Assistevo un giorno di tanti anni fa ad uno degli incontri di boxe di Cassius Clay, il grande campione dei pesi massimi. Era la seconda metà degli anni settanta e Clay difendeva il suo titolo, appena strappato in una notte leggendaria a George Foreman, contro un pugile tedesco di cui non ricordo il nome.
Clay ormai da anni si chiamava Mohamed Alì, aveva abbracciato la fede musulmana e aveva messo su qualche chilo di troppo, che cercava di dissimulare indossando larghi mutandoni bianchi. Non ballava più sul ring, ma vi si piazzava al centro, come Zeus sulla cima dell’Olimpo e da lì ogni tanto faceva partire le sue folgori.
Quella sera, davanti il televisore, mi teneva compagnia mio figlio, un bimbetto di poco più di quattro anni. Qualcosa sullo schermo lo attirò e prese a seguire affascinato quel che vi succedeva. Cominciò a farmi qualche domanda e io gli risposi.
Poi gliene feci una io, la più ovvia:
“Chi è più bravo secondo te?”
Lui, senza distogliere lo sguardo dal video non mi rispose “il figlio di Ario”, né ” il mangiatore di meloni”, mi disse semplicemente:
“Quello con i pantaloncini bianchi”.
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