Dagli anni ’50 del secolo passato ad oggi Emanuele Macaluso, in Sicilia, ne ha combinate di tutti i colori. Ma dei suoi errori non parla mai. Oggi, a novant’anni, continua a parlare degli errori politici. Naturalmente degli altri. Ma un po’ di resipiscenza no?
L’intervista a Emanuele Macaluso, un santone della politica, sopravvissuto a se stesso, pubblicata dal settimanale L’Espresso, è un monumento all’ipocrisia e al paraculismo.
Le colpe storiche di Macaluso sono note e non mette conto parlarne. Ma siccome l’insigne statista, invece di scegliere un silenzio pieno di pudore, ha ceduto ancora una volta alla sua senile vanità e ha parlato, qualcosa va pur detta.
Nelle sue risposte all’intervistatore non c’e una sola parola di commento sulla politica del suo partito: partito che, sia che si chiamasse PCI, PDS, DS o PD, mai, dico mai, e sono pronto a sostenere qualsiasi confronto, ha resistito alla tentazione di NON VOTARE nello stesso modo della DC, del CCD, del CDU, dell’UDC, di FI, di MPA e di chiunque avesse il boccino, fosse anche l’ultimo dei Giufà.
E poiché nella storia tormentata dell’Autonomia regionale il suo partito non ha mai avuto meno del 25% dei deputati, la sua responsabilità, nelle vicende della Regione e della Sicilia, è almeno pari al 25 % di quella di tutti gli altri.
Un po’ di resipiscenza sarebbe gradita.