I decreti sull’etichettatura della pasta che da ieri vengono ‘strillati’ a destra e a manca sono una presa in giro. Per i consumatori è importante sapere non cosa c’è scritto nelle etichette, ma quali sostanze sono presenti nella pasta. Perché, invece di queste chiacchiere, non scrivono nelle etichette se la pasta contiene glifosato o micotossine DON? Questa sceneggiata serve solo a nascondere la speculazione al ribasso che, anche quest’anno, colpisce il grano duro del Sud!
Da ieri una notizia ‘strillata’ a destra e a manca annuncia una rivoluzione per la pasta e per il riso: l’obbligo per l’etichettatura. Si tratta, come ora proveremo a raccontare, di decreti – firmati dai Ministri Maurizio Martina (Politiche agricole) e Carlo Calenda (Sviluppo economico) – che, almeno per ciò che riguarda il grano duro (e qui i derivati di tale prodotto, pasta in testa), possono essere definiti tutto fumo e niente arrosto.
Come questo blog racconta da tempo, ciò che interessa i consumatori non è quanto sta scritto nelle etichette, ma quello che c’è negli alimenti che finiscono sulle nostre tavole.
In una realtà nella quale le multinazionali, ormai, si ‘comprano’ pure gli Stati, fornire indicazioni nelle etichette sull’origine degli alimenti (luogo di produzione e di lavorazione) non serve assolutamente a nulla!
Sarebbe molto più serio se il Ministero e le Regioni fornissero ai consumatori informazioni sull’eventuale presenza di contaminanti dopo aver effettuato le analisi (ogni Regione italiana potrebbe farlo attraverso l’ARPA, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente).
Nel caso della pasta, sarebbe interessante fornire ai consumatori informazioni sull’eventuale presenza di glifosato e di micotossine DON.
Servono, questi sì, i controlli sugli alimenti. In questo senso è invece importante la battaglia che si sta combattendo per sapere come viene prodotta la pasta industriale e i che risultati che hanno fornito i controlli (qui potete leggere l’articolo che illustra i risultati sui controlli effettuati su otto marchi di pasta industriale prodotta in Italia cura di GranoSalus, associazione di produttori di grano duro del Sud e di consumatori).
Tra l’altro, la mossa del Governo italiano sembra una fuga in avanti dal sapore elettorale, in vista delle elezioni politiche del prossimo anno. L’Italia, infatti, oltre ad aver ceduto all’Unione Europea la sovranità politica e la sovranità monetaria, dipende da Bruxelles anche su questo fronte. Sono gli organismi comunitari – e non il nostro Paese – a decidere anche sulle etichette che accompagnano gli alimenti.
Non a caso, nel novembre dello scorso anno, il Governo italiano ha inviato alla Commissione Europea i decreti che prevedono l’etichettatura di alcuni prodotti alimentari come pasta e riso. Bruxelles – che a propria volta è condizionata dalle multinazionali – ha preso tempo. Ora il Governo italiano, dopo la prima notifica informare, ha inviato agli organismo comunitari due nuovi i decreti, ben sapendo che l’ultima parola spetta alla Commissione Europea.
Che dire? Che, con molta probabilità, si tratta di una sceneggiata dal sapore elettorale.
Lo ribadiamo: le indicazioni fornite dalle etichette servono a poco. E, in ogni caso, la UE potrebbe avviare la procedura d’infrazione e bloccare tutto, ovviamente dopo le elezioni politiche italiane previste nella primavera del prossimo anno…
In questa storia due elementi – indovinate perché – vengono tenuti quasi nascosti.
Il primo elemento è che il provvedimento entrerà in vigore tra sei mesi: quindi a ridosso o subito dopo le elezioni politiche.
ll secondo elemento è la possibilità di una procedura d’infrazione.
La procedura d’infrazione non è una nostra ‘elucubrazione’: ne parla anche nel proprio sito GranoSalus, dove leggiamo:
“Il via libera (autonomo) dell’Italia alla sperimentazione sull’etichettatura d’origine delle materie prime della pasta presenta più lati negativi che positivi e potrebbe comportare una procedura d’infrazione per l’Italia. Il decreto però entrerà in vigore tra 180 giorni… prima delle elezioni. Il PD respinga accordo CETA”.
GranoSalus mette subito il dito sulla piaga e, non a caso, chiama in causa il PD. Si tratta del partito che nel =Parlamento europeo – insieme con Forza Italia – ha votato a favore del CETA, il trattato commerciale internazionale tra Unione Europea e Canada che, tra le tante cose, se approvato da tutti gli Stati della UE, consentirà ai canadesi di esportare in Europa il propri grano duro che viene coltivato nelle zone umide e fatto maturare artificialmente con il glifosato.
Come i nostri lettori sanno, il grano duro canadese che arriva in Europa – e soprattutto in Italia con le ‘famigerate’ navi – contiene due contaminanti: il glifosato e le micotossine DON (come potete leggere qui). Perché mai l’Unione Europa, che ha già approvato il CETA, dovrebbe accettare l’etichettatura della pasta che dovrebbe illustrare ai consumatori la provenienza del grano duro?
Adesso vi poniamo una domanda: voi acquistereste un pacco di pasta dove sta scritto che tale pasta è stata prodotta con il grano duro canadese?
Domanda che genera altre domande: dove sta l’inghippo in questa storia? la UE avvierà la procedura d’infrazione per poi bloccare tutto? o le etichette saranno una presa per i fondelli?
Leggiamo sempre sul sito di GranoSalus:
“L’esperienza pregressa del Governo italiano cosa insegna? Già Alemanno (Gianni Alemanno, già Ministro dell’Agricoltura ndr) in passato provò a presentare un decreto sull’etichettatura che fu bocciato dalle Autorità europee. Adesso ci riprova Martina sia per riempire di contenuti uno scarno Piano di Settore (mai decollato) sia, soprattutto, per preparare la prossima campagna elettorale. Che si annuncia in salita. Il Ministro, vice segretario PD, e i suoi parlamentari sono disposti anche a bypassare le forche caudine di Bruxelles, pur di esibire qualche risultato agli elettori”.
E ancora:
“Se Martina vuole costruire la sua campagna elettorale speculando su risultati effimeri, offra una assicurazione personale all’Italia (insieme ai parlamentari del PD) affinché, in caso di infrazione, la multa la paghino loro senza usare gli italiani come bancomat per campagne elettorali”.
Le procedure d’infrazione disposte da Bruxelles, infatti, si risolvono in multe salate a carico dei Paesi che violano le imposizioni delle multinazionali, pardon, dell’Unione Europea.
Insomma, per gli italiani questa sceneggiata sulle etichette (che, lo ribadiamo, non servono a nulla!) si potrebbe risolvere in una bella stangata che verrebbe pagata dai cittadini con una bella tassa aggiuntiva!
Guarda caso, la sceneggiata sui decreti – ribadiamo ancora una volta: inutili! – arriva proprio mentre è in corso la solita speculazione al ribasso che penalizza i produttori di grano duro del Mezzogiorno d’Italia.
Anche quest’anno – come l’anno passato – il prezzo del grano duro si mantiene basso (di queste speculazioni ai danni dei produttori di grano duro del Sud parleremo, nel dettaglio, in un articolo che pubblicheremo domani): 20-12 euro al quintale.
Pensate un po’: lo stesso grano duro canadese che continua ad arrivare in Italia – un prodotto di qualità scadente rispetto al grano duro prodotto in Sicilia e in Puglia (e, in generale, in tutto il Sud Italia) che è naturalmente privo di glifosato e micotossine DON – viene pagato a 27-28 euro al quintale per imposizione delle multinazionali! E’ incredibile, ma è così.
A fronte di questi problemi, che penalizzano i produttori di grano duro del Sud, che cosa fa il Governo nazionale, con in testa il Ministro Martina, molto vicino alla Coldiretti? Butta fumo negli occhi degli italiani con due improbabili decreti che, come già ricordato, bene che vada entreranno in vigore tra sei mesi!
Detto questo, la domanda finale è: ammesso che la UE faccia passare ‘sta sceneggiata, cosa cambierà per i consumatori? Che notizie leggeremo nelle etichette?
Lo illustra sempre il sito di GranoSalus:
“Il decreto grano/pasta in particolare prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture:
a) Paese di coltivazione del grano: nome del Paese nel quale il grano viene coltivato;
b) Paese di molitura: nome del paese in cui il grano è stato macinato.
Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture:
Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE.
Se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi UE e/o non UE”.
Che cosa cambierà in termini di informazione ai consumatori? Niente!”.
Vi è chiaro? Se la pasta industriale è prodotta con il grano duro canadese, ebbene, le etichette non ne parleranno. Ci diranno che il grano duro utilizzato è arrivato da Paesi non UE!
Che consiglio dare ai Siciliani? Di non mangiare pasta industriale e di mangiare, invece, la pasta artigianale prodotta in Sicilia. Costa un po’ di più, ma almeno avrete – se non la certezza matematica almeno la quasi-certezza – di mangiare pasta genuina!
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