Sarà la miseria in cui ormai versa la nostra regione. Sarà che cresce di giorno in giorno la consapevolezza dei torti subiti. Ma sempre più siciliani cominciano a rendersi conto che con l’applicazione delle norme finanziarie dello Statuto, la Sicilia non sarebbe ridotta alla fame…
Disse l’acqua alla roccia: dammi tempo e un buco scaverò. Di tempo ce ne è voluto, ma pare che sempre più siciliani ormai stiano acquisendo consapevolezza di quei diritti che lo Stato non ha mai riconosciuto alla Regione. Ci riferiamo alla mancata applicazione delle norme finanziarie dello Statuto, tema che, seppur timidamente, comincia a fare la sua comparsa anche sui giornali più vicini ai vari potentati, e di cui oggi si occupa la Cgil siciliana.
Il sindacato guidato da Michele Pagliaro, innanzitutto, non manca di ironizzare sul ‘fantomatico’ contributo che Roma dovrebbe versare alle casse siciliane e che, in realtà, è solo una minima parte di quanto spetterebbe alla Sicilia. E definisce “paradossale” l’attuale trattativa con Roma:
“Non possiamo che sperare che il ‘contributo’ dello Stato alla Regione arrivi quanto prima. – dice Pagliaro virgolettando la parola contributo proprio per sottolineare che contributo non è.
“Detto questo,- continua il segretario regionale della Cgil- la situazione resta grottesca e assurda: mi chiedo cosa si aspetti a risolvere l’annosa questione tributaria, con la revisione dei patti Stato-Regione, fermi al 1965, la vera soluzione strutturale al problema finanziario della regione. Il tema resta sempre quello dell’applicazione dello Statuto. Noi – sottolinea il sindacalista- chiediamo lo stesso trattamento delle altre regioni a Statuto speciale, cioé il ritorno alla regione dei 7/10 dell’Irpef e dell’Iva e dei 5/10 delle accise riscosse nell’isola. Per la Sicilia ci sarebbero 4,3 miliardi in più che consentirebbero, con la volontà politica, di fare quadrare il bilancio e fare le riforme”.
La Sicilia, come ormai sappiamo e come ha ammesso anche il proconsole di Renzi a Palazzo d’Orlèans, l’assessore all’Economia, Alessandro Baccei, è, tra le Regioni a Statuto Speciale, quella che incassa meno tributi. Mentre, in assoluto, è la regione che paga il più alto contributo per il risanamento della finanza pubblica. Una situazione assurda dovuta non solo all’atteggiamento colonialista dei vari governi nazionali, ma anche all’inettitudine di tutti i governi regionali che mai hanno preteso da Roma un trattamento migliore (ricordiamo che anche la Corte dei Conti siciliana ha puntato il dito contro la “slealtà” dello Stato nei confronti della Sicilia in tema di trasferimenti tributari).
L’attuale governo guidato da Rosario Crocetta, manco a dirlo, sta peggiorando le cose. Non solo spaccia per aiuti romani quelli che sono diritti non riconosciuti alla Sicilia, ma con la famigerata delibera 286 dello scorso 20 Novembre -che porta sui tavoli delle trattative col Governo Renzi- svende le norme finanziarie dello Statuto in cambio di un piatto di lenticchie. Il tutto dopo avere confermato, sempre in quella delibera, la rinuncia ai contenziosi con lo Stato, alias 4 miliardi di euro regalati a Roma.
Va da sé che l’unico argine a questa svendita potrà essere solo la presa di coscienza dei siciliani.
Deludono, e non è una sorpresa, i deputati dell’Ars, maestri del consociativismo, che non vanno oltre qualche comunicato stampa per denunciare l’ingiusto trattamento riservato alla Sicilia. Anche dai parlamentari del Movimento 5 Stelle ci si aspettava di più: lo Stato, con la complicità di Crocetta, continua a trattenere risorse che, in un momento come questo, sarebbero vitali per la Sicilia. Eppure non li abbiamo visti scendere in piazza, né li abbiamo visti protestare in maniera eclatante.
In una diretta streaming, Claudia La Rocca, rispondendo ad una nostra domanda sul tema, ha detto che il problema è che la deputazione siciliana a Roma non raccoglie i loro appelli. Questo non ci meraviglia: al 99% sono ascari, venduti agli interessi dei partiti nazionali. E non dovrebbe meravigliare neanche loro che, in virtù del consenso che riscuotono, potrebbero alzare la voce e coinvolgere i siciliani molto più di quanto fanno.
D’altronde, è o non è una questione di sopravvivenza?
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