Incredibile il giro di affari che ruota attorno ai trasporti marittimi tra la Sicilia e i suoi arcipelaghi. Una storia che coinvolge prima il Governo Berlusconi e poi il Governo Renzi. Una vicenda che vede lo snodo finale all’ombra del Nazareno. Una vicenda in cui le anomalie sono più che vistose ma, evidentemente, non per tutti…
Soldi, soldi, soldi. Naturalmente pubblici. Sì, soldi pubblici. Tanti soldi pubblici. E’ attorno a una montagna di denaro degli ignari contribuenti che ruota la vicenda dei trasporti marittimi tra la Sicilia e i suoi arcipelaghi. Pensate un po’ che combinazione: nel momento in cui lo Stato e la Regione hanno tagliato i fondi persino ai disabili gravi, in una pubblica amministrazione – quella della nostra sempre più disastrata Isola – dove ormai si risparmia su tutto: sui Comuni, sulle ex Province, sulle categorie deboli e persino sulla sanità – ecco che Roma e Palermo decidono di spendere in questo settore ogni anno una cifra che è maggiore del costo dell’ISMETT. Se il Centro per i trapianti di organi di Palermo costa circa 106 milioni di euro all’anno, i trasporti marittimi per collegare la Sicilia ai propri arcipelaghi costano 166 milioni di euro circa, al netto degli introiti dei biglietti.
Tutti soldi incassati dai privati che gestiscono questo settore, Ettore Morace e gruppo Franza di Messina in testa (con qualche altro nome di peso: il gruppo che fa capo alla famiglia Matacena e Francantonio Genovese: sì, proprio lui, il parlamentare nazionale del PD, oggi passato a Forza Italia, coinvolto nello scandalo della Formazione professionale).
Per provare a capire di che cifre stiamo parlando, dobbiamo sommare i 166 milioni di euro di contributi annuali a fondo perduto agli incassi dei biglietti. Prendiamo come esempio l’aliscafo che collega Palermo ad Ustica. Costo del biglietto andata e ritorno: oltre 50 euro. Il biglietto per la stessa tratta, ma con la nave, costa circa 30 euro.
Provate a fare un calcolo sommario, conteggiando i biglietti pagati dai passeggeri che vanno e vengono, ogni anno, dalle isole Eolie, da Ustica, dalle Egadi e da Pantelleria e Linosa. Aggiungeteci i già citati 166 milioni di euro (110 erogati ogni anno dalla Regione siciliana e 56 milioni dallo Stato) e vi spiegherete il perché, attorno a questo settore – come sta venendo fuori dalle inchieste giudiziarie – ronzano, come api in prossimità del miele, ministri, sottosegretari, parlamentari nazionali e regionali e sindaci (delle isole…).
Non è mai stato un settore tranquillo, quello dei trasporti marittimi. Soprattutto in Sicilia. Volendo, molte delle cose che vengono fuori oggi si ‘disegnano’, mettiamola così, durante l’ultimo Governo presieduto da Berlusconi. E’ questo esecutivo che, nel 2010, dopo anni di tira e molla iniziato durante il Governo Prodi, decide di privatizzare la Tirrenia e le società collegate alla stessa Tirrenia: la Siremar (per la Sicilia), la Caremar (per la Campania), la Toremar (per la Toscana) e la Saremar (per la Sardegna).
A noi, in questa ricostruzione, interessa la Siremar, società che, prima del bailamme che vi stiamo raccontando, gestiva i trasporti via mare tra la Sicilia e i suoi arcipelaghi.
In quegli anni, come ricordato, si parla di privatizzazioni. Ma l’allora ministro dell’Economia del Governo Berlusconi, Giulio Tremonti, lascia intendere di voler “regalare” la Siremar alla Regione siciliana. E’ un regalo ‘indigesto’: un tentativo, furbastro, di scaricare sulla stessa Regione siciliana l’intero costo del trasporto passeggeri tra la Sicilia e le sue isole.
La Regione, allora retta da Raffaele Lombardo, non cade nel tranello, mentre le altre Regioni coinvolte accettano l’offerta del Governo.
Così, nel 2010, si va a un bando per vendere contemporaneamente Tirrenia e Siremar. La gara la vince la Mediterranea holding, società che fa capo alla Regione siciliana, il gruppo napoletano Lauro e altri piccoli armatori.
Non si capisce perché il giorno della firma del contratto per l’aggiudicazione di Tirrenia e Siremar, la Fintecna – finanziaria dello Stato – non si presenta.
Lo scenario è confuso. Sembra che si metta in mezzo anche la Presidenza del Consiglio. Alla fine le due società vengono scorporate e si bandiscono due gare. La Tirrenia, nel 2015, finirà al gruppo Onorato. Mentre la Siremar va alla alla ‘Compagnia delle isole’, società costituita in quattro e quattr’otto della quale fanno parte il gruppo Lauro di Napoli, la Davimar (società costituita da imprenditori eoliani e di Milazzo) e la stessa Regione siciliana.
La ‘compagnia delle isole’ è una buona soluzione. Ma ha un grande ‘difetto’: mette in fuori gioco i gruppi economici che in Sicilia, da decenni, fanno il bello e il cattivo tempo nel mondo dei trasporti tra la Sicilia e i suoi arcipelaghi. E come sussurrano i maligni, la soluzione non piace nemmeno alla Massoneria, che a Messina è sempre stata – ed è ancora oggi – fortissima. La Città dello Stretto, nei trasporti marittimi, è importante per via delle navi che fanno la spola tra Sicilia e Calabria.
Già nel 2012, quando la ‘Compagnia delle isole’ inizia ad operare, si capisce subito che la ‘navigazione’ di questa società non sarà né semplice, né lunga. Soprattutto, non sarà lunga.
I titolari di questa società ce la mettono tutta: lavorano sodo, cercano di dare il meglio in tutte le tratte, compatibilmente con i mezzi di trasporto ereditati da Siremar che, forse, avrebbero dovuto essere almeno in parte sostituiti. Ma nonostante il grande impegno profuso trovano ostacoli di tutti i tipi, soprattutto sul fronte dei controlli. Tanti controlli che costano alla ‘Compagnia delle isole’ tante, forse troppe penali.
Nonostante questo i titolari della società decidono di andare comunque avanti. Vanno avanti per quattro anni. Nel 2016, quando a Palazzo Chigi c’è Matteo Renzi (che con l’assessore-commissario, Alessandro Baccei, controlla i ‘cordoni della borsa’ della Regione siciliana) va in scena lo snodo di questa storia.
I vecchi potenti dei trasporti marittimi siciliani non si arrendono. La Sns (sigla che sta per Società di navigazione siciliana con Ettore Morace e il gruppo Franza di Messina), che nel 2011 ha partecipato alla gara, perdendo, è tornata alla carica. E ha presentato ricorso al TAR Lazio.
Sostengono, i titolari della Sns, che la ‘Compagnia delle isole’ ha acquisito la Siremar violando le regole della concorrenza. Motivo: c’è di mezzo una fidejussione della Regione siciliana di 30 milioni di euro.
A questo punto, però, c’è un’anomalia. La ‘Compagnia delle isole’, nel 2012, si è aggiudicata una gara per l’acquisizione della Siremar e, quindi, per la gestione delle tratte per un periodo di 12 anni. Se, a un certo punto, la stessa ‘Compagnia delle isole’ esce di scena non dovrebbe essere celebrata una nuova gara?
Ancora: la Regione siciliana non era entrata nell’operazione gratuitamente. A noi risulta che aveva appostato circa 6 milioni di euro e forse più di capitale sociale. Questi fondi – almeno questi fondi – sono stati recuperati? Oppure sono stati ‘erosi’ per pagare le penali? Ma non si dice in giro che le ‘penali’ sarebbero state condonate quando la stessa ‘Compagnia delle isole’ è stata fatta uscire di scena?
Tante domande. Due le poniamo noi.
Prima domanda: qualche deputato regionale di buona volontà chiamerà in Aula l’assessore-commissario Baccei a riferire su questi fondi regionali che erano nel capitale sociale della ‘Compagnia delle Isole’ e, in generale, per spiegare il senso economico di tale operazione?
Seconda domanda: nel caso in cui di questi fondi non si dovessero avere più notizie, non dovrebbe essere la Corte dei Conti a chiedere ‘lumi’?
In questa storia dei fondi pubblici che mancano c’è anche la fidejussione della bizzarra gara targata Fintecna. E’ la gara ‘annullata’ non si capisce bene da chi e, soprattutto, perché. Peccato che in questa gara c’è una fidejussione di 10 milioni di euro con fondi anche della Regione siciliana (che, come già ricordato, faceva parte della Mediterranea holding). Che fine hanno fatto questi soldi?
Altra questione: la Sns – trasformata in società consortile – fa capo a soggetti che, da sempre, operano nei trasporti marittimi. E’ alla Sns consortile che arrivano le sovvenzioni dello Stato.
Morace e il gruppo Franza – che non sono mai stati ‘innamorati’ – si sono divisi la gestione dei servizi: Morace, con la Liberty Lines, gestisce gli aliscafi, mentre il gruppo Franza gestisce le navi con la Caronte e Tourist.
Di fatto, è inutile che ci giriamo attorno, con l’avallo del Governo nazionale e del Governo regionale della Sicilia è stato costituito un monopolio. Ricordiamo ancora una volta che la Snc consortile è subentrata alla ‘Compagnia delle isole’, senza che sia stata celebrata una gara.
Quindi la situazione che si è creata è il frutto di una scelta di governo. Ci chiediamo e chiediamo: ma là dove si forma una situazione di monopolio non ci dovrebbe essere, quanto meno, una ‘visita’ dell’Antitrust?
Ma come: la ‘Compagnia delle isole’ violava la concorrenza per una fidejussione della Regione siciliana, mentre adesso che c’è il monopolio di Morace e Franza (e dei loro amici) va tutto bene?
Dicono – ma è una voce di corridoio – che della questione trasporti marittimi siciliani si occupi ancora il ministro De Vincenti, che oggi ha la delega della Coesione territoriale. Forse i trasporti tra la Sicilia e i suoi arcipelaghi sono diventati un capitolo della questione meridionale?
E’ ovvio, e si deduce anche dai vari passaggi, che in tutto questo giro non manca la politica. Si sussurra, ad esempio, che questa ‘operazione’ sia nata all’ombra del Nazareno: e, in effetti, i politici coinvolti, tra Roma e la Sicilia, sono in entrambi gli schieramenti.
Ora bisognerà capire dove arriverà l’inchiesta. Difficile credere che si possa fermare ai regali e ai nomi già noti. Il dubbio che si tratti di un sistema su cui tanti politici hanno fondato (o rafforzato) la propria carriera tra Roma e la Sicilia. E, per fare questo, di certo non bastano né un Rolex, né un cadeau di 5 mila euro.
Gli affari del mare 2/ L’eterno ritorno delle stesse facce…
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