Precari, ma chi l’ha detto che hanno diritto alla stabilizzazione?

30 novembre 2015

Queste persone non hanno alcun diritto del genere. Essi piuttosto sono la personificazione e l’incarnazione della sopraffazione, del sopruso e dell’ingiustizia

Nella giornata di ieri tutti gli organi di stampa dell’isola riportavano la notizia data dal deputato, Davide Faraone del PD (Partito Demenziale), il quale annunciava con toni trionfalistici che si procederà che alla stabilizzazione dei precari.
Il goliardico Faraone è stato messo subito a posto oggi sugli stessi organi di stampa dal suo compagno di maggioranza, Giampiero  D’Alia (ve lo raccontiamo qua) e quindi non mette conto di stroncare la sua delirante iniziativa già bocciata con disonore.
Però non posso lasciarmi sfuggire la ghiotta occasione di soffermarmi sui concetti di precario e di stabilizzazione.
L’abbinamento rischia di avere un effetto magico ed ipnotico, direbbe Marcuse, il quale ci mette in guardia contro le astuzie della ragione.
E fa un esempio. La sigla NATO, ragionevole e giustificata dalla lunghezza dei termini non abbreviati, serve ad evitare domande non gradite. La sigla infatti non dice quel che dice l’intera definizione e cioè: “North Atlantic Treaty Organization”(NATO,appunto), un trattato tra nazioni che si affacciano sull’Atlantico del Nord, nel qual caso qualcuno potrebbe chiedere perché siano membri l’Italia, la Grecia e la Turchia.
Questo stile, dice Marcuse, possiede una concretezza sopraffattoria.
E la sopraffazione consiste nel volerci impedire, quasi sempre riuscendovi, di ricordare e porre precise domande. Cioè, nel caso di cui parliamo, nel farci credere che è normale stabilizzare i precari.
Che, soprattutto si tratti di un atto dovuto, differito ormai da troppo tempo.
Ma è così?
Per evitare di cadere nella trappola sopraffattoria è nostro dovere tentare di capire di che cosa stiamo parlando e di porci per questo alcune domande.
I precari in genere sono soggetti che svolgono temporaneamente imprecisate ed indefinite attività all’interno della pubblica amministrazione in senso lato. Regioni, enti locali, enti vari ed assortiti.
Prima domanda. Perché?
I motivi sono vari.
In alcuni casi (sono i precari per “necessità”), perché nel corso del tempo passato una serie di blocchi legislativi imposti da esigenze di contenimento della spesa pubblica ha impedito la copertura dei posti resisi vacanti nell’organico nelle amministrazioni pubbliche.
E così quello che non poteva entrare dalla porta entrava dalla finestra.
Una turba squalificata di clienti, sodali, amici degli amici, con l’avallo dei sindacati, la benedizione dei politici e nel silenzio di Confindustria, ANCE Sicilia, Confcommercio, Confesercenti, CNA, Lega delle Cooperative e di tutte le organizzazioni datoriali in genere che oggi strillano come aquile, è stata imbarcata nelle pubbliche amministrazioni.
Vi è poi una seconda tipologia di precari (i precari per “pietà”).
Per alleviare il disagio sociale connesso alla forte disoccupazione, le pubbliche amministrazioni, bontà loro e coi soldi nostri, hanno inserito nelle loro file soggetti espulsi dal mondo del lavoro o per chiusura o per altri accidenti di aziende e stabilimenti privati.
Tutti costoro bivaccano negli uffici con contratti a tempo determinato. Nella speranza, si capisce, e nell’attesa che, mutando in meglio le condizioni economiche dell‘isola, gli stessi possano trovare altra occupazione.
Ovviamente questo non è successo e il loro rapporto con la PA è stato via via prorogato, in alcuni casi per decenni.
Veniamo alle “astuzie della ragione”.
Tutti parlano di stabilizzazione e tutti parlano di diritto alla stabilizzazione. Diritto? Queste persone non hanno alcun diritto del genere. Essi piuttosto sono la personificazione e l’incarnazione della sopraffazione, del sopruso e dell’ingiustizia.
Perché loro si e tanti altri no?
Perché nel tempo hanno acquisito professionalità, è la risposta furba.
Ma, ammesso e non concesso che sia così, anche gli altri, se fossero stati immessi nella P.A., avrebbero maturato la stessa professionalità.
Perché tanti sono già stati stabilizzati. Altra risposta furba.
E se sono state commesse ingiustizie, perche farne altre? Che giustizia sarebbe essere ingiusti?
Se qualcuno, fossero anche Papi o Presidenti della Repubblica, venisse a dirmi che queste persone hanno diritto li terrei per farabutti.
Quando penso ai precari, penso sempre a quei due commessi di Spatafora, il negozio di scarpe che c’era in viale Strasburgo, a Palermo. Uno giorno vi entrai. C’erano due commessi che chiacchieravano. Mi avvicinai osservando degli articoli in vetrina. Nessuno sentì il bisogno di fare il suo lavoro, di interrompere la conversazione e di chiedermi se avessi bisogno di un consiglio, di invogliarmi a comprare qualcosa. Non dico che il loro comportamento abbia causato il fallimento di quella ditta storica ma certo non l’ha aiutata. La sola idea che questi due cialtroni continuino la loro conversazione in un ufficio pubblico a spese del contribuente e che scendano in piazza per la stabilizzazione mi fa ribollire il sangue.
La stessa reazione che mi ha provocato la precaria assessora Lantieri, già ufficiala di collegamento tra l’Udc e il Pd dei Enna ai tempi di Cuffaro che ha sibilato sui giornali: “Ci devono stabilizzare tutti!”
CI DEVONO?
Ci vorrebbe un Masaniello che facesse scendere in piazza tutti quelli che non avendo santi in Paradiso, che so, un sindacalista corrotto o un politico d’accatto non hanno avuto alcuna opportunità e tuttora si barcamenano e forse hanno lasciato da tempo l’isola in cerca di un lavoro.
Ci vorrebbe un Masaniello che sapesse trascinare gli esclusi in piazza in una manifestazione alternativa a quelle che hanno avviato questi accattoni, chiedendo la “par condicio”. O tutti dentro o tutti fuori.
Sarebbe un bel vedere.

 

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