Garibaldi non ha fatto la storia: gliel’hanno fatta fare. E’ stato usato dai Savoia. Capendo troppo tardi – quando già era avanti con gli anni – che era stato strumentalizzato. Non capì che l’Unità d’Italia non era ancora matura. E che restare divisa sarebbe stata cosa assai migliore che finire unita sotto i Savoia
E’ venuto il momento di fare quattro chiacchiere fuori dal coro sull’Eroe dei due Mondi.
Garibaldi, diceva Marcello Marchesi, è come la Giustizia: deve avere il suo Corso, e infelici siano le case della grande Italia che almeno per una notte non hanno ospitato il Nizzardo.
Se dovessimo e volessimo giudicare l’opera di Garibaldi alla luce dei risultati che si sono registrati in Sicilia dopo l’Unità, che dobbiamo al suo “genio militare”, dovremmo definirla un disastro.
Non mi soffermerò sulla leggenda negativa che racconta di un Garibaldi pirata al soldo del Brasile, della guerra di corsa, atroce e senza scrupoli, tra cannoneggiamenti, abbordaggi, affondamenti che egli avrebbe condotto contro le navi spagnole. Né parlerò delle sue presunte esperienze di negriero, e di saccheggiatore e violentatore in tanta parte del Sud America. Né mi soffermerò sulle ambigue e spesso fallimentari campagne militari per la libertà delle colonie spagnole. Né, infine, sulla sua precipitosa fuga con inseguimento e il suo ritorno in Italia.
Tutto questo, appunto, può essere leggenda, e le leggende poco o nulla cambiano nel profilo dei personaggi che hanno riempito i libri di Storia e le cui vicende umane sono un libro aperto.
Partiamo dalla fine. Garibaldi stesso, in un tardivo momento di lucidità, confessò che se avesse saputo non avrebbe intrapreso l’impresa dei Mille.
Se avesse saputo. Saputo cosa? Ecco il punto. Non ci interessa altro.
Garibaldi è passato alla storia come “il Generale”, dunque un soldato, un militare, come tanti grandi soldati, Napoleone, De Gaulle, Francesco Sforza, Rommel, ma non come uomo politico, cosa che furono Napoleone, De Gaulle e Francesco Sforza, fondatori o rifondatori di Stati. E questa è una differenza fondamentale tra loro.
Un generale, se è solo un militare, per grande che sia, ha sempre sopra di sé un uomo politico, e soltanto se è anche un politico raggiunge il vertice. Ricordate Manzoni, Il 5 maggio:
“L’ansia di un cor che indocile/ serve pensando al regno /e il giunge e tiene un premio che era follia sperar”
Garibaldi è un esecutore, nemmeno brillantissimo. Fu incapace di comprendere politicamente i tempi in cui viveva, e soprattutto le conseguenze delle sue scelte e delle sue azioni. Lo capì dopo, a quanto dice lui stesso. Fu stupido quanto basta per non capire che i Savoia lo stavano usando.
”E’ un galantuomo – disse di lui re Vittorio – e ce ne serviremo”. E così fu.
Fu ottusamente convinto che l’Unità d’Italia, in qualunque modo raggiunta, fosse un bene in sé, una priorità di fronte alla quale ogni altra considerazione, personale, politica e sociale doveva tenere dietro. Fu con il passare del giorni, nel corso dell’Impresa, sempre più prigioniero dell’esercito piemontese, sceso in massa in Sicilia sotto mentite spoglie, e fu manovrato sempre più pesantemente dalle gerarchie sabaude.
Non ha fatto la storia, gliela hanno fatta fare. Non capì che l’Unità d’Italia non era ancora matura, ammesso che lo sia mai stata, e che restare divisa sarebbe stata cosa assai migliore che finire unita sotto i Savoia.
Qui c’è la nostra riflessione sul falsi ‘Padri’ del Risorgimento
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Caro Franco, ho molte perplessità su Garibaldi e condivido pienamente la tesi che su di lui formula Lucy Riall, debbo però contraddirti, il cd eroe non fu affatto un "pupo" nelle mani dei Savoja ma un personaggio che perseguiva un suo obiettivo ben preciso che, per accidens, incontrò quello più vasto dei Savoja. Che poi l'unità non fosse matura, a parte che la storia non si fa con i se, il problema sta nel fatto che l'unità fu uno degli esiti possibili di quel vasto rivolgimento sociale che interessò la penisola e le sue isole nel XIX secolo