La politica italiana è stata quasi costretta, nel 1970, a introdurre il referendum. Ma ha piazzato mille paletti per ostacolarne la messa in atto. E quando gli italiani decidono una cosa, succede pure che la politica aggira il pronunciamento popolare. E’ successo con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e con l’abolizione del Ministero dell’Agricoltura. Aboliti, ma ci sono ancora! Idem per l’acqua pubblica, con Renzi che in questi giorni sta calpestando il risultato del referendum del 2011. Ma bisogna insistere. E sul no alle trivelle dobbiamo tenere botta
Strumento principe di ogni democrazia, il referendum non è molto gradito ai potenti.
Infatti, nonostante sia il popolo, più esattamente il corpo elettorale, a partecipare al processo decisionale, il nostro sistema, pur rispettoso della libertà popolare (“…la sovranità appartiene al popolo…”, dice la Costituzione), si è ben guardato dall’assicurare il pieno potere al popolo stesso (“…che la esercita nei modi previsti dalla legge”, si affretta a precisare il Costituente).
La riserva di legge del 1948, anno della Costituzione, infatti fu sciolta dal legislatore soltanto 22 anni dopo con la legge n. 352 del 1970 che disciplinò il referendum. E’ una legge molto restrittiva, ovviamente: i promotori debbono raccogliere ben 500.000 firme in soli tre mesi e per di più in un periodo di soli 9 mesi in un anno. Fu pure introdotto il divieto di depositare richieste di referendum nell’anno anteriore alla scadenza delle Camere. E altre lepidezze, per non parlare della necessità di superare il quorum del 51% dei votanti affinché il referendum sia valido. In che significa che chi non ne vuole sapere ha due risultati a suo favore, contro uno solo a favore di chi lo vuole.
Su tutto poi incombe la “garanzia” del sindacato della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale.
L’insofferenza della politica nei confronti del referendum, di quei pochi che, rispetto a quelli presentati, sopravvivono alla mannaia dei giudici, che degli umori della politica, in questo, sono fedeli interpreti, l’insofferenza, dunque, diventa addirittura disprezzo quando, nonostante tutti gli intralci e una campagna governativa contro, i risultati non stanno bene alla politica.
E così si va dal consiglio interessato di Craxi, poi condannato in contumacia e morto latitante, che suggeriva al popolo sovrano di andare al mare invece che alle urne. Ma gli andò male. Non solo il popolo andò a votare, ma pure gli votò contro. E Craxi è il meno. Abbiamo infatti i referendum cui segue una ignominiosa mistificazione della politica che si applica proficuamente al gioco delle tre carte. Questa perde (finanziamento pubblico ai partiti?). Questo vince (spuntano i rimborsi per le spese elettorali!). Questo perde (abolizione del Ministero dell’Agricoltura?). E, voilà, spunta il Ministero delle politiche agricole.
Per non parlare del referendum del 2011 sulla gestione dell’acqua pubblica. La stragrande maggioranza degli italiani ha votato a favore della gestione pubblica dell’acqua. Ma il Governo Renzi, in questi giorni, ha deciso l’esatto contrario!
Anche il nostro rivoluzionario di cartapesta, Rosario Crocetta, si è coperto di gloria e ha fatto la sua miserabile parte, negando ai siciliani di essere parte nella richiesta di referendum contro le trivelle per un piatto di lenticchie che nemmeno gli hanno poi dato.
Abbiamo però il vantaggio di conoscere la sua posizione e un motivo in più per sconfessarlo e dimostrargli quanto siamo migliori di lui e del partito che lo regge in piedi, il PD.
Perché non dobbiamo farci illusioni: il referendum NO TRIV del 17 Aprile naviga in cattive acque (mi si consenta la battuta). Tra i tanti giornalisti e scrittori salariati che dicono che è inutile e argomentano che è inutile perché è inutile (l’ho sentito io!) e i sindaci chi se la “annacano” con la convocazione dei comizi elettorali, ci aspettano ancora una volta le montagne russe. Ma noi terremo botta.
Noi che non vogliamo il petrolio perché sappiamo bene che il sole scarica sulla Sicilia ogni anno l’equivalente di decine e decine di miliardi di tonnellate di petrolio e sappiamo altrettanto bene che basterebbe una classe politica onesta e una classe imprenditoriale corretta per catturarne almeno il doppio del nostro fabbisogno.
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