Il popolo ha parlato. Riflessioni postume sul referendum del 17 aprile

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Il referendum del 17 Aprile – e il modo come la vecchia politica ha affrontato tale appuntamento – ci dice, in primo luogo, che l’ex presidente della repubblica, Giorgio Napolitano – l’uomo che, insieme con Renzi, ha invitato gl’italiani a non votare – non è altro che comunista liberticida che crede di essere ancora componente del Comitato centrale del PCUS. Quanto a Renzi, è un pinocchio degno di lui. Ma ci dice anche che i giovani siciliani che sono andati a votare cambieranno la Sicilia togliendola dalle mani degli ‘ascari’ che oggi la stanno svendendo

 

Così Renzi ha chiuso la partita. Ha contato le sue truppe e ha ritenuto di avere vinto. Così un altro che contava le sue baionette e si beava delle folle oceaniche era convinto di vincere. Sappiano come gli è finita.

Qualche riflessione a questo punto è d’obbligo, se non altro per rianimare le truppe che sono state sconfitte in una battaglia impari. Sconfitte, non disfatte. Il 32%  di votanti e il 78% dei sì in un clima di regime bulgaro non è male ed è di ottimo auspicio per le prossime, decisive battaglie.

La consultazione referendaria, per come è stata strutturata dalla legge del 1970, ha ben poco di democratico. Il ponte dell’asino è il raggiungimento del quorum del 50% più uno dei votanti.

Vi siete mai chiesti perché questa limitazione? Vi siete mai soffermati  a riflettere sul significato  antidemocratico e liberticida della disposizione, e poi sul suo perché?

L’avere stabilito il limite del quorum ha significato, per quanti non gradivano il referendum, potere attuare in libertà una campagna contro il voto. Contro il voto, cioè contro la massima espressione del potere del corpo elettorale.

Attenzione, non del popolo, come dice il pinocchio del Mugello. Sono due cose diverse. Profondamente diverse. Ricordiamoci sempre che la demagogia è l’abito indossato da chi non ha un corpo. Caduta la veste, non resta nulla, nemmeno la nullaggine al potere. Renzi lo sa bene  e lo sanno bene i suoi pupari che sono comandati dalla coazione a ripetere e ripetersi.

Torniamo a noi. Invitare gli elettori a non esercitare il diritto di  voto equivale a trattare i cittadini da sudditi. Milioni di persone hanno lottato e tanti sono morti per ottenere il diritto di votare, e un cialtrone qualunque, fosse anche un ex presidente della repubblica o un presidente del consiglio, non ha alcun titolo di invitare i suoi concittadini ad astenersi.

E’ proprio vero che per giudicare un uomo bisogna aspettare che muoia, perché fino all’ultimo giorno può commettere un atto che rivela la sua vera natura; e la vera natura di Napolitano è quella di un comunista liberticida che crede di essere ancora componente del Comitato centrale del PCUS. E il suo figlioletto politico, il figlio di Idumea, il pinocchio, è degno di lui.

Facciamo un passo indietro. Perché fu stabilito il quorum dei votanti e quali sono stati i suoi effetti sullo sviluppo democratico del Paese?

La legge attuativa del dettato costituzionale sul referendum, risale, lo ripeto, al 1970 del secolo scorso. Ci vollero dunque 22 anni dall’entrata in vigore della Costituzione perché una politica renitente e restia facesse la legge. Vent’anni  senza potere fare un referendum, eppure motivi ce ne furono!

L’Italia repubblicana, quando si tratta di stabilire come il popolo deve esercitare la sua sovranità, ha sempre il braccino.

Negli anni Settanta del secolo scorso due partiti  si contendevano la maggioranza relativa, la Democrazia cristiana (DC) e il Partito comunista italiano (PCI), i cui consensi oscillavano tra il 30 e il 40%. Stabilire un quorum significava che senza la mobilitazione di uno dei due partiti che  spingesse al voto, il quorum era difficile da raggiungere, a meno che le ragioni del voto fossero tali da attraversare i due partiti, come nel caso del referendum sul divorzio. Ma si tratta di eccezioni

DC e PCI uniti nel cosiddetto ‘compromesso storico’ azzopparono la democrazia e la sovranità popolare. Oggi i nipotini di quei partiti, senza ideali, senza progetti, allo sbando, vivono alla giornata e sfruttano quei meccanismi per difendere interessi inconfessabili.

La seconda conseguenza, funesta per la democrazia, è che la presenza del quorum consegna a chi conta sull’astensione una doppia arma. In assenza del quorum ogni parte politica sarebbe costretta a prendere posizione, il voto (non il non voto!) tornerebbe ad essere centrale nel nostro Paese e tutti lavorerebbero per correre alle urne.

Vincerebbe non chi se ne è stato a casa, ma chi è andato a votare e ha fatto prevalere le sue ragioni. Vincerebbe soprattutto la democrazia.

Quei miserabili che hanno strappato la tessera di giornalista per mettersi al soldo del maggiore offerente e hanno predicato le ragioni dell’astensione, e che, con un tortuoso ragionamento, la eleggono ora a controprova del consenso a Renzi, andrebbero radiati dall’albo, se l’albo è il risultato di una selezione ragionata e severa tra gente colta, di studio, intelligente, imparziale, libera e preparata.

Una considerazione speciale  va fatta sul voto in Sicilia.

Ancora una volta l’Isola  si è coperta di “gloria”. E’ stata l’ultima in Italia come percentuale di votanti.

Ma, a differenza che in altri casi del passato, non c’è motivo d’abbattersi. Nonostante tutto siamo molto diversi da quei siciliani che, nel 1946, quando si andò al voto per scegliere tra monarchia e repubblica, votarono per la monarchia, pur dovendosi fare largo, per andare a votare, poveretti!, tra le macerie e i disastri che proprio la monarchia aveva causato nell’Isola!

Questi voti sono preziosi, sono ricchi di futuro, pieni di nuova vita, perché sono in maggioranza voti di giovani, di ragazzi che ormai hanno chiaro che il futuro, il loro futuro, non è nel petrolio e nei petrolieri, nelle raffinerie, nelle petroliere, nelle trivelle, nei gassificatori, negli  inceneritori, nei faccendieri e nei corruttori.

E i giovani vinceranno.

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