Di fatto, con il blocco della legge siciliana sull’acqua pubblica si chiude il cerchio degli affari che vedono insieme il Partito Democratico e il sistema di potere di Berlusconi. Nell’Isola, insomma, il Partito della Nazione è già realtà: e lo è all’insegna degli affari sulle energie, sugli inceneritori dei rifiuti e adesso anche sull’acqua
La gestione dell’acqua, in Sicilia, resterà nelle mani dei privati. Così ha deciso il Partito Democratico, che dovrebbe rappresentare la ‘Sinistra’ in Italia. Così ha deciso Matteo Renzi che, come Amintore Fanfani alla fine degli anni ’50 nella DC, controlla, contemporaneamente, il partito e il governo. Ne ha preso atto il governo regionale di Rosario Crocetta, che ha calato la testa a Roma, cosa che fa abitualmente. Ne prendono atto, supponiamo con soddisfazione, i gruppi privati, di medio e di alto livello, chiamati a gestire l’acqua nella nostra Isola da Berlusconi oltre un decennio fa. Ma andiamo con ordine.
L’Assemblea regionale siciliana, bene o male, lo scorso anno, ha approvato una legge che avrebbe previsto – se applicata – il ritorno alla gestione pubblica dell’acqua. Certo, in modo un po’ confuso, ma l’intenzione era buona. Il governo regionale presieduto da Rosario Crocetta – ma di fatto condizionato pesantemente da Renzi – non ha però avuto la forza per applicare questa legge.
In realtà, il problema non è solo Crocetta, perché a non volere questa legge è il PD di Renzi. La legge approvata dal Parlamento siciliano, com’è noto, è stata impugnata dal governo nazionale.
Ricordiamo che l’impugnativa di Roma non blocca l’iter di una legge approvata dall’Ars. Davanti all’impugnativa, il governo regionale può pubblicare la legge con le parti impugnate (in questo caso, di eventuali danni erariali risponde il presidente della Regione). Oppure può presentare ricorso alla Corte Costituzionale.
Il governo Crocetta ha optato per un a terza via: ha dato ragione al governo Renzi su tutta la linea: non ha pubblicato la legge sulla Gazzetta Ufficiale della Regione (cosa che, come abbiamo accennato, avrebbe potuto fare) e non ha presentato ricorso presso la Corte Costituzionale.
A questo punto è importante una digressione sull’Ufficio del Commissario dello Stato per la Regione siciliana che è stato di recente quasi-eliminato. Perché è da questo atto che bisogna partire per provare a capire cosa sta succedendo.
Prima dell’abolizione dell’ufficio del Commissario dello Stato la Regione siciliana, davanti a un’impugnativa, seguiva spesso una quarta strada: Sala d’Ercole approvava un ordine del giorno che dava al presidente della Regione il via libera alla pubblicazione della legge senza le parti impugnate dall’Ufficio del Commissario dello Stato. Si trattava di una soluzione che salvava capre e cavoli: salvava la legge e dava contemporaneamente ragione al Commissario dello Stato.
Questa quarta via è stata molto criticata, perché affidava all’ufficio del Commissario dello Stato un ruolo che non gli appartiene: ovvero la capacità di censurare le leggi approvate dal Parlamento siciliano, che ne usciva sminuito. Ma al governo e ai parlamentari questo interessava poco, se è vero che utilizzavano l’Ufficio del Commissario dello Stato per strumentalizzazioni politiche di bassa lega, a prescindere dalla volontà dello stesso Commissario dello Stato.
Approvavano, infatti, leggi assurde – per ‘dimostrare’ ai propri clienti che si ‘impegnavano’ – ben sapendo che il Commissario dello Stato le avrebbe impugnate: cosa che avveniva spesso. Un modo per prendere in giro gli elettori.
A un certo punto, dopo che l’Ufficio del Commissario dello Stato ha ‘cassato’ buona parte delle leggi finanziarie dei governi di centrosinistra (clamorose le impugnative dell’ultima legge Finanziaria del governo di Raffaele Lombardo e della prima Finanziaria del governo Crocetta, con 80 articoli di legge impugnati in ognuna delle due leggi!), lo stesso centrosinistra ha deciso di eliminare l’Ufficio del Commissario dello Stato.
Un’operazione iniziata da Sergio Mattarella – all’epoca giudice Costituzionale, oggi presidente della Repubblica – che, con un’ordinanza che non difetta certo di fantasia, prende spunto dall’abolizione dell’Alta Corte per la Sicilia avvenuta nel 1957 con una discutibile sentenza della Corte Costituzionale. Insomma, alla fine di un ‘dibattito barocco’ – più politico che costituzionale – l’Ufficio del Commissario dello Stato per la Regione siciliana è stato, di fatto, eliminato.
Quello che sta succedendo oggi con la legge regionale sull’acqua pubblica, come già accennato, è la risultante del papocchio istituzionale e costituzionale combinato dal centrosinistra con l’abolizione dell’Ufficio del Commissario dello Stato. Vediamo il perché.
Fino a quando è stato operativo l’Ufficio del Commissario dello Stato, le leggi approvate dall’Ars, o meglio, la costituzionalità delle leggi approvate dal Parlamento siciliano è stata verificata da giuristi: perché il personale dell’Ufficio del Commissario dello Stato era composto da giuristi altamente qualificati.
Con l’abolizione dell’Ufficio del Commissario dello Stato è scomparso un ‘filtro’ tra Sicilia e Roma e il governo nazionale ha avocato a sé il potere di impugnare le leggi approvate dall’Assemblea regionale siciliana. Così le impugnative, da provvedimenti adottati in ‘punta di Diritto’, sono diventati strumenti politici (e, come nel caso della legge siciliana sull’acqua, uno strumento di ritorsione politica non soltanto contro l’Ars, ma anche contro quella parte del PD siciliano che si è ribellato a Renzi, approvando una legge che al capo del governo e ‘capo’ del PD non piace).
Detto in parole semplici, mentre prima le impugnative erano giuridiche – e con motivazioni costituzionali – adesso sono politiche. E’ politica l’impugnativa della legge regionale sui Liberi Consorzi di Comuni; ed è politica l’impugnativa della già citata legge siciliana sull’acqua pubblica.
Si sta verificando, in pratica, quello che l’ex assessore al Bilancio della Regione siciliana, Franco Piro, ha dichiarato a chi scrive questo articolo: e cioè che con l’abolizione dell’Ufficio del Commissario dello Stato le leggi approvate dall’Ars sarebbero diventate oggetto di trattative al ribasso tra il governo nazionale e il governo regionale, umiliando la volontà del Parlamento siciliano.
Grazie al PD siciliano – e grazie a Crocetta, per quello che oggi conta l’attuale presidente della Regione – le tariffe dell’acqua in Sicilia, non potranno essere ridotte. Addio anche agli articoli che avrebbero ridato poteri ai Comuni, anche se, su tale punto, l’argomento si annuncia controverso, perché una legge regionale in vigore dà ai Comuni siciliani la possibilità di gestire il servizio idrico: cosa che in mezza provincia di Agrigento va in scena: in metà dei Comuni di questa provincia, infatti, c’è la gestione idrica diretta, mentre negli altri Comuni il servizio idrico, tra mille polemiche, è gestito dai privati di Girgenti Acque.
La partita sui Comuni rimane aperta.
I privati chiamati a gestire l’acqua, in Sicilia, almeno fino ad oggi, non hanno fornito risultati brillanti. Anzi. Le bollette sono ‘salate’ e il servizio che forniscono non è dei migliori. Non solo. In ogni provincia sono state effettuate centinaia di assunzioni a ‘umma ‘umma su segnalazione dei politici. Tutta gente che, oggi, al pari dei precari, rivendica il ‘posto fisso’. Ne sanno qualcosa all’AMAP di Palermo: nel capoluogo dell’Isola la gestione è rimasta pubblica (per l’appunto all’AMAP, società controllata dal Comune) che oggi deve pagare i circa 200 dipendenti della società privata che gestiva l’acqua nei Comuni della Provincia: parliamo di APS, che è fallita.
In Sicilia ci sono altri retroscena. Ci riferiamo al ‘regalo’ del governo Berlusconi 2001-2006, quando importanti infrastrutture idriche realizzate nel corso di cinquan’anni sono state cedute in comodato gratuito per trent’anni a una società privata di sovrambito: Sicilacque spa, della quale la Regione è azionista di minoranza.
In pratica, abbiamo dato a un privato le nostre infrastrutture idriche e la nostra acqua per farcela rivendere!
Berlusconi e i suoi amici – che hanno inventato la ‘privatizzazione’ del servizio idrico con le infrastrutture pubbliche siciliane cedute gratuitamente ai privati e con l’acqua che era già di proprietà dei siciliani rivenduta agli stessi siciliani – sono sicuramente dei geni: e invece i governanti siciliani che hanno accettato Sicilacque come li possiamo definire? Fate voi…
Un fatto è certo: il blocco della legge sull’acqua pubblica in Sicilia operato dal PD di Renzi è un grande regalo a Berlusconi. Ribadiamo: è Berlusconi con il suo gruppo di potere che ha inventato la gestione privata dell’acqua in Sicilia, con la scusa che gli stessi privati avrebbero rifatto, ad esempio, le reti idriche di tanti Comuni dell’Isola, quasi tutte ‘colabrodo’: cosa che, ‘puntualmente’, non è stata fatta.
Di fatto, il blocco dell’acqua pubblica in Sicilia sta a significare che, per ora nel quadro degli ‘affari’, è già operativo il Partito delle Nazione tra PD e Forza Italia: con gli inceneritori di rifiuti che servono per fare piccioli e non per risolvere l’emergenza rifiuti; con le operazioni ‘funamboliche’ in corso – nel silenzio generale – sull’energia; e adesso con l’acqua, per gestire appalti e altri soldi.
Andiamo alle reazioni del mondo politico.
“Finisce il sogno dell’acqua pubblica in Sicilia – si legge in un comunicato del gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle all’Ars -. L’assessore Contrafatto (Vania Contraffatto, assessore con delega all’acqua e ai rifiuti e all’energia imposta dai renziani nel governo Crocetta ndr) ha annunciato oggi in commissione Ambiente che la Regione non si è costituita davanti alla Corte Costituzionale per difendere la legge varata dall’Ars. E’ un fatto di una gravità inaudita, che vanifica anni di lavoro e mortifica le aspirazioni dei cittadini che col referendum avevano dato un’indicazione inequivocabile”.
Giampiero Trizzino, ex presidente 5 Stelle della commissione Ambiente che assieme a Valentina Palmeri ha coordinato i lavori della riforma, commenta con stizza l’inqualificabile comportamento della Regione che “ancora una volta calpesta le aspirazioni dei siciliani”.
“In seguito a questa affermazione – dice Trizzino – in commissione è scoppiato il finimondo e ce n’erano tutte le ragioni. Anni di lavoro buttati a mare a causa di una decisione onestamente incomprensibile”.
>“E’ la conferma – aggiunge Valentina Palmeri – che non c’è la volontà politica di regolamentare il settore dell’acqua in Sicilia e di mettere mano al sistema di potere che controlla il settore grazie all’attuale deregulation. Un fatto che va imputato non solo al governo, ma anche alla maggioranza che lo sostiene”.
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