Pure se l’attuale crisi Almaviva rientrasse, i palermitani e i siciliani avranno sempre meno di quello che gli spetta. E il problema si ripresenterà per le prossime generazioni. Fino a quando la protesta sarà tale da fare capire ai banditi che ci governano che non siamo più disposti a sopportare. Le domande di Enrico del Mercato e alcune risposte
A che punto siamo? Praticamente, al punto di partenza. I dipendenti del call center Almaviva di Palermo continuano a protestare per le vie del capoluogo siciliano. Dopo l’annuncio dei 1670 probabili licenziamenti, non si sentono affatto rassicurati dalle dichiarazioni arrivate dal mondo della politica. E c’è da capirli: finora, come abbiamo già avuto modo di dirvi qui, la politica si è limitata a vergare comunicati stampa per finire sui giornali. Sciacallaggio mediatico su un dramma annunciato da tempo. Anche l’azienda, come hanno sottolineato alcuni analisti del settore in questo articolo, si è distinta negli anni per un uso spregiudicato di contributi pubblici che, di certo, non sono andati in favore dei lavoratori.
Quali novità, dunque? In realtà, nessuna. Ci troviamo dinnanzi ai soliti annunci. Il governo nazionale, come se finora fosse stato in esilio, all’improvviso si dice attento alla situazione: “Il Governo, -ha dichiarato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti – nell’ambito dell’attività dedicata alla gestione delle situazioni di crisi, ha dedicato una specifica attenzione al settore dei call center, con l’apertura di un tavolo dedicato e con l’adozione di provvedimenti -dagli ammortizzatori sociali, alla deducibilità totale dalla base di calcolo dell’Irap del costo del lavoro a tempo indeterminato, dal finanziamento dei contratti di solidarietà all’abolizione del massimo ribasso sugli appalti- tutti mirati a migliorare il contesto in cui operano le aziende del comparto. Da parte nostra- ha chiosato il ministro- c’è la conferma dell’impegno a favorire una soluzione positiva, riprendendo la discussione alla riunione del tavolo già convocata per il 18 aprile”.
Ad occhio e croce, si continua a rimandare e a convocare tavoli che finora non sono serviti a nulla.
La vicenda è delicatissima: l’anno prossimo a Palermo si vota per il rinnovo delle istituzioni comunali e il PD, già malconcio di suo, teme di arrivare a quell’appuntamento con 1670 disoccupati in più. Considerando che l’esecutivo nazionale, nei fatti, non ha mai varato un provvedimento per la salvaguardia dell’occupazione (al contrario, con il Job’s act, lo ha precarizzato ulteriormente) o una misura contro le lobby economiche, l’unica cosa che farà sarà garantire la cassa integrazione fino alle elezioni. I dipendenti di Almaviva saranno comunque licenziati, ma in campagna elettorale si potrà dire che, almeno, gli hanno dato questa ‘mancia’.
Non parliamo poi del governo regionale, grande assente in tema di emergenze sociali, che ha convocato, per il 31 marzo, due incontri: uno a Roma con i vertici di Almaviva e uno a Palermo con i sindacati. Un altro incontro che servirà solo a tentare di sedare le proteste. Da notare che la convocazione è fissata per il giorno successivo alla manifestazione del 30 Marzo a Palermo che, nata su input dei Comitati No Triv, si è trasformata in una manifestazione contro il Governo Crocetta e contro la mala politica. Una coincidenza? O un tentativo di dissuadere i dipendenti del call center dal partecipare? Da questi, c’è da aspettarsi di tutto e questa manifestazione la temono parecchio.
Detto questo, dopo avere stigmatizzato il comportamento di una politica asservita alle lobby economiche- finanziarie e quello di una azienda che ha fatto i comodi suoi con i soldi nostri, non possiamo fare a meno di aggiungere alcune considerazioni.
Traiamo spunto da una riflessione pubblicata da Enrico del Mercato su Repubblica Palermo: ” …una delle cose che deve fare riflettere nella vicenda Almaviva è la presenza di un discreto numero di laureati tra gli addetti al call center. Ecco, – si chiede il giornalista- cosa spinge chi ha studiato Legge, Lettere, Ingegneria o qualsiasi altra cosa a ripiegare su un impiego a bassa qualificazione? In che cosa la classe dirigente in senso lato, non solo la politica, ha fallito a Palermo e in Sicilia? Sono domande alle quali nessuno può sottrarsi”.
Infatti, sono domande cui nessuno dovrebbe sottrarsi: perché un esercito di palermitani, con una buona preparazione culturale, è costretta a lottare pur di continuare a lavorare in un call center?
Ovviamente, perché non ci sono alternative. E perché non ci sono alternative? Torniamo al punto di partenza: perché questa politica è troppo affaccendata a rincorrere poltrone e a gestire affari per occuparsi dello sviluppo della Sicilia.
La classe politica siciliana, fatta per lo più di ascari al servizio delle segretarie romane, non muove un dito per garantire anche a questa parte d’Italia (?) gli investimenti necessari a rimettere in moto l’economia. E il governo nazionale continua a fare quello che ha sempre fatto: trattare la Sicilia come una colonia per sfruttare le sue risorse (energetiche, per cominciare) senza dare nulla in cambio (a parte i tumori e l’inquinamento).
Basta leggere un qualsiasi report della Svimez (l’Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno) per capire come la questione meridionale sia sparita da tempo dall’agenda della politica nazionale e come le politiche economiche del governo siano ritagliate sulle esigenze del Nord. Non solo.
Il governo centrale continua a trattenere tributi che spetterebbero alla Sicilia: recentissima la reprimenda della Corte dei Conti – potete leggerla qui – che ha accusato l’Agenzia delle Entrate (quindi lo Stato) di trattenere risorse che spetterebbero alla nostra regione e con le quali si potrebbe fare tanto. Potremmo parlare anche della rinuncia ai contenziosi con lo Stato firmata da Crocetta che ha privato la Sicilia di almeno 4 miliardi di euro (qui per approfondire). O di come il governo nazionale, sempre con la complicità dei politici siciliani, stia continuando a spremere la Sicilia: facendole pagare il più alto contributo al risanamento della finanza pubblica (più della Lombardia e delle altre regioni, cosa ammessa dallo stesso assessore all’Economia, Alessandro Baccei), negando i fondi Pac (destinati altrove), negando i 500 milioni di euro (che poi sono soldi nostri) necessari a chiudere il bilancio di quest’anno.
Queste sono solo alcune delle risposte da dare alle domande “cui nessuno può sottrarsi”. E che ci dicono che le risorse per fare crescere la Sicilia (pensiamo solo per un istante alle potenzialità di settori come turismo, informatica, agricoltura) ci sarebbero, ma la politica – nazionale e locale- vuole usarli per continuare a farsi i ‘cazzi suoi’.
Da qui un’ultima considerazione: pure se l’attuale crisi Almaviva rientrasse, i 1670 palermitani licenziati e, in generale, i siciliani, avranno sempre meno di quello che gli spetta. E il problema si ripresenterà per le prossime generazioni.
Le cose cambieranno solo se la protesta popolare sarà tale da farà capire ai banditi che ci governano che non siamo più disposti a sopportare e a soffrire per loro, né tantomeno ad andarcene per lasciare la nostra Isola in mano loro.