Dice Renzi: “Non sparate nel mucchio!”. Ha ragione. Noi, infatti, non spariamo nel mucchio: al contrario, ci limitiamo ad illustrare ai nostri lettori i nomi, i cognomi e i carichi pendenti dei parlamentari del Partito Democratico che hanno problemi con la Giustizia. Ricordando che in altri Paesi del mondo, per molto meno, capi di governo, ministri e parlamentari rassegnano le dimissioni
Non sparate nel mucchio!, tuona Renzi.
Giustissimo. Noi faremo i nomi, i cognomi e descriveremo i carichi pendenti degli inquisiti, degli indagati, dei condannati e dei prescritti del suo partito – il PD – che siedono ancora bellamente nel Parlamento italiano, fulgido esempio di nobiltà morale, di alto senso delle istituzioni e religioso rispetto per l’elettore e per la nazione tutta.
Il messaggio di Renzi è chiaro. I nostri non si dimetteranno mai, né tanto meno saranno espulsi dal partito. E’ tutta gente solida, e fino a quando non ci saranno sentenze passate in giudicato, i nostri eroi resteranno saldamente al proprio posto.
Se dunque i magistrati, nonostante le prescrizioni abbreviate, i cavilli procedurali, la maestria forense e la naturale debolezza della natura umana ce la faranno a concludere i processi, pazienza.
Dopo la rassegna degli indecorosi, vi mostreremo cosa succede nei Paesi civili di tutto il mondo in casi assai meno gravi di quelli che avvengono dalle nostre parti.
Ricordiamo infatti ai nostri lettori che in ogni Paese civile, qualsiasi soggetto che ricopre incarichi pubblici che venga sottoposto ad accuse o a processi per corruzione o per altri reati contro la pubblica amministrazione si dimette, almeno fino a quando non ha risolto i suoi problemi con la Giustizia.
Nei Paesi civilizzati ci si dimette anche per comportamenti non penalmente (ma moralmente) rilevanti.
CONDANNATI, PRESCRITTI E IMPUTATI del PARTITO DEMOCRATICO NEL PARLAMENTO ITALIANO
(Aggiornato a: Aprile 2016)
Per cominciare due parole su:
RENZI Matteo – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO.
Quando era presidente della Provincia di Firenze la giustizia contabile gli ha contestato il danno erariale: l’assunzione presso la Provincia di 4 dirigenti, in violazione delle disposizioni riguardanti la contrattazione collettiva del comparto. Aveva inquadrato nel suo staff quattro persone esterne all’amministrazione come funzionari, qualifica che richiede la laurea, pur non possedendola. L’indagine era nata da una denuncia sull’assunzione di Marco Carrai, “uomo-ombra” del renzismo, all’epoca ventinovenne, sistemato nella segreteria del presidente nonostante fosse privo del diploma di laurea. Così per cinque anni, i quattro avrebbero beneficiato di uno stipendio maggiorato e non dovuto. Renzi subisce 2 condanne (4 agosto 2011 e il 9 maggio 2012) dalla Corte dei Conti, insieme ad altre 20 persone, per danno erariale.
Ma in appello viene assolto con una sentenza unica nella storia della giurisprudenza:
i giudici della I Sezione centrale di appello di Roma il 4 febbraio 2015 sentenziano che:
“Pur non ricorrendo gli estremi della cosiddetta ‘esimente politica’, questo Collegio ritiene di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un ‘non addetto ai lavori’”.
In poche parole, Renzi, laureato in Giurisprudenza, e con a disposizione uno staff legale da Presidente di Provincia, viene assolto perché non in grado di percepire le illegittimità del proprio operato.
L’ignoranza della legge, mai ammessa in giurisprudenza, viene fatta valere ad personam per il Pinocchio del Mugello.
Il giudice che emette la sentenza, 2 mesi dopo, viene casualmente nominato a capo della Corte dei Conti.
In un altra vicenda, la Procura di Firenze ha aperto un’inchiesta, senza indagati, sulla casa di Firenze dove Renzi ha soggiornato frequentemente dal 2011 al 2013, il cui affitto è sempre stato pagato dall’imprenditore Marco Carrai (Carrai ha a sua volta ottenuto svariati incarichi in società controllate dal Comune e appalti dall’amministrazione Renzi)
Il 27 ottobre 2003, un giorno prima dell’ufficializzazione della sua candidatura a Presidente della Provincia di Firenze, Renzi si fa “assumere” dall’azienda di famiglia (la Chil Srl ora rinominata Eventi 6) che trasforma il suo contratto da Co.co.co (Collaborazione coordinata continuativa) in uno da dirigente. Da quel momento Renzi, in caso di elezione, avrà diritto ai contributi pensionistici figurativi. La legge infatti prevede che sia l’ente locale a pagare i contributi e a versare il TFR ogni anno.
Grazie a quella “assunzione”, Provincia e Comune hanno già pagato (ovviamente con soldi pubblici) circa 43.000 mila euro di contributi fino all’inizio del 2014 per costruire la pensione e il TFR di Renzi.
Solo 10 anni dopo i fatti, quando un inchiesta de Il Fatto Quotidiano ne rivela la vicenda a livello nazionale, nel maggio 2014 Renzi annuncia che si sarebbe dimesso dalla società di famiglia. Ma nel luglio 2015 lo stesso giornale scopre che Renzi li ha incassati senza rinunciarvi. Per una vicenda simile l’ex ministro Josefa Idem è a processo per truffa aggravata
SENATORI (una volta si chiamavano “PATRES CONSCRIPTI”, ma quella era un’altra “res publica”)
BARRACCIU Francesca. Vice-ministro del Governo Renzi – A processo per peculato.
BUBBICO Filippo. Vice-ministro dell’interno. Sotto inchiesta della Corte dei Conti per consulenze ingiustificate quando era nell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale della Basilicata.
DE FILIPPO Vito. vice-ministro della Sanità. A processo per peculato in Basilicata sulle spese pazze al consiglio regionale. La Procura sta anche indagando su presunte irregolarità nell’erogazione di fondi regionali all’impresa della figlia quando lui era governatore.
FOLINO Vincenzo. Condannato dalla Corte dei Conti per aver intascato rimborsi illegittimi dalla regione. A processo per peculato a Potenza.
GULLO Tindara Maria. A processo a Messina per falso ideologico e voto di scambio.
LANZILLOTTA Linda. Condanna in sede civile della Corte dei Conti per danno erariale per consulenze ingiustificate (40 mila euro).
OLIVERIO Nicodemo. A processo a Roma con altre 14 persone per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale aggravata.
DEPUTATI
AIELLO Ferdinando. Indagato per peculato.
ASTORRE Bruno. Indagato per peculato da ex consigliere regionale Lazio.
BATTAGLIA Demetrio. Indagato per peculato.
BOSSA Luisa. Indagata per corruzione per una vicenda di appalti a Ercolano (di cui era sindaco). E’ membro della Commissione Antimafia (ovviamente!).
BRAGANTINI Paola. Indagata per truffa aggravata da presidente di circoscrizione a Torino.
BROGLIA Claudio. Indagato per truffa nella ricostruzione post terremoto in Emilia.
CAPELLI Roberto. Indagato per peculato (129.000 Euro) nell’inchiesta sui fondi ai gruppi consiliari della Regione Sardegna, quando era consigliere dell’UDC.
CENSORE Bruno. Indagato per peculato.
DI STEFANO Marco. Indagato per corruzione.
FARAONE Davide (il figlio prediletto del Partito)- Indagato per peculato.
Un’indagine dei carabinieri rivela che il 10 marzo 2008 Faraone si accomoda nel salotto di Agostino Pizzuto, custode dell’arsenale della famiglia del quartiere San Lorenzo-Resuttana (Palermo) E si parla di voti”.
Tutti gli ospiti sono incensurati, ma in quel momento sotto indagine dei carabinieri che, appostati fuori, registrano l’arrivo del futuro deputato che Pizzuto chiama per nome, “Davide”.
Quattro giorni dopo una microspia piazzata nell’auto di Pizzuto, ufficialmente giardiniere del Comune a Villa Malfitano, dove custodiva le armi della cosca, capta un colloquio con un altro degli indagati, Antonino Caruso, anch’esso pubblicato sul sito dei grillini:
“Allora hanno chiesto qualche cortesia… qualche cosa si matura… noi altri abbiamo fatto la campagna elettorale per Faraone…”, dice Caruso. Che aggiunge: “Faraone ci dice… non ce l’abbiamo fatta, mi è dispiaciuto, mi devo ricandidare al Comune”.
Quattro anni dopo, durante le primarie del PD per il Comune di Palermo, Stefania Petix, l’inviata di Striscia la notizia, e il suo fedele bassotto sorprendono Faraone mentre rassicura il membro di una cooperativa di disoccupati, Palermo Migliore, che poco prima avevano indetto una riunione per invitare i soci a votare per lui.
“Sono caduto in un trappolone ordito dai personaggi coinvolti in queste primarie – replica – sto cercando di scoprire, con delle indagini personali, chi siano e perché hanno agito ai miei danni”
E’ membro della Commissione parlamentare antimafia (sic).
LUCHERINI Carlo. Indagato per peculato nello scandalo Spese Pazze alla Regione Lazio.
Secondo la procura, il gruppo del PD alla Regione Lazio, tra il 2010 e il 2012, avrebbe dilapidato 2 milioni e 600 mila Euro.
MARROCU Siro. Indagato per peculato (173.000 euro).
MELONI Marco. Indagato per peculato.
SANNA Francesco. Indagato per peculato (83.000 Euro).
SCALIA Francesco. Indagato per peculato in concorso nello scandalo dell’aeroporto di Frosinone. Indagato in un’altra inchiesta sempre per peculato da ex consigliere reg. del Lazio
VALENTINI Daniela. Indagata per peculato.
(Nella lista non ci sono i nomi dei dirigenti e consiglieri regionali e – nel caso della Sicilia – dei deputati regionali he hanno problemi con la Giustizia).
Ora lasciamo la Colombia, pardon, l’Italia, e andiamo in qualche paese civile. Ecco qualche esempio “da evitare”.
Il ministro della Difesa tedesco Karl-Theodor zu Guttenberg si è dimesso per avere copiato la sua tesi di dottorato.
Chris Lee, deputato repubblicano newyorchese, si è dimesso per avere pubblicato nel suo sito una foto a torso nudo per incontrare una ragazza. Lee ha dichiarato:
“Mi dispiace per il danno che le mie azioni hanno causato alla mia famiglia, al mio staff e ai miei elettori’’.
La leader dei socialdemocratici svedesi, Mona Sahlin, si dimise da vice premier e da deputata per il cosiddetto affare Toblerone, chiamato così perché due confezioni del celebre cioccolato svizzero apparivano nella lista di acquisti fatti impropriamente dall’allora vicepremier di Stoccolma con la carta di credito riservata alle spese di servizio.
Sempre in Svezia, il ministro dei Trasporti, Maria Borelius, si è dimessa. Ecco i suoi “crimini”: babysitter senza contributi, canone tv non pagato e un marito proprietario di una casa di vacanze intestata a una società con sede nell’isola di Jersey, paradiso dell’esentasse.
Un paio di giorni dopo si dimette una sua collega, il ministro della Cultura, Cecilia Stegö Chilò: anche per lei tate in nero e canone tv non pagato.
Il Ministro dell’Interno inglese, la laburista Jacqui Smith, fu accusata di aver indicato come sua abitazione principale una casa londinese di proprietà di sua sorella. Ma la cosa che più stuzzicò i giornali inglesi fu l’acquisto con denaro pubblico di quattro film su un canale pay-per-view, due dei quali porno (probabilmente comprati dal marito).
A David Blunkett, ministro dell’Interno, pochi anni prima era toccato dimettersi da ministro in meno di un anno davanti all’accusa di aver cercato di dare una spintarella alle pratiche del permesso di soggiorno della babysitter filippina assunta dalla sua ex amante.
Non soltanto in Europa settentrionale ci sono politici dalle dimissioni facili.
In Spagna lasciò il suo incarico il ministro della Giustizia, Mariano Fernández Bermejo, per aver partecipato a una battuta di caccia pur essendo sprovvisto di licenza.
Joyandet, sottosegretario nel governo francese, si è dimesso per avere ottenuto un permesso di costruzione irregolare per ampliare la sua casa;
Blanc, anch’egli sottosegretario, si è dimesso perché scoperto ad usare soldi pubblici per un suo vizietto: l’acquisto di sigari pregiati per un totale di 12.000 euro.
Il vizio del fumo e il sigaro è stato fatale anche alla carriera di Rhodri Glyn Thomas, il ministro della Cultura del Galles. Thomas non ha retto quando è stato sorpreso e sgridato dai gestori di un pub mentre si godeva un sigaro nonostante il divieto di fumare
Sembra incredibile a noi italiani, abituati diversamente. Nel resto del mondo ci si dimette per difendere l’onorabilità della politica e da noi spesso nemmeno i reati più gravi sono sufficienti per suscitare un rigurgito di senso del dovere e portare alle dimissioni.
Altrove un politico indagato, o, molto più semplicemente, colpito nella propria moralità, si dimette, lascia il suo incarico nel rispetto del principio che chi rappresenta il popolo debba essere al di sopra di ogni sospetto. Da noi no.
Da noi si usano parole come “giustizialismo” se solo ci si azzarda a fare la lecita domanda “ma non sarà il caso che si dimetta?” I “benpensanti” gridano allo scandalo, si viene tacciati di giustizialismo, non si rispetta la “presunzione di innocenza”.
Fino a quando?
AVVISO AI NOSTRI LETTORI
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