terza pagina/Il film: Manchester by the sea

27 ottobre 2018
La nostra rubrica dedicata alle pillole culturali: gli incipit tratti dai grandi romanzi, gli aforismi di scrittori e filosofi, i siciliani da non dimenticare, gli anniversari di fatti storici noti e meno noti, la Sicilia dei grandi viaggiatori, i proverbi della nostra tradizione e tanto altro ancora. Buona lettura

a cura di Dario Cangemi

Due premi Oscar per un film che scandaglia gli aspetti più amari e spesso imperscrutabili della vita: la solitudine, l’angoscia..quindi l’impotenza. Un melodramma in cui Casey Affleck, con la sua eccellente interpretazione, entra nelle file dei giganti.

In una Boston cupa e gelida, la sofferenza è il motore che ogni mattina trascina Lee Chandler fuori dal letto. Le giornate di Lee, custode tuttofare in una palazzina alto borghese, sono fatte di proposte sessuali non accettate, elementi di idraulica e giardinaggio, e di un tale richiamo all’autodistruzione da non consentirgli nemmeno di uccidersi, ma solo di umiliarsi e auto punirsi con il vuoto, con il più totale deserto degli affetti e con una vita di solitaria mediocrità.

Quando riceve la notizia che suo fratello Joe, gravemente malato di cuore, ha avuto un infarto, lo scontroso Lee si vede costretto a tornare a Manchester, sua città natale e gelido involucro delle sue tragedie. Arrivato solo dopo la morte del fratello, Lee scopre di essere stato nominato tutore del nipote, come a rimarcare il fatto che è soprattutto quando non ce lo meritiamo e quando siamo certi di arrecare solo delusioni che le persone che ci amano davvero decidono di fidarsi di noi e di salvarci da noi stessi.

La vita è più forte della morte, recita un vecchio adagio popolare, ma la morte è inevitabile, suggerisce l’ultima fatica di Kenneth Lonergan. Il dolore è intrecciato all’ilarità, situazioni sguaiate, stridenti, fastidiose ma esilaranti, con il grottesco come cardine necessario.

Manchester by the Sea (2016) mette in scena tutte le brutture della vita reale, le emozioni crude e violente, le meschinità, le lacrime e l’iperrealismo, affermando che il segreto per soffrire senza scivolare nel melodramma è, banalmente, l’ironia.

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