A Catania gli alberi sono sacri, a Palermo si eliminano. Il cemento di Mondello paradigma dell’eterno ‘Sacco edilizio’

23 settembre 2018

La differenza tra Catania e Palermo. All’ombra dell’Etna l’abbattimento di 5 alberi ha scatenato un putiferio. A Palermo abbattuti più di mille alberi tra le proteste i pochi cittadini presi in giro dalla sinistra radical chic che governa la città. La ‘cementificazione’ silenziosa di Mondello, paradigma di una città che non si è mai scrollata di dosso la sottocultura del ‘Sacco edilizio’. Il Centro storico ridotto a chiassosa isola gastronomica con il corollario di contributi auto-regalo della politica

Il quotidiano La Sicilia dà ampio risalto alla denuncia di Free Green Sicilia per il taglio di cinque pini storici di Catania.

“Non ha alcuna giustificazione, di alcun tipo – scrive in una nota Alfio Lisi, portavoce di Free Green Sicilia – lo scempio selvaggio e assurdo di cinque storici e sani pini che si trovavano in una piazzetta di via Cardinale Dusmet, limitrofa agli archi della marina e di fronte a Palazzo Biscari. Una carneficina contro bellissime piante che potrebbero vivere fino a 250 anni, senza precedenti a Catania che ha fatto fuori di netto cinque pini, tre tagliati fino alle radici mentre degli altri due capitozzati è rimasto solo lo scheletro”.

“Vorremmo sapere – chiede il portavoce di Free Green Sicilia – così come ogni cittadino che vuole conoscere la verità su un deplorevole ed ingiustificato fatto del genere, chi ha segato e per quali motivi tali pini, patrimonio della città e dei suoi cittadini, decidendone la morte. Anche i due pini capitozzati, quando ad essi possono essere tagliati solo i rami secchi, non avranno futuro in quanto non hanno, a differenza delle latifoglie, la capacità di ricacciare rami dopo il taglio dell’intera chioma. Ed è ovvio presumere, come da sempre, che non è stato chiesto alcun parere scientifico ai botanici dell’Università di Catania, anche perché diversamente l’insensato taglio di tali povere piante non sarebbe avvenuto”.

Riportiamo questa notizia per sottolineare la differenza con Palermo, dove negli ultimi cinque anni sono stati tagliati non cinque alberi, ma oltre mille alberi, tra le proteste – purtroppo – di pochi cittadini.

Essere ‘Capitale mondiale della mafia’ – come spesso Palermo viene descritta dal mondo dei media, con una mafia ‘celebrata’ anche da tante fiction televisive – significa tante cose: significa ‘delitti eccellenti’ a mai finire, dall’omicidio di Emanuele Notarbartolo fino alle stragi del 1992, passando per una serie impressionante di uomini dello Stato eliminati uno dietro l’altro; significa anche grandi depistaggi, come quello che ha contraddistinto la vicenda del processo per la strade di via D’Amelio; e significa anche distruzione del territorio.

La mafia degli anni ’60: mafia, politica e amministrazione comunale di Palermo: una triade che, dopo l’approvazione del Piano regolatore generale del 1962, sistematicamente, a colpi di ‘Varianti’, fa a pezzi lo stesso Piano regolatore per eliminare, una dietro l’altra, le testimonianze culturali di quella Palermo che fino ai primi del ‘900 era una delle Capitali europee.

Nel periodo passato alla storia come gli anni del ‘Sacco edilizio’ – che inizia a metà anni ’50, ma che si sostanzia negli anni ’60 e ’70 del secolo passato, la Conca d’oro sparisce per fare posto al cemento.

E’ finita la ‘cementificazione’ di Palermo? Assolutamente no. E se ieri aveva il volto ‘ruspante’ della mafia del cemento degli anni ’60, nei primi anni ’80, a partire dalla speculazione di Pizzo Sella, la speculazione edilizia ha cambiato pelle, indossando i panni dell’ipocrisia e della finta legalità, ora con il centrosinistra, ora con il centrodestra.

Qualche giorno fa, su Facebook, davanti all’ennesimo allagamento di Mondello e di Partanna Mondello, il professore Silvano Riggio, docente di Ecologia all’università di Palermo, una delle poche voci fuori dal coro dell’ipocrisia che, dalla seconda metà degli anni ’80, accompagna la lunga esperienza di Leoluca Orlando sindaco, ricordava che nell’ultimo ventennio la ‘cementificazione’ di Mondello è stata impressionante. Ed è lì, nella ‘cementificazione’ di questa parte della città passata sotto silenzio, che vanno cercate le ragioni dei continui allagamenti di Mondello e Partanna Mondello.

Se si va a cercare su Google l’area di Mondello vista dall’alto venti anni fa e la si confronta con l’area di Mondello vista sempre dall’alto oggi, ebbene, si rimane impressionati dalla scomparsa del verde, letteralmente ‘inghiottito’ dal cemento!

Mondello e zone limitrofe sono aree delicate. E’ la storia di una palude bonificata nei primi del ‘900. Una zona che ha sempre creato problemi. Ma dove i problemi si sono accentuati negli ultimi anni, sia perché le piogge sono diventate torrenziali, sia perché il cemento – tanto cemento! – ha preso il posto del verde che consentiva, bene o male, all’acqua di non ristagnare troppo. 

Oggi Mondello e zone limitrofe sono aree ad alto rischio idrogeologico. E proprio a Mondello è stato scoperchiato il ‘pentolone’ maleodorante di via Miseno. Storia lunga e tormentata. Che ha dato vita a una vicenda giudiziaria.

Il processo, che si è concluso nei mesi scorsi (in primo grado), ha puntato i riflettori su una speculazione edilizia paradigmatica (IN CALCE TRAVATE UNA SERIE DI NOSTRI ARTICOLI SU QUESTA VICENDA).

Ebbene, ci sono due modi di ‘leggere’ la vicenda di via Misena. C’è il fatto di cronaca, sicuramente importante: la condanna in primo grado di nomi ‘eccellenti’, cioè di alti burocrati del Comune di Palermo che, in realtà, avrebbero dovuto tutelare il territorio e che, invece, avrebbero fatto altro (almeno in primo grado è così).

Ma c’è una seconda ‘lettura’ di questa vicenda che va ben al là del fatto contingente: e qui la mera cronaca non c’entra più, perché viene fuori, in tutta la sua drammaticità, la compromissione culturale, prima che giudiziaria, di una classe dirigente cittadina, a tutti i livelli. Perché il criterio edilizio utilizzato in via Miseno, con il ricorso a sotterfugi di tutti i generi e di tutte le specie, definisce, in sinistra completezza, un ‘metodo’ diffuso a Mondello e nel resto della città. 

Leggendo le motivazioni della sentenza si rimane basiti, non tanto e non soltanto per quello che è avvenuto, ma per la continuità tra passato e presente: continuità negata dall’ipocrisia di oggi.

La memoria ritorna a un volume di qualche anno fa: Il progetto Kalesa. Si racconta di quando, a metà anni ’70, in un rigurgito di dignità, si cercò di organizzare la rinascita del Centro storico. Il protagonista di questa rinascita avrebbe dovuto essere l’urbanista Giancarlo De Carlo che, assieme ad alcuni coraggiosi architetti locali (coraggiosi perché erano palermitani che, da palermitani, ‘osavano’ sfidare lo strapotere di Vito Ciancimino, grande protagonista del ‘Sacco’ di Palermo), avrebbe dovuto far rinascere il Centro storico del capoluogo siciliano.

Per la cronaca, i tre coraggiosi erano i professori Giuseppe Samonà, Umberto Di Cristina e Anna Maria Sciarra Borzì. Quel progetto di rinascita del Centro storico di Palermo prese il nome di ‘Piano programma’. La fine ingloriosa di questo progetto viene descritta nel citato volume Il progetto Kalesa, quando Ciancimino irrompe in una riunione ricordando a tutti chi è lui e che lui può tutto con tutti, perché tutti…

Perché abbiamo ricordato la fine del ‘Piano programma’? Perché a Palermo le cronache urbanistiche tra passato e presente, spesso, si fondono e si confondono. Come avvenuto con il ‘Piano programma’, anche lo Schema di massima del Piano Regolatore elaborato a metà anni ’90 dall’urbanista Pier Luigi Cervellati aveva suscitato tante speranze.

Pensate un po’: avevano chiamato un architetto ‘conservativo’ in una città dove mafia & politica, da sempre, si ‘mangiano’ il territorio a ritmi vertiginosi. Dopo di che è successo quello che è successo: e infatti, oggi, non siamo qui a raccontare il territorio cittadino che è stato ‘conservato’ (ben poco, a dir la verità), ma quello che è stato consumato.

E il Centro storico di Palermo? Si va avanti a spizzichi e bocconi. Negli dell’antimafia di facciata è scomparso il mercato storico della Vucciria. Nessuno ne parla. Forse ne avrebbe parlato Renato Guttuso. Ma non ne parlano centrodestra e centrosinistra che si sono ‘mangiati’ il celebre mercato storico.

Al posto della Vucciria sta arrivando una ‘valorizzazione’. Case, negozi e centri commerciali, possibilmente tedeschi. Il Centro storico di Palermo, oggi, è una chiassosa isola gastronomica. Con la ressa per accaparrarsi i fondi pubblici per il ‘risanamento’. Un festival che ha coinvolto anche la politica.

Ma questo non si deve dire. La ‘sinistra’ le cose le sa fare bene e, soprattutto, le sa nascondere…

Dal 2001 ad oggi il cemento ha travolto nuove aree della città. E lo scempio continua. Con un legame ‘sottoculturale’ strettissimo tra centrodestra e centrosinistra. Le ‘Varianti’ non si contano più. E non parliamo dei Prusst, altro cemento all’insegna degli affari. All’ombra dell’antimafia di facciata. Ipocrisia, ipocrisia e ancora ipocrisia.

E all’orizzonte si affaccia la ‘cementificazione’ del verde di Ciaculli: si dovrebbe cominciare con un bel cimitero e poi il resto verrà…

Ciaculli, un ‘pezzo’ di ‘Conca d’oro’ sopravvissuta al ‘Sacco edilizio’. Il verde che resiste con i mandarini che hanno fatto la storia. Ma è durato troppo. E’ arrivato il suo momento.

“La città e gli occhi”, per dirla con Italo Calvino. Il verde e gli alberi, più di mille alberi – e qui torniamo all’inizio del nostro articolo – abbattuti per fare posto lì al Tram, lì non si capisce a che cosa.

Tagliare alberi, a Palermo, è diventata la moda del momento. Perché? A cosa serve? Via gli alberi del Foro Italico, via gli alberi sotto il Palazzo Reale, via gli alberi della Circonvallazione e via continuando con una lista senza fine. Tagliare, tagliare tagliare.

A Catania, per cinque alberi, la gente protesta. Il quotidiano della città ci fa un articolo. A Palermo ammazzati oltre mille alberi nel silenzio quasi generale. E l’ironia ‘intelligente’ degli esponenti della sinistra radical chic che amministra la città:

“Con tanta gente che soffre vi occupate degli alberi…”.

Già.

Foto tratta da gushmag.it  

 

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