Una riflessione partendo dalla visita di John Kerry al sacrario di Hiroshima. Una vicenda internazionale che ci porta al guazzabuglio che sta dietro l’idea del perdono. Che è legata alla verità. Che ne sarebbe di un cattolico che si confessa senza pentirsi? “Io ti perdono ma tu me lo devi chiedere”, diceva Padre Puglisi. Con la memoria che torna alla vedova Schifani: “Io vi perdono, ma vi dovete mettere in ginocchio!”
La visita di John Kerry al sacrario di Hiroshima, in occasione del G/7, induce a qualche riflessione.
E’ stato un omaggio personale? No, se lo fosse stato si sarebbe svolto in privato. Quindi è stato il Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, nella qualità, a rendere quella visita, oggettivamente in rappresentanza del suo Paese. E’ stato dunque un atto di un omaggio ai morti di quel terribile 9 agosto 1945 da parte degli USA? E un omaggio senza scuse che omaggio è?
Un omaggio senza scusa è una contraddizione in termini, se è vero che non si è obbligati a rendere omaggio a chi ha meritato la sua sorte. Le scuse poi implicano la consapevolezza di avere commesso un torto e pentirsene.
Ma perché un Paese attaccato proditoriamente da un altro Paese dovrebbe, a distanza di 70 anni, ritornare sui suoi passi, sconfessarli, se i suoi passi, ancorché tragici e certamente sproporzionati, furono la risposta a quell’attacco?
Lasciamo il profilo internazionale della questione e occupiamoci di quello che viene definito “il foro interiore”.
E’ certo che il concetto di perdono e soprattutto la sua declinazione è un gran guazzabuglio e suscita tante domande.
L’applicazione della assioma “extra ecclesiam nulla salus” (fuori dalla Chiesa non c’è salvezza) è il sacramento della confessione con conseguente perdono e assoluzione.
Come viene accertata l’autenticità del pentimento?
La cosa è rimessa interamente all’apprezzamento dei ministri del culto. Lui ascolta, si convince e assolve. Chiede delle prove del pentimento? Indaga a fondo, ha gli strumenti per capire se chi gli sta davanti non sta giocando sporco? Se pensiamo a quanti delinquenti frequentano assiduamente i sacramenti, temo di no.
Eppure gli strumenti ci sono: basta leggere il Vangelo.
E le domande inquisitorie sorgono spontanee. Hai rimesso i debiti ai tuoi debitori? Ti sei riconciliato con il tuo fratello? Godi ancora dei frutti del tuo peccato?
‘Bocciare’ qualcuno nel confessionale potrebbe essere utile e salutare, sia per i fedeli veri, ma soprattutto per quelli che si inginocchiano perché schiavi della superstizione. E in verità sentirsi dire: “Non ti assolvo” deve procurare una bella strizza.
Se poi il confessore ti dice fai questo e quest’altro e poi torna da me, è un altro conto perché anche il più fradicio dei cosiddetti fedeli capisce bene che non può presentarsi dal prete e mentire spudoratamente, capisce bene che in quel caso l’assoluzione è inutile perché sarebbe un evidente frutto del’inganno.
Però la Chiesa sa benissimo che così operando perderebbe troppi “fedeli”
E dunque? Bisogna sforzarsi di capire e fare capire una semplice verità: che, anche se qualcuno ci assolve su questa terra, quest’assoluzione carpita con la mala fede non salva nessuno nell’altra. E chi si confessa e cerca il perdono nell’altra vita deve sapere che un perdono simile nell’altra vita non conta nulla. Che il potere di perdonare cessa se il perdono concesso è frutto di inganno.
Essere cattolici, veri cattolici, non è comodo come sembra, può essere più duro e complicato che doversela vedere direttamente con Dio, come i protestanti.
E i laici, quelli che si affannano a perorare la causa del perdono? Per esempio, per i pentiti di mafia?
Primo punto: avete mai visto un pentito di mafia pentirsi prima di essere catturato? Chessò, Matteo Messina Denaro? Io no. Si pentono tutti dopo. Nessuno una bella mattina si reca in Questura e si costituisce e, come suo primo atto, chiede di un prete. Chiedono sempre un avvocato.
Secondo punto. Ci sono tanti che, per protagonismo, perdonano o invitano a perdonare. Ma perché perdonare chi non l’ha chiesto? Diceva Padre Puglisi: “Io ti perdono ma tu me lo devi chiedere”.
In questa nostra tragedia vale sempre per me quello che considero il punto più alto: il grido disperato della vedova Schifani, levato alto, quando, tra le lacrime, disse ai carnefici di suo marito: “Io vi perdono, ma vi dovete mettere in ginocchio!”