I nostri due articoli sui precari siciliani (Lettera ad un mascalzone 1 e 2) hanno suscitato un putiferio. Commenti risentiti che non hanno disdegnato l’ingiuria, mai amica del ragionamento. Oggi pubblichiamo la lettera di Massimo Costa che critica, in maniera costruttiva, gli argomenti esposti
*di Massimo Costa
“Ritengo opportuno intervenire su questo spinoso problema, visto che si sta arrivando alle parole grosse e, questo è senz’altro vero, stanno venendo i nodi al pettine di un’antica questione mai risolta.
“Voglio complessivamente dissentire dai toni e dal metodo usati nei precedenti articoli (che trovate sotto in allegato, ndr) per affrontare il tema dei precari, i quali – sebbene contengano alcuni punti di incontestabile verità – affrontano un problema sociale ed economico complesso con un approccio semplificatore, non del tutto adeguato a mio parere.
Noi pensiamo già da classe dirigente. E una classe dirigente che subentra a quella pseudo-dirigente e coloniale deve porsi responsabilmente dei percorsi di eversione dal vecchio malaffare. Percorsi che riconcilino fra di loro le diverse componenti della nazione siciliana, e non mirate a creare scontro, povertà, destabilizzazione.
Dico subito su che cosa concordo con gli editoriali pregressi. La prima è il giudizio negativo sull’andazzo clientelare, anticostituzionale, che ha consentito la nascita e il perpetuarsi di questa mostruosità. Nella pubblica amministrazione si deve entrare per concorso, punto e basta. Su questo siamo d’accordo. Sono d’accordo anche sul fatto che toni eversivi e minacciosi, per quanto possano “scappare” in contesti di disperazione (umanamente non è esattamente la stessa cosa avere un reddito fisso e garantito e non sapere come dar da mangiare ai propri cari domani mattina), non sono comunque accettabili. Non lo so se sono espressioni fuggite dal senno o se qualcuno minaccia davvero la guerra civile. Ma se qualcuno vuole seguire questa strada pericolosa, se ne assuma le conseguenze penali. Su questo sgombriamo il campo da qualsiasi equivoco.
Però, la mia solidarietà con l’autore finisce qui. La criminalizzazione di un pezzo della società siciliana che è stata vittima del sottosviluppo e del ricatto occupazionale non fa granché onore a chi l’ha scritta. Sappiamo tutti qual è stato il modello di sviluppo “cripto-coloniale” che la Sicilia ha sperimentato almeno dagli anni ’60 del secolo scorso: posti in cambio di voti. E più precari erano i posti, meglio era per la “banda” di ascari che negava alla Sicilia uno sviluppo vero, perché avrebbe legato la sopravvivenza di decine e centinaia di migliaia di siciliani a quella della banda stessa. Si è negato, regalando mercati e risorse nostre all’Italia continentale, uno sviluppo endogeno, quello che sarebbe stato consentito dalle inattuate prerogative statutarie, per sostituirlo con una presenza asfissiante della P.A. a sua volta ostaggio dei partiti (anche di quelli di “opposizione”). In queste condizioni, chi nasceva in Sicilia e non aveva né accesso a quei piccoli spazi di mercato sopravvissuti, né qualità personali e professionali speciali per poter emergere comunque, né la possibilità di emigrare, veniva spinto a fare anticamera dal politico/barone al quale dovere la propria sopravvivenza. Talvolta queste pressioni e quest’anticamera non erano fatte in modo personale ma di gruppo, attraverso i “sindacati”, vera cinghia di trasmissione del potere costituito. Da qui il resto è stato una conseguenza naturale.
Ma – si dirà – resta il fatto che giuridicamente costoro non sono vincitori di concorso, e quindi non hanno alcun diritto a lavorare nel pubblico impiego….
Ora, se non avessi mai lavorato nel pubblico impiego, mi berrei questa frottola. Purtroppo (per me, il peggiore dei miei ricordi professionali) sono stato un anno e mezzo circa istruttore direttivo amministrativo del Comune di Palermo. In quella selvaggia burocrazia, oltre ai precari propriamente detti, c’erano naturalmente i dipendenti comunali. Fra questi, in barba alla Costituzione, i “vincitori di concorso” eravamo una piccolissima minoranza. Tutti gli altri erano entrati con varie “ondate di stabilizzazioni” di precari di generazioni precedenti, degli anni ’70 ecc.
Voglio aggiungere che, con qualche nobile eccezione che va pure ricordata, io riconoscevo a vista i vincitori di concorso dagli stabilizzati. I primi erano mediamente più laboriosi, più dotati, meritevoli di svolgere quelle funzioni che pure svolgevano per un salario da fame (io stesso sono scappato il prima possibile da quella forma di sfruttamento legalizzato). Non so se il loro concorso sia stato trasparente oppure se erano raccomandati. In ogni caso erano migliori. Si vedeva. Poi quelli entrati nei concorsi “per soli titoli” (le mosche bianche entrate con la riforma del Governo Campione), lasciatemelo dire, eravamo le “eccellenze”. Tutt’oggi, dacché questi concorsi sono stati aboliti, il nerbo dell’amministrazione regionale e comunale è dato da coloro che negli anni ’90 entrarono in questo modo.
Perché racconto questo? Perché, ad andare indietro, si dovrebbero a rigore licenziare il 90 % dei dipendenti regionali e comunali (alla Luttwak?) e ricominciare da zero con i pubblici concorsi. La “fortuna” di avere avuto un provvedimento di stabilizzazione non rende, non ha mai reso, i “vecchi” precari migliori di “questi”. Stesse le logiche di reclutamento, stessa la materia umana e le performance ottenute.
Non si può “fare giustizia” ripartendo da Adamo ed Eva. E’ una follia bella e buona. Per questo motivo in tutti gli ordinamenti privatistici hanno inventato istituti come la prescrizione e la decadenza, e …. vengo al punto … per la stessa ragione in tutti gli ordinamenti pubblicistici hanno inventato istituti come la stabilizzazione.
Una nazione che uscisse dalla colonizzazione come la Sicilia, dovrebbe attuare provvedimenti di sanatoria, di riconciliazione, per guardare avanti, non provvedimenti di folle giustizialismo. Siamo assetati del “sangue” dei precari? Ma, di grazia, nel 2016, con l’economia ferma, con l’euro e con la folle austerity e pressione fiscale che abbiamo, che caspita devono fare questi quarantenni/cinquantenni? Devono morire? Devono andare a rubare? E’ questa la risposta “intelligente”? Mi dispiace, me ne dissocio.
La risposta intelligente deve essere data dalla graduazione dei provvedimenti.
Non so, provo a ragionare a voce alta.
I precari assunti da meno di dieci anni, effettivamente non hanno alcuna pretesa legittima di stabilizzazione. Si possono studiare forme di sostegno al reddito, di assistenza, per un numero di anni necessario a reinserirsi in un’attività lavorativa, ma nulla di più.
Diverso è il caso di chi DI FATTO lavora da decenni in un Comune. Spesso sono loro che tengono in piedi la baracca, che bene o male hanno acquisito esperienza. il Comune ha investito su di loro per anni e anni. Sono stati “assunti di fatto”, non molto diversamente dagli stabilizzati “di diritto” spesso loro coetanei. Buttarli fuori potrebbe essere una perdita per la Sicilia, tanto da un punto di vista macroeconomico (di colpo vien meno un reddito disponibile, mentre quello che lo sostituirà è tutto da vedere) quanto da un punto di vista microeconomico (siamo sicuri che i Comuni l’indomani mattina funzionano? ho seri dubbi). Certo, devono passare da un concorso. E allora?
E allora una posizione intelligente è la seguente.
Si determinano gli organici di riferimento (anche snelliti, ma non per fare contenta la Trojka, ma secondo regole razionali di lean management, con un ricorso sensibile all’informatizzazione dei servizi). Se ci sono esuberi, questi vanno risolti ponendo i precari in sovrannumero nelle mani di una forma di “assistenza” regionale (reddito di cittadinanza, o qualcosa del genere). Se l’esubero è degli stabilizzati, si tengono, facendo far loro mansioni di secondaria importanza, fino al rientro, e comunque mettendo in disponibilità per altre amministrazioni le postazioni in eccesso.
Se invece ci sono carenze (e ci sono, in molti ambiti), si fanno i concorsi, ma questi, al 75 % almeno, devono essere riservati a chi è stato precario dello stesso comune per un numero abbastanza elevato di anni, per il resto, prima gli esuberi delle partecipate regionali e poi, se resta qualcosa, si apre all’esterno. Una quota aperta all’esterno, anche per garantire un minimo di ricambio generazionale, la garantirei sempre (ad esempio un 10 %) e -se praticabile – per soli titoli. Una prova d’arte, una selezione adeguata per i nostri. In questo modo il “peccato originale” è sanato, e queste persone ritrovano quella dignità che non hanno mai avuto. Perché negarla loro? Perché poi non votano più per questo o quel partito? Oppure per “vendetta” del fatto che hanno votato in passato per i partiti sbagliati? Non hanno votato certo per noi, ma la “vendetta” non deve far parte del nostro armamentario politico. Se non riescono nemmeno dopo 30 anni di lavoro a superare la prova interna, beh, allora rappresentano davvero la parte “marginale” di questo polmone, e – anche in questo caso – vanno gestiti con l’assistenza, ma fuori dai ranghi lavorativi.
In questo modo si dà giustizia, si sfrutta un’esperienza pregressa, si chiude con questa servitù della gleba, si inaugura una fase nuova per la P.A. Siciliana. Ma non è un “pasto gratis”, se la devono guadagnare la stabilizzazione!
Resterà fuori solo chi non sa o chi non vuole lavorare o chi è davvero in esubero rispetto alle esigenze della pubblica amministrazione. E lì, quando parlo di assistenza, parlo di un reddito comunque di sussistenza, perché la “macelleria sociale” non conviene a nessuno.
Altrimenti è solo la guerra tra poveri, una volta che tutte le nostre risorse sono distratte definitivamente dalla Sicilia e portate fuori. Il partito dei “tagli lineari” non mi convince. L’austerità espansiva non esiste, se non nella testa di Schaeuble. Non facciamo il suo gioco per favore.
I nodi sono venuti al pettine, questo è vero. A noi sta il compito di fare di questo esercito un esercito di rivoluzionari che lotta per una nuova Sicilia, prospera, libera ed indipendente, riscattandosi da un passato di servaggio, ovvero di ricacciarli in un esercito di controrivoluzionari, che lotterà per perpetuare lo spreco assistenzialista e per il disgraziato tricolore che li ha assoldati per anni”.
*Presidente di Siciliani Liberi
Precari siciliani: lettera aperta a un mascalzone
Precari siciliani: lettera a un precario mascalzone Atto secondo
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