Quello che – almeno fino ad ora – non è riuscito ad una società veneta (che ha provato a impossessarsi di alcuni grani antichi della Sicilia) è andata bene alla Sis, una società di Bologna che si è impossessata della varietà Senatore Cappelli, gloria e vanto della granicoltura del Sud Italia e, in particolare, di Puglia e Sicilia. Il tutto con la ‘benedizione’ della Coldiretti, organizzazione agricola molto ‘meridionalista’… Biopirateria, si chiede GranoSalus?
La notizia non è nuova. Noi ne abbiamo già dato contezza ai nostri lettori lo scorso aprile, intervistando Giuseppe Li Rosi, protagonista di ‘Simenza’, un’associazione culturale di agricoltori e di allevatori siciliani (trovate la sua intervista in calce a questo articolo insieme con altri approfondimenti). Oggi torniamo su questa storia con maggiori dettagli. E’ la storia di una varietà di grano duro del Sud Italia – la varietà Senatore Cappelli – sulla quale, è proprio il caso di dirlo, ha messo il cappello una società del Centro Nord Italia, la Sis.
La notizia, lo ribadiamo, è già nota da alcuni mesi. Il 24 maggio scorso Terra e Vita – settimanale di agricoltura che informa gli agricoltori italiani dal 1937 – ha dedicato un articolo a tale argomento. Leggiamolo insieme:
“Sis per 15 anni produrrà e certificherà in esclusiva la varietà antica di frumento duro Senatore Cappelli. Un’opportunità per offrire all’agricoltore un prezzo garantito alla sua produzione. Mauro Tonello e Mario Conti, rispettivamente presidente e direttore generale di Sis, hanno presentato oggi l’iniziativa. A seguito della sempre maggiore richiesta da parte dei consumatori, tornano a pieno titolo sulle nostre tavole pasta, pane e pizze prodotti con gli antichi grani della tradizione italiana”.
Qui già non siamo più d’accordo con gli amici di Terra e Vita. Perché nell’articolo avrebbe dovuto essere specificato che si tratta di una varietà del Sud Italia. Vero è che il Mezzogiorno fa parte dell’Italia, ma è anche vero che il grano duro è una coltura tipica del Sud Italia: basti pensare che, ancora oggi, l’80% del grano duro si coltiva nelle Regioni del Meridione d’Italia.
Per essere precisi, la cultivar o varietà Senatore Cappelli è stata selezionata dal grande genetista agrario, Nazareno Strampelli, nei primi del ‘900 e, sempre per la precisione, è una varietà la cui storia è legata alla Puglia, da dove poi si è diffusa in tutto il Sud (QUI TROVATE LA STORIA DELLA VARIETA’ SENATORE CAPPELLI).
Proseguiamo nella lettura dell’articolo di Terra e Vita:
“Sis, Società italiana sementi, ha colto la palla al balzo e si sta dedicando al recupero di alcune vecchie varietà che stanno tornando di prepotenza sul mercato. In particolare, grazie alla vincita di un bando del Crea, si è aggiudicata per 15 anni l’esclusiva di riproduzione e certificazione del grano duro Senatore Cappelli. Con 1.000 ettari coltivati si tratta del grano duro antico più seminato in Italia con una produzione che ha raggiunto i 2,5 milioni di kg”.
A questo punto scopriamo che, dietro questa operazione che non ci sembra in favore del Sud Italia c’è, nientepopodimeno!, la Coldiretti!
“Il rilancio di questa varietà – ha detto Mauro Tonello presidente Sis e vicepresidente nazionale Coldiretti – oltre ad essere una risposta alla richiesta da parte del consumatore di varietà a basso tenore di glutine, con una buona quantità di fibra, sali minerali e vitamine, intende offrire un prezzo garantito al produttore che lo coltiva secondo il nostro disciplinare”.
“L’agricoltore che produce grano duro Senatore Cappelli percepisce un compenso di 60 €/q se il cereale viene coltivato in agricoltura biologica e 50 €/q in agricoltura tradizionale. A queste cifre sono da aggiungere il trasporto e un premio sulla base della migliore commercializzazione. La remunerazione può sembrare elevata, ma dobbiamo considerare che nel Sud la resa del frumento Senatore Cappelli è di 10-15 q/ha mentre negli areali del Nord arriva al massimo ai 25-30 q/ha. Una parte del prodotto ritirato da Sis va al sementificio per la riproduzione in purezza e una parte viene venduta ai trasformatori al prezzo di 100 €/q per il bio e 80 €/q per il convenzionale”.
“La Società italiana sementi – ha detto il direttore generale Mario Conti – da settant’anni seleziona semi che hanno fatto la storia del made in Italy, dalla varietà di grano tenero Bologna, la più coltivata in Italia, sino all’emergente Giorgione, dal grano duro Marco Aurelio, leader nei progetti di filiera per l’industria molitoria, fino al riso Volano e a sementi di erba medica come la Garisenda, perché ritiene fondamentale salvaguardare un patrimonio genetico il più ampio possibile per affrontare le sfide future. Per questo ci siamo assunti l’onere e l’onore di certificare la produzione di grano duro Senatore Cappelli che con le sue caratteristiche genetiche si sta rivelando adatto alle nuove esigenze di coltivazione con elevati standard organolettici che rispondono alla domanda di buona e sana alimentazione”.
Domanda: perché un’azienda del Centro Nord Italia, insieme con la Coldiretti, piomba nel Sud e si impossessa di una varietà che fa parte della storia del grano duro del Mezzogiorno italiano? Ma è normale che, appena si delinea all’orizzonte qualcosa di importante nel Meridione, i signori del Centro Italia ci debbano subito mettere le mani?
La verità è che – anche in agricoltura – la logica predatoria, dal 1860 ad oggi, del Nord verso il Sud non è mai cambiata. Agli albori dell’unità d’Italia – o ‘presunta’ unità d’Italia – i piemontesi decidevano che nel Sud Italia, e segnatamente in Sicilia, non si sarebbe più coltivato il riso. Questo per favorire la produzione del riso nel Nord. E così fu.
(Per la cronaca, solo da qualche anno, in provincia di Enna, è tornata la coltura del riso, anche perché, rispetto al 186, le condizioni pedoclimatiche della Sicilia sono cambiate).
Oggi questi signori della Sis piombano nel Sud e, come già ricordato, mettono il cappello sulla varietà Senatore Cappelli. Duro il commento di GranoSalus, l’associazione che raccoglie consumatori e produttori di grano duro del Sud Italia:
“C’è un cartello sul seme da riproduzione Senatore Cappelli teso a limitarne la sua diffusione? Il frumento duro che vuole bene alla terra e alla salute dell’uomo fu costituito da Nazareno Strampelli, non dalla Sis, Società italiana sementi che, secondo alcune prove documentali, rilascerebbe il seme solo aderendo alle sue filiere. Biopirateria con lo zampino della Coldiretti e nullità del diritto. Intervenga l’ Antitrust, il Mipaaf e l’ Ufficio Brevetti”.
Per noi siciliani non è una novità. Come abbiamo raccontato (gli approfondimenti li trovate sempre in calce a questo articolo) c’è stato un tentativo, da parte di una società del Nord Italia, di ‘brevettare’ alcuni grani antichi della tradizione siciliana: la varietà Timilia (o Tumminia), la varietà Russello e persino una varietà di grano tenero siciliano: il Maiorca.
Per ore tale operazione di “Biopirateria”, come la definisce GranoSalus, è stata sventata. Ma è indicativa di un atteggiamento del Centro Nord verso il Sud:
“I grani antichi del Sud Italia sono un grande affare? E noi ce ne impossessiamo!”.
“Il grano duro Cappelli è ancora coltivato dopo quasi un secolo, in particolare nel meridione d’Italia (Puglia, Basilicata, Sardegna, Sicilia) con estensioni nelle Marche, Abruzzo e Toscana – leggiamo nell’articolo pubblicato dal sito di Granosalus -. Serve a produrre pasta di qualità superiore, pane e pizza biologici, nicchia che si va sviluppando insieme agli altri grani antichi e che genera sempre più un mercato interessante in cui qualcuno, però, vuole fare il monopolista”.
La varietà Senatore Cappelli è ancora iscritta nel ‘Registro nazionale delle varietà’, tenuto presso il Mipaaf, ed il suo mantenimento in purezza è stato effettuato dalla Sezione di Foggia dell’Istituto sperimentale per la Cerealicoltura sino a quando, da oltre un anno, è finito nelle mani di alcuni moltiplicatori di Bologna.
“La Sis di Bologna ha infatti acquisito dal CREA di Foggia, a seguito di un bando, la licenza di moltiplicazione per 15 anni – racconta GranoSalus -. I brevetti sul vivente sono oggetto di forti critiche per le implicazioni di carattere etico, politico ed economico di cui sono foriere. Quando questi sono applicati al grano, con formule come quella in questione, le inquietudini si estendono anche al piano sociale per le implicazioni sulle sorti dell’ alimentazione”.
Le stesse considerazioni sono state fatte quando è venuta fuori la storia dei brevetti su alcune varietà di grani antichi della Sicilia.
“La costituzione del seme Cappelli risale al 1915 – leggiamo sempre nel sito di GranoSalus – e la prima registrazione sembrerebbe sia avvenuta nel 1969. Il brevetto, dunque, sembrerebbe già scaduto ai sensi dell’art. 109 del Codice di proprietà industriale. Inventare, pertanto, la formula ‘nuova’ cultivar per attribuirne diritti di sfruttamento commerciale a qualcuno è operazione perniciosa. Infatti, il Cappelli è stato iscritto nel registro delle varietà di specie agrarie, presso il Mipaaf, la prima volta in data 03/05/1969, poi ci fu un primo rinnovo il 13/10/1990, un secondo rinnovo il 14/02/2001 e l’ ultimo rinnovo il 26/02/2011″.
“Ai centri di ricerca agraria nazionali – prosegue l’articolo – spetta il compito di migliorare le varietà e divulgarle presso gli agricoltori. Nel caso del Cappelli, il CREA lo ha mantenuto in purezza. Mancherebbe, dunque, l’elemento di ‘novità’ previsto dall’art. 103 del Codice di proprietà industriale. Se, dunque, una linea varietale non ha subito nessuna ‘innovazione’ nel tempo, tale da autorizzarne la brevettabilità, avanzare richieste di protezione o di commercializzazione in esclusiva su un grano già in uso presso le comunità locali, indurrebbe a pensare ad un caso di biopirateria”.
A questo punto il commento di GranoSalus diventa aspro:
“La Sis, a seguito del bando, considera ‘cosa loro’ la genetica di un grano antico patrimonio di tutti! Che peraltro ha nutrito il mondo! Quel miracolo italiano appartiene “a tutti” e non può essere prerogativa di pochi. Oggi, in questa avventura tesa a presidiare una nicchia molto remunerativa, la Sis non è da sola. Negli accordi di esclusiva c’è di mezzo Coldiretti, Consorzi Agrari d’Italia (Lombardo-Veneto) & Proseme, Molino Grassi, Molino De Vita e Pastificio Sgambaro”.
Come potete notare, in una varietà di grano duro antico che ha fatto la storia della granicoltura del Sud Italia ci sono tutti, tranne il Mezzogiorno d’Italia!
“Peraltro, il presidente della Sis, Mauro Tonello – prosegue l’articolo di GranoSalus – è anche vicepresidente nazionale Coldiretti. Siamo quindi di fronte ad una sorta di cartello sul Cappelli e sulle semole? Inaccessibile a tutti quanti gli altri e perfino agli eredi di Strampelli che non avrebbero difficoltà ad affermare che privatizzare il Cappelli è come privatizzare l’aria che respiriamo!”.
“Secondo alcune prove in nostro possesso – leggiamo sempre nell’articolo – questi signori della Sis non gradiscono che un privato possa acquistare liberamente da loro il seme Cappelli… A chi osa chiedere rispondono così: …non vendiamo seme di Cappelli se non dietro contratto di filiera, compreso di trasformatore. Non siamo in grado di fornire seme ad aziende agricole senza avere a monte un contratto con un trasformatore…”.
“Attenzione – sottolinea GranoSalus – questo comportamento va contro la normativa sulla libera concorrenza: non si può limitare l’accesso al mercato del seme Cappelli. E’ illecito! L’acquisizione in esclusiva del diritto di moltiplicazione da parte di Sis (sul seme Cappelli) non implica il diritto di escludere l’accesso al seme da riproduzione ad un libero agricoltore o ad un libero commerciante di semi. E limitarne l’uso solo alle filiere che sono legate alla Sis è ugualmente anticoncorrenziale. La società sementiera SIS si trova, quindi, in una condizione di monopolio ed è pertanto obbligata legalmente a contrarre con tutti!”.
Cosa può fare il CREA per contrastare la formazione di un oligopolio sul seme Cappelli?, si chiede GranoSalus.
“Il CREA – ha affermato il commissario CREA, Salvatore Parlato concludendo le celebrazioni del più famoso grano d’Italia – intende raccogliere l’eredità di Nazareno Strampelli che ha fatto grande la nostra agricoltura”.
“E che, aggiungiamo noi – si legge sempre nell’articolo di GranoSalus – non aveva alcuna intenzione di foraggiare i monopoli con la sua invenzione! Sia chiaro, il CREA, che dipende dal Mipaaf, può sempre risolvere il contratto di licenza anticipatamente, specie “in caso di mancato rispetto del piano di sviluppo e diffusione”.
A questo punto GranoSalus pone una domanda:
“Non sarà mica che la Sis riserverà la concessione del grano Cappelli (grano straordinariamente digeribile, sano e salubre) ad agricoltori che, con l’accordo degli industriali della filiera capestro, si impegneranno a coltivare il Cappelli con tecniche chimiche simili a quelle convenzionali, quali concimazioni spinte, diserbi chimici, fungicidi ed altre pratiche, che ne altererebbero le caratteristiche e la salubrità rendendo il Cappelli uguale ad una commodity?”.
“Lo scippo del Cappelli, comunque, potrebbe finire ben presto – conclude GranoSalus -. Anche perché ci sono già delle interrogazioni parlamentari, che chiedono al Ministro di revocare gli atti, anche se la cosa potrebbe un po’ turbare il business di Coldiretti & Company. Una lapide all’esterno della casa di Strampelli reca la scritta: ‘Dove cresceva una spiga di grano ne fece crescere due’. Gli affaristi di oggi, invece, siccome non conoscono le regole della concorrenza, ‘Dove cresce una spiga ne fanno morire due’! E noi abbiamo il dovere di proteggere la diffusione delle spighe, non la loro restrizione”.
QUI POTETE LEGGERE L’ARTICOLO DI GRANOSALUS PER ESTESO
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