l’argomento dedotto dalla Commissione in subordine, secondo il quale il controllo del diritto di soggiorno costituisce una discriminazione, la Corte dichiara che la condizione del diritto di soggiorno nel Regno Unito crea una diseguaglianza, poiché i cittadini nazionali la soddisfano più agevolmente dei cittadini degli altri Stati membri. Tuttavia, la Corte considera che tale differenza di trattamento possa essere giustificata da un obiettivo legittimo come la necessità di proteggere le finanze dello Stato membro ospitante, a condizione che essa non vada al di là di quanto necessario per conseguire tale obiettivo.
A tale proposito, la Corte accerta che le autorità nazionali procedono alla verifica della regolarità del soggiorno conformemente alle condizioni enunciate nella direttiva sulla libera circolazione dei cittadini. Tale controllo non viene quindi effettuato sistematicamente dalle autorità britanniche per ogni domanda, ma soltanto in caso di dubbio. Ne risulta che la condizione non va al di là di quanto necessario per conseguire l’obiettivo legittimo perseguito dal Regno Unito, ossia la necessità di proteggere le proprie finanze”.