Continuiamo nella “rilettura” della toponomastica nella nostra isola (e del Sud) per denunciare la scandalosa scelta di intitolare vie, piazza e scuole a chi versato il sangue dei siciliani. Oggi è la volta di Giuseppe La Farina, Stefano Turr e Nino Bixio. Chiediamo con forza che si ponga fine a questa ingiustizia e che si dedichino le strade ai nostri martiri, ai nostri eroi…
Continuiamo nella “rilettura” della toponomastica nella nostra isola, alla ricerca degli strafalcioni storici di quanti, studiata la storia sui libri scritti dai vincitori, si sono convinti che quella è la verità (sotto le puntate precedenti). Oggi ci occuperemo di tre personaggi i cui nomi sono ricordati in molte strade delle nostre città siciliane e sicuramente a Palermo.
Un ascaro “ante litteram”, Giuseppe La Farina.
Esule a Torino dopo la fallita rivoluzione del 1848, da repubblicano diventa monarchico (è così facile cambiare casacca, vero Genovese?) e si mette a servizio di Cavour, del quale diventa consigliere. E’ tanto fidato che Cavour lo invia in Sicilia per affrettarne l’annessione al Piemonte. Tenta di eseguire la comanda con tanto zelo e tanta insistenza servile che Garibaldi lo espelle clamorosamente dalla Sicilia. Fedele al mandato, ritorna dopo qualche mese, ma la reazione violenta degli autonomisti e dei repubblicani lo costringe a lasciare di nuovo l’isola. Un uomo tutto d’un pezzo.
La strada intitolata a La Farina va da Piazza Diodoro siculo (ironia involontaria) e finisce in Piazza Mordini, altro eroe risorgimentale. Garibaldi, su indicazione di chi lo aveva inviato in Sicilia, nominò lui, un piemontese, prodittatore e gli lasciò il governo della Sicilia.
Almeno in questo caso ci fu risparmiato un ascaro (che secondo me era pronto e magari ci rimase male)
Un criminali di guerra, Istvan Stefano Turr.
Istvan Turr fu un militare ungherese che prese parte alla spedizione dei Mille. Comandò la legione ungherese, un corpo militare creato da Garibaldi che operò in Sicilia e nell’Italia meridionale tra il 1860 e il 1867. Con la loro presenza condizionarono i seggi elettorali in occasione dei plebisciti per l’annessione al regno di Sardegna.
Consentitemi un inciso per chiarire una cosa di cui i libri di storia sorvolano. La parola plebiscito significa “consultazione diretta del popolo”. Orbene, per via dei nostri condizionamenti mentali e culturali, siamo portati a pensare che in occasione del plebiscito si vada tutti a votare. Non è così e così non fu ovviamente in occasione delle votazioni per le annessione allo stato sabaudo. Nel 1860 in tutto il territorio italiano aveva diritto al voto appena il 2 % della popolazione. Requisiti erano il sapere leggere e scrivere, pagare 40 lire di imposta e avere 25 anni.
E dunque secondo voi, su oltre 8 milioni di meridionali, quanti andarono a votare? E le votazioni furono libere? A riportare il commento di un inglese che assistette alle votazione in alcuni seggi a Palermo, si direbbe di no. I seggi erano presidiati dal soldati dell’esercito piemontese e da picciotti di sgarro. E perché dunque stupirsi delle reazioni di tanta parte delle popolazioni del Sud, le quali per il volere di pochi, senza saperne nulla, senza averne capito nulla, si videro arrivare addosso i soldati del re galantuomo?
Torniamo a Turr. Nella repressione feroce e sanguinaria del brigantaggio e nell’opera generale di “pacificazione” del Sud, in realtà quasi una pulizia etnica. la legione ungherese di Turr fece la sua parte. Cito per tutti i massacri di Auletta e Montemiletto, che contò circa trecento morti tra i civili. Un vero uomo d’onore!
E veniamo al terzo uomo, altro uomo d’onore, Nino Bixio.
Fidato generale di Garibaldi durante l’impresa dei Mille, fu il braccio armato dell’eroe dei due mondi nel reprimere rivolte e insurrezioni di quanti, abboccando i menzogneri e strumentali decreti di Garibaldi che promettevano la assegnazione delle terre demaniali ai bisognosi, si premuravano di dare personalmente esecuzione ai decreti, scontrandosi con i galantuomini che quelle terre volevano per sé. Ne nacquero appunto disordini, la cui eliminazione Garibaldi affidò al genovese.
Vediamo come i libri ufficiali di storia riportano quegli eventi.
“Intervenne con decisione a Santa Croce Camerina, dove erano stati trucidati i marinai di un bastimento svedese e a Bronte per fermare la celebre rivolta: erano stati saccheggiati diversi edifici e trucidati sedici uomini. Per ristabilire l’ordine, Garibaldi vi inviò Bixio, che applicò lo stato d’assedio e pesanti sanzioni economiche alla popolazione“. Costituito un tribunale di guerra, in poche ore (!) vennero giudicate circa 150 (!) persone e di queste 5 furono condannate all’esecuzione capitale.
Vediamo invece come andarono veramente e storicamente i fatti
A Bronte esisteva (ed esiste tuttora) la Ducea di Nelson, una specie di feudo di 25.000 ettari concesso da Ferdinando I all’ammiraglio
Nelson, come ricompensa per gli aiuti forniti al Reame nel 1799. Alle notizie delle avanzate garibaldine, i contadini occuparono le terre demaniali secondo i proclami garibaldini.
Garibaldi fu immediatamente sollecitato, con numerosi dispacci, dal console inglese che gli intimava di far rispettare la proprietà britannica della Ducea, e anche perché erano iniziate delle rivolte simili a Linguaglossa, Randazzo, Centuripe e Castiglione, centri confinanti con le proprietà inglesi.
Fu così che, per non danneggiare gli inglesi, Garibaldi, preoccupatissimo di perdere l’essenziale appoggio inglese, inviò il 6 agosto sei compagnie di soldati piemontesi e due battaglioni cacciatori, l’Etna e l’Alpi, al comando di Nino Bixio. Il paese fu circondato, ma, poiché i rivoltosi erano già scappati, Bixio fece arrestare l’avvocato Nicolò Lombardo, ritenendolo arbitrariamente il capo dei rivoltosi e poi facendolo passare anche per reazionario borbonico, mentre invece era stato l’unico che aveva cercato di pacificare gli animi di tutti. Lo stesso giorno, 6 agosto, Bixio emise un decreto con il quale intimava la consegna di tutte le armi, l’esautorazione delle autorità comunali, la condanna a morte dei responsabili delle rivolte e una tassa di guerra per ogni ora trascorsa fino alla “pacificazione” della cittadina.
Bixio si rivelò in questa vicenda un feroce assassino. Per terrorizzare ulteriormente i cittadini, uccise personalmente a sangue freddo un notabile che stava protestando per i suoi metodi. Nei giorni successivi incriminò altre quattro persone, tra le quali un insano di mente. Il giorno 9 vi fu un processo farsa che condannò a morte i cinque imprigionati, che erano del tutto innocenti e che fece fucilare spietatamente il giorno successivo. Per ammonizione, all’uso piemontese(gente civile!), i cadaveri furono lasciati esposti al pubblico insepolti.
Bixio ripartì il giorno dopo portando con sé un centinaio di prigionieri presi indiscriminatamente tra gli abitanti. Bellissimo sull’episodio il film denunzia di Florestano Vancini “Bronte, cronaca di un massacro”.
Propongo che l’intitolazione di queste vie venga modificata e ai tre nomi si sostituiscano altre denominazioni, come, ad esempio, via Gaetano Salvemini, via dei Martiri di Auletta e Montemiletto e via dei Martiri di Bronte.
Incredibile: Palermo dedica una via al generale Enrico Cialdini, il feroce assassino di meridionali!
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