Il disegno di legge dovrebbe essere approvato a breve – forse anche domani – dalla prima commissione dell’Ars. Obiettivo: ripristinare l’effetto ‘trascinamento’. L’obiettivo è ridare forza alle liste apparentate: cosa, questa, che avvantaggia i partiti tradizionali. Questo perché il Movimento 5 Stelle non si apparenta con altre forze politiche. Detto in modo crudo, centrosinistra e centrodestra si preparano a fare muro, insieme, per arginare l’avanzata dei grillini nei Comuni siciliani
Sembrava accantonata. Sembrava. Perché, in realtà, il disegno di legge per le elezioni nei Comuni non è stato accantonato. E anzi dovrebbe essere approvato entro questa settimana dalla prima commissione legislativa dell’Ars (Affari istituzionali) per essere spedita quanto prima in Aula per l’approvazione.
Si tratta delle legge elettorale anti-grillina, di fatto ‘pensata & confezionata’ per dare modo alla vecchia politica siciliana di bloccare il Movimento 5 Stelle. E’ evidente che, in prospettiva, la vecchia partitocrazia siciliana teme, nei Comuni, l’avanzata dei grillini. Questo disegno di legge, se approvato, dovrebbe limitare i danni per i partiti tradizionali. Vediamo il perché.
Attualmente, nei Comuni siciliani, si vota con una scheda unica con il doppio voto: quello per il sindaco e quello per il Consiglio comunale. In realtà, è una legge elettorale-papocchio voluta dal centrosinistra e, in particolare, dal PD (il ‘padre’ nobile di questo flop è il solito Antonello Cracolici, che prima di andare a ‘strumintiare’ all’assessorato all’Agricoltura è stato presidente della prima commissione dell’Ars).
La legge elettorale Cracolici ha eliminato il cosiddetto effetto di ‘trascinamento’. Fino a prima di questa legge bastava votare per un candidato al Consiglio comunale e, automaticamente, il voto andava al candidato sindaco con il quale la lista era apparentata. Era questo il ‘trascinamento’: metodo che si presta bene per un elettorato poco avvezzo alla scheda elettorale.
La ‘riforma’ Cracolici ha eliminato il ‘trascinamento’. Ma è scoppiato un patatrac. Il caso eclatante è quello dei Comune di Palermo dove – grazie anche al caos generato dalla scheda unica e da una gestione un po’ confusa dei seggi – il sindaco Leoluca Orlando si è preso 30 consiglieri comunali su 50.
Grazie a questa legge elettorale-papocchio – sempre con riferimento a Palermo – candidati al Consiglio comunale che hanno preso oltre mille voti non sono stati eletti. Mentre chi ha preso un centinaio di voti, solo perché era nella lista del sindaco, è stato eletto consigliere comunale. Una legge elettorale ‘geniale’, insomma.
Adesso, però, al centrosinistra la legge non piace più. Il disegno di legge che dovrebbe essere approvato dalla prima commissione dovrebbe ripristinare il ‘trascinamento’. E indebolire il Movimento 5 Stelle.
Ripristinare il ‘trascinamento’ significa ripristinare l’apparentamento delle liste. E poiché i grillini non si apparentano con altre formazioni politiche questo già li indebolisce.
C’è, poi, un secondo motivo. I partiti tradizionali temono l’avanzata dei grillini nei territori. Con l’attuale legge elettorale ‘l’effetto Palermo’ si potrebbe ripetere anche in altri Comuni. Effetto che potrebbe essere facilitato dalla fallimentare gestione politica del centrosinistra, che oggi, in Sicilia, controlla la Regione, le nove Province commissariate e la stragrande maggioranza dei Comuni.
Di fatto, la Regione, oltre ad essere commissariata dai renziani del PD con l’assessore Alessandro Baccei, è anche in default controllato, e è vero che i conti economici regionali hanno subito un taglio di un miliardo e mezzo di Euro circa rispetto al 2015. A ciò si sommeranno i 550 milioni di Euro che Roma, quasi sicuramente, non erogherà.
Per la Regione siciliana è un disastro economico e finanziario.
Fino ad ora i partiti che oggi governano la Sicilia sono riusciti a nascondere questi ‘buchi’ alla stragrande maggioranza dei Siciliani. Ma adesso la situazione va precipitando, se è vero che molti Comuni sono al dissesto (non dichiarato, ma pur sempre dissesto), le Province in fallimento e mezza Amministrazione regionale è al verde (eclatante la chiusura della Fondazione Piccolo di Calanovella, a Capo d’Orlando, come vi abbiamo raccontato qui).
Insomma, in prospettiva la Sicilia dovrebbe peggiorare. E per i partiti tradizionali i guai potrebbero essere seri. Questo spiega perché il PD e, in generale, i partiti di centrosinistra – ma anche il centrodestra – stanno ripristinando l’apparentamento tra le liste:
perché tra qualche anno, mettendosi tutti insieme, proveranno, nei Comuni, a bloccare la probabile avanzata del Movimento 5 Stelle.
Nel disegno di legge era prevista anche la possibilità di rendere più agevole la sfiducia al sindaco: per mandarlo a casa non più la maggioranza qualificata dei consiglieri comunali (due terzi più uno), ma la maggioranza semplice (la metà più uno dei consiglieri comunali). Ma sembra che su questo punto si farà marcia indietro.
In altre parole, per sfiduciare un sindaco ci vorrà sempre la maggioranza qualificata dei consiglieri comunali.
Dovrebbe essere invece introdotta la ‘caduta’ simultanea di sindaco e Consiglio comunale, come avviene a livello nazionale.
Oggi, in Sicilia, un sindaco si può dimettere, ma il Consiglio comunale resta in carica. E’ successo nel 2011 a Palermo, quando l’allora sindaco, Diego Cammarata, si è dimesso e il Consiglio comunale è rimasto in carica. Con il disegno di legge verrà stabilito che le dimissioni del sindaco provocheranno l’automatico scioglimento del Consiglio comunale.
Ultima precisazione: la legge, anche se approvata entro questa settimana o a breve non verrà applicata alle prossime elezioni comunali, previste per Giugno. Questo perché ormai non ci sono più i tempi tecnici. Del resto, a Giugno si voterà in una ventina di Comuni e non essendo ancora nota alla maggioranza dei cittadini siciliani il sostanziale default della Regione non ci dovrebbero essere problemi per la vecchia politica siciliana. Insomma, per la vecchia partitocrazia ci sono ancora margini per prendere in giro gli elettori.
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