Il tema è stato affrontato oggi durante una riunione della commissione Sanità dell’Assemblea regionale siciliana. Era presente anche l’assessore regionale alla Salute, Baldo Gucciardi, che ha confermato di essere una sorta di ‘becchino’ della sanità pubblica dell’Isola. Di fatto, i Punti nascita chiuderanno non per tutelare le donne siciliane, ma per fare risparmiare soldi al governo Renzi.l Con la ‘benedizione’ del PD siciliano…
Oggi la commissione Sanità dell’Assemblea regionale siciliana si è riunita per affrontare la questione della chiusura dei Punti nascita della Sicilia disposta dal governo nazionale – ministro della salute Beatrice Lorenzin – con l’avallo del governo regionale. Sono i Punti nascita di Petralia Sottana, sulle Madonie; di Mussomeli, nel Nisseno; di Lipari, nelle Isole Eolie; e di Santo Stefano di Quisquina, area montana dell’Agrigentino.
Alla riunione, oltre ai parlamentari che fanno parte della commissione Sanità del Parlamento siciliano, era presente anche l’assessore regionale alla Salute, Baldo Gucciardi, nel ruolo di ‘becchino’ dela sanità pubblica siciliana e, in particolare, dei Punti nascita.
Si pensava che, dopo la protesta dei sindaci delle Madonie (che, per inciso, sono quasi tutti di centrosinistra), il governo Renzi avrebbe potuto ridiscutere la chiusura del Punto nascita di Petralia Sottana. Anche perché gira voce che il sottosegretario siciliano, Davide Faraone – parlamentare nazionale eletto in Sicilia – si starebbe adoperando per salvare almeno il Punto nascita madonita, trasformando un diritto della gente in una concessione, nel rispetto dello ‘stile’ dei vecchi dorotei della CD.
Ma, a quanto pare, la notizia, a giudicare da quello che si è detto oggi in commissione Sanità all’Ars, sarebbe destituita di fondamento. All’orizzonte non c’è nemmeno questa ‘democristianata’. Insomma, il governo nazionale vuole chiudere il Punto nascita delle Madonie, perché, così si dice, da quelle parti si registrano poche nascite.
Alla base della chiusura, ufficialmente c’è la storia dei 500 parti all’anno che il Punto nascita di Petralia non raggiungerebbe. Ma questa – come il nostro blog ha già scritto – è una scusa, perché, a livello internazionale (il riferimento è alle società internazionali di questa branca della sanità), il numero di parti richiesto in un anno ad un Punto nascita per essere considerato sicuro è pari a mille e non 500. La storia dei 500 parti se l’è inventata di sana pianta la ministra Lorenzin.
Insomma, la chiusura dei Punti nascita in Sicilia ha poco a che vedere con la sicurezza e molto a che vedere con i risparmi, se è vero che lo Stato non vuole nemmeno assicurare alla Sicilia i 2,2 miliardi che ogni anno, in teoria, dovrebbe erogare su una spesa, sempre teorica, per la sanità siciliana pari a 9,2 miliardi di Euro (in realtà, per la sanità siciliana si spende meno, grazie ai tagli nella sanità pubblica, mentre per i grandi centri nazionali e internazionali che operano nella nostra Isola non ci sono stati tagli.
Niente da fare anche per il Punto nascita di Santo Stefano di Quisquina. Pure in questo caso la motivazione non è sanitaria, ma economica: il risparmio sulla pelle dei cittadini siciliani, in questo caso sulle donne.
Si sussurra che potrebbe esserci qualche spiraglio per i Punti nascita di Lipari e Mussomeli: ma sono solo voci: anche in questo caso lo Stato vuole risparmiare.
Rimangono, invece, in piedi le deroghe per i Punti nascita di Bronte, Licata e Cefalù. In questi tre casi, alla fine, le ‘raccomandazioni’ sono molto più forti delle esigenze di risparmio. Raccomandazioni politiche per Bronte e Licata e, a quanto pare, massoniche per Cefalù.
Ma quanto costa, alla fine, tenere aperto un Punto nascita? Ci vogliono cinque medici e, naturalmente, una sala operatoria. Per un ospedale pubblico, alla fine, non più di 300 mila Euro all’anno. Ma la verità è che il PD siciliano – tra deputati nazionali e deputati regionali – non è nemmeno in grado, oggi, di assicurare queste risorse alla Sicilia.
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