Ieri il Tavolo per la zootecnia siciliana. Pubblichiamo e commentiamo le proposte della CIA siciliana. Giusto valorizzare l’indennità compensativa che, però, non può diventare “l’elisir di lunga vita”. Giuste anche le battaglie della CIA sulla sanità in zootecnia. Non ci convince l’enfasi sulle etichette, sulle DOP e sui Consorzi di tutela. E, contrariamente a quello che pensano gli amici della CIA siciliana, siamo convinti che per battere la globalizzazione dell’economia servono i dazi doganali
Ieri, a Palermo, si è riunito il ‘Tavolo tecnico’ della filiera zootecnica siciliana. Nei ne abbiamo dato notizia pubblicando un’intervista al presidente della CIA (Confederazione Italiana Agricoltori), Rosa Castagna (QUI LA SUA INTERVISTA).
Oggi pubblichiamo – e commentiamo – il documento della CIA siciliana, con le proposte, sul comparto zootecnico della nostra Isola.
“Il comparto zootecnico siciliano, eterogeneo per vocazione e territorialità, da troppi anni ormai non è stato supportato con le adeguate misure a sostegno dello sviluppo e della crescita essenziali per la sopravvivenza degli allevatori. Negli ultimi anni abbiamo invece assistito ad una sorta di ‘disinteresse’ da parte della politica siciliana nel sostenere il comparto, essenziale non solo per l’economia che genera, ma per la funzione intrinseca che svolge in alcune aree del territorio regionale, con particolare riferimento alle aree interne e montane”.
“La CIA – prosegue il documento – aveva proposto da tempo l’istituzione di un Tavolo permanente che potesse affrontare le diverse problematiche del settore e proponesse soluzioni concrete ai problemi che il comporta soffre e programmasse un modello di sviluppo per il settore. La zootecnia siciliana comprende tipologie di aziende diverse per tradizione, cultura e territorio: nonostante tutte le tipologie soffrano del basso prezzo del latte o della carne, richiedono comunque provvedimenti diversi poiché diverse sono le esigenze (difficile accomunare la tipologia di aziende del Ragusano con quelle ovine dell’Agrigentino e della Valle del Belice, o con le aziende dei Nebrodi e delle Madonie, queste ultime di tipo estensivo e prevalentemente biologiche che producono in buona parte carne di altissimo valore nutrizionale senza integratori, o altri prodotti chimici). Allora risulta di fondamentale importanza individuare misure a sostegno delle diverse problematiche che ciascun tipo di azienda affronta”.
Qui arriva un passaggio importante:
“Di fatto il comparto è riuscito a sopravvivere grazie ai titoli PAC e a misure
del PSR quale l’indennità compensativa; è evidente che alcune aree, se private di questo presidio costante e di manutenzione che gli allevatori garantiscono al territorio, oltre allo spopolamento, sarebbero oggetto di frequenti disastri ambientali. Riteniamo pertanto che sia assolutamente indispensabile continuare a garantire la misura dell’INDENNITA’ COMPENSATIVA con fondi adeguati”.
Noi siamo d’accordo con la CIA: senza l’indennità compensativa buona parte della zootecnica siciliana e, in generale, buona parte dell’agricoltura siciliana non ci sarebbero più. E il dissesto idrogeologico – che in Sicilia è un problema già grave – sarebbe aumentato spaventosamente.
Ma se l’indennità compensativa ha frenato il dissesto ambientale e ha contribuito a fa vivere (e, in alcuni casi, a far sopravvivere) gli agricoltori, non si può dire che siano stati affrontati i problemi strutturali della filiera zootecnica siciliana e, in generale, dell’agricoltura della nostra Isola. Servono anche provvedimenti strutturali.
Del resto, il tavolo tecnico convocato ieri certifica che siamo davanti a uno scenario di crisi.
“Altrettanto importante – leggiamo sempre nel documento della CIA – risulta essere la misura sul BIOLOGICO, che non va inteso come regime per il produttore o per il consumatore, ma è un regime per la collettività, consente una gestione del territorio che oltre ad offrire produttività, ne consente la sostenibilità. E sulla misura del Biologico, va precisato che le regole per le aziende zootecniche devono essere considerate al pari delle altre aziende agricole”.
Anche sul Biologico vorremmo fare qualche precisazione.
Proprio perché l’agricoltura biologica serve alla “collettività” sarebbero necessari i controlli che oggi non ci sono: i controlli sui prodotti biologici, che non possono essere garantiti da soggetti che vengono pagati dagli stessi produttori biologici: perché questa è una farsa!
Proprio perché la Sicilia è la prima Regione italiana per agricoltura biologica i controlli sulla ‘chimica’ – a cominciare dall’uso smodato di glifosato – dovrebbero essere stringenti.
A che serve condurre un’azienda agricola in biologico se, poi, i Comuni diserbano le strade con il glifosato?
A che serve il biologico se, accanto alle aziende ‘bio’, operano aziende che fanno uso di pesticidi ed erbicidi che, con il vento, finiscono anche per invadere le aree agricole ‘bio’?
“Per quanto concerne invece la problematica del PREZZO DEL LATTE OVINO – leggiamo sempre nel documento CIA – abbiamo in Sicilia, al pari di quella sarda, una filiera completa con un grande potenziale di valorizzazione dato dalle DOP regionali già esistenti, incentivando l’adesione dei soci ai Consorzi di Tutela: Pecorino Siciliano DOP, Piacentinu Ennese DOP e Vastedda del Belice DOP. Se con le grandi commodity quali il grano o l’orzo abbiamo un prezzo di mercato subito dato che i luoghi di scambio che lo determinano sono in posti lontanissimi dalla regione, nel caso del latte ovino abbiamo la produzione e la trasformazione in un unico territorio il che ci permetterebbe, perlomeno, di stabilizzarne le fluttuazioni di prezzo”.
“Attore principale della politica economica di una filiera DOP è (o dovrebbe essere) – leggiamo sempre nel documento CIA – il Consorzio di Tutela al cui interno ci dovrebbero essere gli allevatori con un potere contrattuale che già da solo dovrebbe garantire prezzi stabili e sostenibilità economica degli allevamenti. In secondo luogo ci sono gli strumenti del PSR Sicilia che i Consorzi, in sinergia con l’amministrazione regionale e le altre associazioni di categoria possono (devono) contribuire anche essi a stabilizzare i prezzi o, addirittura, se usati con competenza a valorizzare il prodotto. Gli strumenti per la stabilizzazione dei prezzi del latte ovino e per rendere sostenibili gli allevamenti ci sono, ma vanno usati diligentemente cercando di evitare al minimo strumenti eccezionali come nel caso sardo (ritiro prodotto) che non garantiscono mai nel lungo periodo la gratificazione economica degli allevatori”.
Con tutto il rispetto per la CIA siciliana, noi non siamo affatto convinti che le DOP e i Consorzi di tutela facciano gli interessi degli allevatori e, in generale, degli agricoltori. E’ stato ormai provato che le DOP e i Consorzi di tutela, una volta costituiti, o non decollano, o – là dove decollano – si trasformano in realtà industriali che nulla hanno a che spartire con l’agricoltura.
Il caso del latte, sotto questo aspetto, è emblematico: se le industrie trovano conveniente acquistarlo all’estero, lo acquistano all’estero: e mandano i crisi gli allevatori italiani. La Sardegna lo dimostra! L’accordo firmato in frett’e furia con gli industriai del Pecorino romano DOP è farlocco e, presto, i pastori sardi se ne accorgeranno a torneranno a protestare.
La crisi del Pecorino DOP sardo, tra l’altro, è stata anticipata dal fatto che i produttori di formaggio del Centro Nord Italia hanno trovato conveniente il CETA – il trattato internazionale tra UE e Canada – che è, notoriamente, un trattato commerciale internazionale truffaldino, che penalizza l’agricoltura (soprattutto l’agricoltura del Sud Italia COME POTETE LEGGERE QUI) in favore dell’industria e dei servizi.
Se i produttori di formaggio del Nord Italia trovano favorevole il CETA, ebbene, ciò è dovuto all’impostazione antimeridionale che gli ha dato il Governo nazionale del PD nella passata legislatura e, soprattutto, al fatto che, per il latte, gli industriali fanno quello che vogliono, penalizzando gli allevatori se la politica non li frena.
Nel Centro Nord Italia la Lega impedisce agli industriali di sfruttare gli allevatori. Mentre nel Sud Italia la politica – con l’eccezione di qualcosa fatta dai grillini a livello nazionale, perché non governano nemmeno una Regione del Mezzogiorno – praticamente non esiste.
L’assoluta mancanza di controlli sul grano duro che arriva con le navi nei porti del Sud ne è una drammatica testimonianza.
Gli aspetti sanitari illustrati dalla CIA sono condivisibili:
“Indispensabile ed urgente – prosegue la nota della CIA siciliana – è la programmazione di un piano di risanamento serio da BRUCELLOSI: è inconcepibile che dopo tre decenni non si sia riusciti a debellare una malattia di questo tipo; l’abbattimento non ha dato i frutti che avrebbe dovuto, quantomeno non in tutte le zone del territorio regionale (se non la decimazione di un importante patrimonio zootecnico all’interno dell’Isola). Bisogna ipotizzare altri metodi (perché non tentare un piano di vaccinazione ad esempio): ad oggi ciò che accade è fuori da ogni logica, poiché il capo risultato positivo al controllo viene ‘venduto’ al macello al costo di circa 80 centesimi al chilo, capo di cui il macello può poi disporre liberamente, poiché le carni sono commestibili, ma intanto l’allevatore perde reddito e produttività”.
“In riferimento alla BLUE TONGUE – prosegue la nota – è fondamentale mantenere un’unica entità epidemiologica su tutto il territorio siciliano in modo da consentire gli spostamenti fra le diverse province e sarebbe indispensabile favorire anche gli spostamenti extra-regionali poiché la diffusione dei sierotipi riguarda un po’ tutta l’Italia in modo quasi uniforme: questo consentirebbe una maggiore commercializzazione e favorirebbe l’approvvigionamento di capi dalle elevate qualità morfofunzionali. Per quanto riguarda la vaccinazione il costo da sostenere è piuttosto elevato, circa 12,00 € a capo, ed il vaccino stesso risulta di difficile reperimento.
Necessaria risulta inoltre essere l’attivazione del regime DE MINIMIS per le aziende che hanno subìto DANNI DAGLI UNGULATI, non solo per il necessario sostegno alle aziende, ma anche a salvaguardia della diffusione di eventuali malattie”.
Qualche considerazione finale a proposito dell’intervista di ieri con la presidente della CIA siciliana, la citata Rosa Castagna.
La presidente Castagna dice che non si può fare ricorso ai dazi doganali perché ciò provocherebbe problemi alle nostre esportazioni. E che, invece, dobbiamo potenziare le informazioni sulle etichette.
Non sappiamo a quali esportazioni si riferisca: di certo non all’export siciliano!
Quanto alle etichette, ci permettiamo di ricordare che ai consumatori interessa non solo quello che sta scritto nelle confezioni, ma anche quello che sta dentro le confezioni.
Di più: le confezioni non servono a nulla se, a valle, non si organizza, poi, un sistema di controlli sui prodotti finiti. Ma un Governo della Sicilia che non riesce a controllare il grano che arriva con le navi dovrebbe poi controllare cosa c’è dentro le confezioni di alimenti?
Noi non nutriamo dubbi sulla Regione siciliana: noi non crediamo minimamente che chi oggi l’amministra sia in grado di fare qualcosa di utile per la Sicilia. Punto.
Noi siamo convinti che contro la globalizzazione dell’economia bisogna necessariamente ricorrere ai dazi doganali. Del resto, come scriviamo spesso, per tutelare il riso prodotto in Lombardia, in Piemonte, in Veneto e in Emilia Romagna l’Italia ha chiesto e ottenuto dall’Unione Europea i dazi doganali sul riso che arriva da Birmania e Cambogia.
Per quale motivo l’agricoltura del Sud Italia non dovrebbe essere tutelata dai dazi doganali utilizzati per il riso? Perché siamo meridionali e ci possono massacrare?
Perché non si possono introdurre i dazi doganali sul grano duro e sul grano tenero che arriva dal Canada e, in generale, dai Paesi extra-UE?
Perché non si possono introdurre i dazi doganali sull’ortofrutta che arriva dal Nord Africa, dalla Cina e, in generale, dall’Asia e dal Sud America?
E chi l’ha detto che non possono essere cambiati i regolamenti comunitari per impedire – ad esempio – al latte rumeno, prodotto a prezzi stracciati, di distruggere – cosa che sta avvenendo – l’ovinicoltura da latte italiana?
Se proprio la dobbiamo dire tutta, non solo, a nostro modesto avviso, le DOP e i Consorzi di tutela – che sono realtà industriali e non agricole! – vanno smantellati, ma vanno introdotti anche i dazi doganali sui prodotti zootecnici.
La zootecnia siciliana, a nostro modesto avviso, con oltre 5 milioni di consumatori, a cui si aggiunge un turismo sempre più destagionalizzato, non ha bisogno di pensare all’export: deve puntare sul Km zero, facendo restare in Sicilia il valore aggiunto.
Come ripetiamo spesso, su 13 miliardi di euro di spesa per l’alimentazione sostenuta dai siciliani ogni anno, oggi solo 2 miliardi vengono spesi dagli stessi siciliani per acquistare prodotti siciliani. Circa 11 miliardi di euro li regaliamo, in gran parte, alla Grande distribuzione organizzata, che non ha nulla a che vedere con la Sicilia e che porta fuori dalla Sicilia i nostri soldi, rendendoci più poveri!
Una grande distribuzione organizzata che porta sulle nostre tavole prodotti esteri, spesso di infima qualità.
La tendenza va invertita. E per invertirla non servono né le DOP (che non servono a niente, come quasi tutte le ‘invenzioni’ dell’Unione Europea di mercati e massoni al servizio della Finanza e delle multinazionali!), né i Consorzi di tutela: serve un’agricoltura, anche imperniata sulle piccole e medie aziende, in grado di fornire al mercato locale prodotti freschi e trasformati.
I ‘grandi formaggi’ lasciamoli fare al Nord Italia che con il latte supponiamo ‘meraviglioso’ li esporta in Canada grazie al CETA…
Foto tratta da nebrodinews.it
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