E’ la domanda che, stamattina, i parlamentari della Commissione Bilancio e Finanze dell’Ars porranno al presidente della Regione, Crocetta, e al PD. Il riferimento è ai quasi 8 miliardi di Euro del ‘Patto per il Sud’ che sono diventati 2,5 miliardi. La polemica sulla ripartizione di questi 2,5 miliardi tra Gela (Crocetta), Messina (D’Alia) e Termini Imerese (Lumia). La critica alla manovra 2016 di Baccei che avalla gli scippi romani e prova a penalizzare ulteriormente famiglie e imprese della Sicilia
La Commissione Bilancio e Finanze dell’Ars torna a riunirsi stamattina. All’ordine del giorno non c’è soltanto il pronunciamento finale sul disegno di legge di stabilità 2016, che dovrebbe essere spedito in Aula per l’avvio della discussione generale. Il vero motivo per il quale la più importante Commissione legislativa del Parlamento dell’Isola è stata convocata oggi è un altro: e cioè la richiesta, al governo, di “chiarimenti” sul cosiddetto ‘Piano per il Sud’. Si tratta dei fondi nazionali destinati alle Regioni del Mezzogiorno. Alla Sicilia spettano quasi 8 miliardi. Ma nei giorni scorsi il governo regionale è andato a Roma per avviare la programmazione della spesa di questi fondi e – a sorpresa – ha portato nella nostra Isola un programma di spesa di 2,5 miliardi di Euro.
Da qui la domanda: e gli altri 5 miliardi e oltre di Euro che fine hanno fatto?
Stamattina il governo Crocetta dovrà illustrare ai parlamentari della Commissione Bilancio e Finanze non soltanto che fine hanno fatto gli altri 5 miliardi e passa di Euro, ma dovrà anche motivare il perché i 2 miliardi e mezzo che dovrebbero arrivare da Roma (il condizionale è sempre d’obbligo quando c’è di mezzo il governo Renzi: soprattutto quando tale governo nazionale deve erogare risorse finanziarie alla Sicilia…) sono già stati assegnati a Gela, a Messina e a Termini Imerese, ignorando, di fatto, le esigenze di tutti gli altri territori della Sicilia.
Dunque, due questioni legate tra loro: risorse che mancano e assegnazione dei 2,5 miliardi a tre sole aree della Sicilia.
In prima battuta bisognerà capire che fine hanno fatto gli altri 5 miliardi e oltre di Euro del ‘Patto per il Sud’ destinati alla nostra Regione. Fino ad ora il governo Crocetta – e soprattutto il PD, che di questo esecutivo è il maggiore ‘azionista’ politico – hanno lasciato intendere, tra il dire e il non dire, che i 2,5 miliardi di Euro potrebbero essere la prima tranche dei circa 8 miliardi del ‘Patto per il Sud.
Ma anche questa motivazione suona strana: perché mai, infatti, risorse che sono della Sicilia dovrebbero essere gestite da Roma con il ricorso a diverse tranche?
Il retro-pensiero è un altro. Nel Giugno del 2014 il presidente Crocetta ha firmato a Roma, proprio con Renzi, un accordo-capestro in base al quale ha imposto alla Regione siciliana – cioè a 5 milioni di siciliani – la rinuncia a circa 5 miliardi di Euro frutto di una sentenza della Corte Costituzionale (in materia di territorializzazione delle imposte) favorevole alla Sicilia.
A questa incredibile rinuncia si sommano le risorse finanziarie che, da almeno quattro anni, nel nome di un risanamento dei conti pubblici italiani che non c’è stato e che non c’è (ricordiamoci che, dal 2011 il debito pubblico italiano è passato da mille e 900 miliardi di Euro a 2 mila e 200 miliardi di Euro e forse più!), i governi nazionali strappano alla Sicilia.
Non solo. Lo scorso anno lo stesso governo Renzi ha scippato a tutto il Sud Italia 12 miliardi di risorse PAC (Piano di Azione e Coesione: in pratica fondi europei e nazionali destinati al Sud non spesi e riprogrammati dal governo Letta) per finanziare gli sgravi fiscali alle imprese: imprese che, nel 90 per cento dei casi hanno sede nel Centro Nord.
Il dubbio – che stamattina Crocetta e il PD dovranno chiarire (tema che il nostro blog ha trattato in questo articolo) – è se il governo Renzi abbia per caso intenzione di utilizzare i 5 miliardi e oltre di Euro del ‘Patto per il Sud’ della Sicilia per finanziare gli sgravi fiscali alle imprese del centro Nord Italia. In mancanza di chiarimenti su un tema così importante, risulterà interessante analizzare la reazione delle forze politiche siciliane: per capire chi sono gli ‘ascari’ (cioè i parlamentari dell’Ars che stanno ‘svendendo’ la Sicilia a Roma) e chi, invece, difende le ragioni di 5 milioni di Siciliani.
Insomma sarà interessante capire che posizione politica assumeranno i deputati dell’Ars del PD, del Movimento 5 Stelle, di Forza Italia, della Lista Musumeci, dell’UDC e via continuando. Sarà cura di questo blog segnalare ai lettori chi difenderà la Sicilia e chi no.
Un altro aspetto non meno importante è la già citata ripartizione dei 2,5 miliardi. Il dubbio – che questo blog ha già illustrato (come potete leggere in questo articolo) – è che questi fondi dirottati a Gela, a Messina e a Termini Imerese siano il frutto di un accordo teso a privilegiare tre politici: Crocetta a Gela (una sorta di ‘buonuscita’ politica per il presidente della Regione, che, dopo aver ‘terremotato’ la Sicilia, non verrà ricandidato alla presidenza della Regione e non verrà nemmeno candidato alle elezioni politiche nazionali da un PD che, con lui in lista, rischierebbe solo di perdere voti); Giampiero D’Alia a Messina e il senatore Giuseppe Lumia a Termini Imerese (ad avallare il ruolo di Lumia in questa storia è il fatto che lo stesso senatore, in questi giorni, è stato chiamato nei Tg a illustrare e difendere il disegno di legge sulle adozioni: il segnale che Renzi potrebbe averlo ‘recuperato’, non sappiamo per fare che cosa).
In attesa di capire come finirà questa storia dei fondi del ‘Patto per il Sud’, c’è da segnalare anche l’insofferenza di molti parlamentari per il disegno di legge di stabilità messo a punto dall’assessore regionale all’Economia, Alessandro Baccei, che, lo ricordiamo, è stato imposto da Renzi alla Sicilia.
Se Renzi, da Roma, scippa soldi alla Regione siciliana, il compito di Baccei è duplice: avallare questi scippi romani (e infatti nessuno al governo e nel PD si ‘permette’ di mettere in discussione gli scippi di Renzi al Bilancio della Regione) e, soprattutto, provare a ‘tosare’ i siciliani.
Baccei, insomma, con la legge di stabilità, deve strappare soldi alle famiglie e alle imprese della Sicilia per sopperire ai tagli romani. I Comuni siciliani, ad esempio, di fatto, dovranno aumentare la pressione fiscale locale per pagare i servizi e i 24 mila precari degli enti locali, magari senza fare capire nulla ai cittadini che potrebbero ribellarsi: sotto questo profilo il Comune più renziano della Sicilia è la Palermo di Leoluca Orlando che ha aumentato la pressione fiscale a carico dei cittadini palermitani di 150 milioni all’anno e si accinge a imporre nuovi balzelli: dalle ZTL all’aumento del costo dei parcheggi e via continuando).
Tutta la manovra 2016 messa a punto da Baccei è una sommatoria di tagli (ai forestali, al precariato e, indirettamente, alla sanità e agli agricoltori, a cui si sommano altre penalizzazioni).
Una di queste riguarda, per esempio, i Consorzi di Bonifica. Che (come potete leggere in questo articolo) sono stati lasciati senza soldi affinché si rivalgano sugli agricoltori: peccato che gli agricoltori siciliani sono già alla canna del gas: su questo punto si attende una reazione delle organizzazioni agricole e, soprattutto, degli stessi agricoltori.
Un altro aspetto che sta passando in ‘cavalleria’ – cioè senza troppo clamore – è la cessione di una parte del demanio trazzerale dalla Regione ai Comuni. Il motivo dovrebbe essere il seguente: la Regione taglia i fondi ai Comuni, in cambio gli cede queste trazzere che gli stessi Comuni dell’Isola si dovrebbero impegnare a ‘valorizzare’. Parola magica che significa: cari Comuni, trovate il modo di utilizzare queste trazzere per scippare soldi alle famiglie e alle imprese siciliane!
Il dato politico della manovra 2016 messa a punto da Baccei è il seguente: Roma scippa i soldi alla Sicilia e il governo della Regione deve provare a scippare i risparmi alle famiglie e alle imprese siciliane per impoverirle.
Di fatto, siamo davanti a una manovra che toglie risorse dal flusso circolare del reddito dei siciliani per provare a costringere questi ultimi a erodere i propri risparmi.
Una manovra scorretta e, soprattutto, recessiva.
Da qui la possibilità che il Parlamento siciliano la cambi profondamente.
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