Renzi e i suoi seguaci lo presentano come i nuovi investimenti nel Sud. In realtà, sono i soldi non spesi nel Mezzogiorno che vengono riprogrammati e utilizzati con il dirigismo dello Stato. Di fatto, una riedizione della Cassa del Mezzogiorno
Dopo il Jobs Act, dopo la spending revue (al Moulin rouge), il Quantitative Easing (povero Dante!), ecco a voi il Masterplan, l’arma assoluta, “l’ordigno di fine di mondo”, inventato dai geni dell’economia che assistono il Pinocchio di Ponte vecchio per sconfiggere definitivamente l’arretratezza economica, morale, sociale, musicale e calcistica del Mezzogiorno.
Un programma che assomiglia assai ad un piano di ricostruzione postbellica, che veramente fa onore al suo escogitatore e al suo nome: Masterplan, il piano maestro o il piano del maestro o il maestro di piano. Una cosa di grande lusso. Soldi, soldi, soldi a palate per il Sud. Peccato che sono sempre gli stessi, ossia quelli non spesi nei periodi precedenti aggiunti a quelli che erano già programmati.
Siamo di fronte al caso del “malupaaturi”, che, non avendo come pagare il suo debito alla scadenza pattuita, ti viene a proporre una proroga e il rinnovo della cambiale. Bella forza!
Ci occuperemo più avanti in questo blog in modo scientifico del tema, ma fin da subito vanno segnalati i veri pericoli che questo strumento potrà rappresentare per la Sicilia. Il piano è il veicolo per introdurre nel rapporto Stato-Regione una sorta di dirigismo statale nella definizione e nella realizzazione degli interventi. Della serie, “ragazzino lasciami lavorare”.
Per fortuna questo attacco è facilmente rintuzzabile perché la Sicilia non ha bisogno né di Masterplan né di Boyplan, disponendo da tempo di un documento di ben altra portata l‘Intesa istituzionale di programma, sottoscritta per la parte statale da chi oggi è il Capo dello Stato, cosa che per noi tutti ne amplifica il significato al netto della sua eccellenza tecnica. Purtroppo da quando è stata sottoscritta la Sicilia è stata governata da cervelli in tutt’altre faccende affaccendati, che, incapaci di governare un astronave, l’hanno usata come se fosse una vecchia 500.
Ma il vero pericolo è il rapporto diretto che lo Stato intenderebbe intrattenere con le Aree metropolitane di Palermo,Catania e Messina. E in presenza di un parodia di governo regionale come quello attuale avrebbe gioco facile, sfruttando la vanità e la voglia di protagonismo di certi nostri possibili sindaci d’area che farebbero carte false per giocare il ruolo dei pierini primi della classe. Si scatenerebbe, in assenza di una disciplina condivisa, una guerra per bande tra la Regione e le città.
Il dovere di uno statista è uno solo: spegnere le macchine che tengono in vita in Sicilia questa barzelletta di governo regionale e fare votare i siciliani: ma il concreto pericolo che oggi i siciliani sceglierebbero gente nuova, gente seria, gente autorevole e competente terrorizza chi statista non è. E il coraggio uno non se lo può dare.