Renzi dice che “abbiamo svoltato” anche in questo settore: “L’Italia è tornata a investire nell’istruzione e nella cultura”, dice il capo del Governo del nostro Paese. Ma i dati diffusi da Eurostat dicono l’esatto contrario. Soprattutto per ciò che riguarda l’università, gli studi post universitari e la ricerca. Settori che, insieme alla sanità, alle Regioni e ai Comuni, vengono sacrificati per fronteggiare gli interessi sul debito pubblico. Situazione ancora più disastrosa in Sicilia dove le uniche cose che sono cresciute sono le tasse universitarie appioppate agli studenti
L’italia del PD di Matteo Renzi ha inanellato un altro ‘successo’: è all’ultimo posto nell’Unione Europea nella spesa per l’istruzione. A fronte di una media europea del 10,2%, nel nostro Paese la spesa destinata il 7,9% della propria spesa.
E’ quanto si legge in un articolo pubblicato da La tecnica della scuola, il quotidiano on line della scuola (che potete leggere per intero qui).
L’approfondimento riprende le rilevazioni di Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea (Eurostat). Da dove viene anche fuori che il Balpaese si trova al penultimo posto anche nella spesa per la cultura: 1,4% della spesa a fronte di una media europea del 2,1%.
Andando a leggere i dati si nota che l’Italia è tutto sommato in linea con il resto dell’Unione Europea per ciò che concerne la cosiddetta educazione primaria; lo scenario comincia a diventare negativo quando si parla di educazione secondaria; e diventa critico per ciò che riguarda l’educazione terziaria: università, post università e ricerca.
Insomma, per studi universitari, post universitari e per la ricerca la media, nell’Unione Europea, si attesta intorno allo 0,8% del Prodotto Interno Lordo (PIL). Ebbene, in Italia siamo sotto la media: 0,3%. La situazione non migliora se il raffronto viene fatto con la spesa pubblica: in media, nell’Unione Europea, la spesa per l’istruzione terziaria rappresenta l’1,6% del totale della spesa pubblica; in Italia la spesa per l’istruzione terziaria rappresenta lo 0,7% della spesa pubblica.
Tirando le somme, per ciò che riguarda le spese universitarie, post universitarie e per la ricerca il nostro Paese è messo veramente male, con percentuali che sono molto lontane dai livelli tedeschi, dove l’istruzione terziaria rappresenta lo 0,9% del PIL e 2% della spesa pubblica complessiva.
Scavando scavando, ci accorgiamo che, anche in questo settore, la presenza dell’Italia nell’Unione Europea – soprattutto dopo l’entrata del nostro Paese nell’Euro – non ci ha affatto agevolato. Anzi. I dati sono lì a dimostrarlo: le spese per i servizi generali – che comprendono, tra le altre cose, gli interessi che il nostro Paese paga sul debito pubblico – si attestano al 17,4%, contro una media europea del 13,9%.
Che significa questo? Semplice: che l’Italia, per pagare gli interessi sul debito pubblico, oltre a tagliare le spese per la sanità pubblica (che nel nostro Paese è ormai ridotta ai minimi termini), è costretto a tagliare altre spese, a cominciare da quelle per l’istruzione e la cultura.
Questo dovrebbe fare riflettere. Nel Novembre del 2011, quando si è insediato il Governo di Mario Monti, il debito pubblico italiano non raggiungeva i mille e 900 miliardi di Euro. Oggi – e sono passati più di quattro anni – il debito pubblico italiano, nonostante gli enormi sacrifici richiesti ai cittadini del nostro Paese (aumento dell’imposizione fiscale, riduzione dei fondi in favore di Regioni e Comuni, abolizione delle Province, riduzione, come già accennato, delle spese sanitarie, il debito pubblico italiano è aumentato e supera ormai i 2 mila e 200 miliardi di Euro.
Questo ha fatto aumentare gli interessi sul debito pubblico, che oggi si attestato intorno ai 90 miliardi di Euro all’anno.
Che dire? Che le risorse, in Italia, si riducono di anno in anno. Ma, in proporzione, la riduzione della spesa è maggiore nell’istruzione e nelle attività culturali.
Eurostat, di fatto, smentisce il Governo Renzi, che con la contestata riforma della ‘Buona scuola’ ha cercato di accreditare la tese secondo la quale in Italia si è tornati a investire nell’istruzione e nella cultura. La realtà ci dice che sta avvenendo l’esatto contrario.
Se poi guardiamo alla Sicilia la situazione appare ancora più disastrosa. Gli atenei dell’Isola, infatti, subiscono i tagli del Governo nazionale e quelli del Governo regionale. I costi per studiare all’università sono cresciuti. E chi si laurea nella nostra isola ha, ad esempio, la matematica certezza che non potrà mai entrare nella pubblica amministrazione con un concorso, perché tutti i posti vengono riservati ai precari che, con i loro voti, alimentano il vecchio sistema politico-clientelare.
Di fatto, è un voto di scambio non sanzionato.
Idem per università e ricerca, dove i posti – e questo in verità è un fenomeno italiano e non soltanto siciliano – vengono rigorosamente assegnati ai raccomandati, che non sono affatto i più bravi, ma sono spesso parenti degli stessi docenti universitari.
Il risultato è che i migliori studiosi e ricercatori siciliani sono costretti a emigrare, mentre in Sicilia, anche in questo settore, si espande la mediocrità.
Al resto hanno pensato e continuano a pensare il Governo di Rosario Crocetta e i partiti che l’appoggiano, PD in testa, che hanno praticamente distrutto l’economia: l’industria non esiste più, i fondi per l’agricoltura o finiscono nelle tasche sbagliate o non si spendono, il terziario arranca, mentre l’innovazione riguarda solo le aziende – sempre più poche – che non hanno a che fare con la spesa pubblica regionale.
In tutto questo, il Governo Renzi continua a ‘rapinare’ le risorse finanziarie dalle ‘casse’ della Regione, aiutato, in questo, dal Governo Crocetta e dal PD che, lungi dal fare gli interessi di 5 milioni di Siciliani, si accodano agli ‘ordini’ romani.
Un disastro su tutta la linea.