La spiegazione è semplice: l’arrivo di queste navi cariche di grano duro creerà ulteriori difficoltà ai produttori di grano duro siciliano che non hanno ancora venduto il proprio prodotto per il prezzo basso imposto dalla speculazione internazionale e nazionale. L’obiettivo sembra quello di massacrare gli agricoltori siciliani. E i controlli? Vattelappesca!
Un’altra nave carica di grano prodotto nel Kazakistan sta per arrivare nel porto di Pozzallo. Non è una novità: da anni l’approdo della provincia di Ragusa di navi cariche di grano provenienti da mezzo mondo è una costante. Lo stesso discorso vale per i porti di Palermo e di Catania.
Con molta probabilità, la nave che sta per approdare nel porto di Pozzallo trasporta grano duro.
Già nel mese di febbraio abbiamo segnalato – con tutte le difficoltà del caso (non è facile raccogliere notizie sulle navi cariche di grano che arrivano in Sicilia) – l’arrivo di un carico di grano proveniente dal Kazakistan (QUI IL NOSTRO L’ARTICOLO).
Ci hanno detto che la nave batteva bandiera francese e che ci siamo sbagliati. Dimenticando di precisare che quello che conta, in questi casi, non è la nazionalità della nave, ma quello che porta nella stiva.
Dopo di che ci hanno detto che il prodotto è stato inviato, per i controlli, all’Istituto Zooprofilattico della Sicilia, organismo che fa capo, contemporaneamente, alla Regione siciliana e al Ministero della Salute-Sanità.
Da allora ad oggi, di questi controlli, non si è saputo nulla.
Ora sta arrivando un’altra nave. Verranno effettuati i controlli su questo grano? Sapremo qualcosa?O, come al solito, tutto finirà nel ‘Porto delle nebbie’?
Di fatto – senza che i cittadini abbiano saputo qualcosa sui controlli – il grano che è arrivato lo scorso febbraio, con molta probabilità, sarà finito macinato e consumato sotto forma di pane, pizze e via continuando.
Ci chiediamo e chiediamo: tutto questo è normale?
Ci hanno raccontato che il grano duro che arriva con le navi viene venduto a un prezzo molto più basso del grano duro siciliano, che ha già un prezzo basso: 20-21 euro al quintale, a fronte dei 40-45 dollari al quintale del Desert Durum, il grano duro prodotto negli Stati Uniti d’America, tra Arizona e California, di qualità uguale, se non leggermente inferiore, al grano duro siciliano e, in generale, del Sud Italia.
Quello che accade non è casuale: è in corso una strategia per scoraggiare gli agricoltori siciliani a produrre grano duro. Dietro ci potrebbero essere vari interessi. A cominciare dalla pressione esercitata dai fautori del CETA, che affamando i produttori di grano duro del Sud Italia ‘dimostrano’ che l’Italia non è in grado di produrre grano duro e che bisogna importare il grano duro del Canada!
Ricordiamo che il CETA è il trattato internazionale tra Unione Europea e Canada – voluto dalle multinazionali – che prevede, tra le altre cose, l’importazione, in Europa, di grano duro canadese che, in buona parte, viene prodotto nelle aree fredde e umide di questo Paese: grano duro che, proprio perché prodotto nelle aree umide e fredde viene fatto maturare artificialmente con il glifosato (COME POTETE LEGGERE QUI).
Un grano duro che non è proprio un esempio di qualità! (COME POTETE LEGGERE QUI).
Sulla nave carica di grano che sta per arrivare a Pozzallo interviene Mario Di Mauro – presidente dell’Istituto Mediterraneo per la Democrazia Diretta (TerraeLiberAzione):
“E’ bene ricordare – dice – che la superficie attualmente seminata a GRANI SICILIANI ORIGINALI -semiclandestini e boicottati dalla LEGALITA’ COLONIALE- è di soli 3000 ettari su 280.000 (2016). Noi consideriamo SICILIANO AUTENTICO solo ed esclusivamente questo 1% del RACCOLTO… E’ una produzione sufficiente al consumo di qualche settimana!. Un quasi nulla che scatena però molto fastidio e ostilità ‘sistemica’. Gli altri grani prodotti in Sicilia sono sterili e made in BAYER-MONSANTO, SYNGENTA-CHEM CHINA… E’ vero, o no?”.
Da Mario Di Mauro arriva una critica radicale:
“DAL MONDO. Il boom produttivo dei GRANI del KAZAKISTAN configura un capolavoro di pianificazione statale molto articolata: complimenti al governo e agli agricoltori kazaki. Questo modello di sviluppo va studiato, anche criticamente, prima di ‘lamentarsi’. Speriamo solo – al momento – che gli importatori tricolorati non stiano imbarcando quello più scadente! Controlliamo? Dove? Al porto di Pozzallo, per esempio! E niente chiacchiere”.
A questo punto Di Mauro introduce un elemento di politica internazionale:
“Ricordiamo però che gli accordi bilaterali ITALIA-KAZAKISTAN appaiono sovradeterminati dall’ENI, che opera nel grande Paese asiatico dal 1992. Per capire il peso specifico degli interessi in gioco occorre leggere il North Caspian Sea Production Sharing Agreement (NCSPSA), e quantomeno mettere in bilancia la produzione dei giganteschi giacimenti di Kashagan e Karachaganak (petrolio, condensati e gas naturale). C’è un nesso? Ci pare logico. Per chiarimenti non basta però telefonare a ENI-Exploration & Production Agip Caspian Sea B.V. -Astan Tower 12 – Samal Micro District 19th Floor – Astana -473000. Peraltro, il telefono della MULTINAZIONALE STATALE ITALIANA risponde dalla sede ‘fiscale off shore’ di Amsterdam (0031) 20 5707100. SIA CHIARO: i veri NEMICI del PAESAGGIO AGRARIO siciliano sono ‘siciliani’. Riflettiamoci bene”.
Foto tratta da scarabeokheper.altervista.org
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