Dice Paolo Barilla, vice presidente dell’omonimo gruppo, che “l’arte del pastaio italiano è miscelare grani italiani con quelli strani”. Questo perché l’Italia non è stata mai autosufficiente nella produzione di grano duro. Tesi non condivisa da Saverio De Bonis, coordinatore di GranoSalus, l’associazione di agricoltori del Sud e di consumatori che, insieme con I Nuovi Vespri, conduce una battaglia in difesa dei grano duro del Sud Italia
“L’arte del pastaio italiano è miscelare grani italiani con quelli stranieri. L’Italia per tradizione non è stata mai autosufficiente tanto che importiamo grano straniero dal 1800”.
Parola di Paolo Barilla, presidente dell’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane e vicepresidente dell’omonimo gruppo. Il noto imprenditore è intervenuto nel corso della trasmissione televisiva Petrolio nella puntata dal titolo “Cosa si mangia”, andata in onda sabato 4 novembre in seconda serata su Rai 1.
Nell’intervista di Duilio Giammaria, Paolo Barilla ha spiegato i motivi per i quali gli industriali italiani comprano grano dall’estero. Ed ha affrontato anche una questione di scottante attualità, l’utilizzo del glifosato nella coltivazione del frumento estero. Riprendiamo alcuni passaggi della sua intervista riportato da Agenpress e da Parmaquotidiano.info.
“Sull’importazione di grano in Italia – dice Barilla – c’è un discorso quantitativo, dobbiamo importare il 30% di grano dall’estero, e anche qualitativo perché noi importiamo un grano di qualità superiore rispetto alla media nazionale. L’agricoltura italiana ha una parte di prodotto eccellente, intorno al 10%, il 30-40% è un buon prodotto, il resto, a secondo delle annate, meno”.
A proposito dei 100 mila ettari di frumento in meno coltivati in Italia nel 2017, stando alle stime di Coldiretti, Paolo Barilla ha detto che l’agricoltura italiana non è sincronizzata con il sistema industriale.
“Spesso si semina di più una qualità di grano che ai pastai non serve per fare quella qualità eccellente come, invece, avviene in Francia dove non si semina un chilo in più di quello che serve alla produzione. Per questo stiamo facendo contratti di filiera attraverso i quali programmare insieme all’agricoltore una produzione per 3, 4 anni dove chi coltiva trova soddisfazione e noi abbiamo un prodotto eccellente. Noi chiediamo quantità e qualità”.
E il glifosato, il diserbante che l’Unione Europea vorrebbe progressivamente eliminare dalla coltivazione del frumento? “Per l’industria – ha affermato Barilla – tutto dipende da che tipo di prodotto produrre e a quali costi, perché se noi dovessimo fare un prototipo di pasta perfetta, in una zona del mondo non contaminata, senza bisogno di chimica, probabilmente quel piatto di pasta invece di 20 centesimi costerebbe due euro”.
Ma veramente non si può fare a meno del glifosato nella pasta? “Una pasta a ‘glifosato zero’ – ha aggiunto il vicepresidente dell’omonimo gruppo – è possibile, ma solo alzando i costi di produzione. Si sta dando molta enfasi a qualcosa che non è un rischio. Noi rispettiamo le norme, la nostra filosofia d’impresa ci impone anche un ulteriore principio della cautela che realizziamo attraverso i nostri controlli. Detto questo, per arrivare ai limiti previsti dalla legge bisognerebbe mangiare duecento piatti di pasta al giorno”.
Al gruppo Barilla – e questa non è una novità – non va bene nemmeno l’etichettatura della pasta (COME POTETE LEGGERE QUI): ovvero l’indicazione della provenienza del grano, previsto da un decreto voluto dall’attuale Governo nazionale.
“Nello spirito siamo d’accordo perché siamo per la trasparenza delle informazioni. il problema è che non possiamo prevedere che tipo di miscela daremo quel giorno. Un paradosso di questa situazione è che potrebbe accadere che un distributore straniero compra un grano di bassa qualità italiana, fa la pasta cento per cento italiana, ma di qualità scadente. Questo sarebbe un autogol per il nostro Paese”.
“Certe affermazioni non sono condivisibili – commenta il coordinatore di GranoSalus, Saverio De Bonis, l’associazione di consumatori e produttori di grano duro del Sud Italia che, da tempo, insieme con I Nuovi Vespri, conduce una battaglia in difesa del grano meridionale.
A proposito della pasta senza glifosato che costerebbe troppo, De Bonis precisa: “Il vero problema non è il prezzo della pasta, ma i guadagni delle industrie che la producono. Attualmente, il sistema è strutturato in modo tale da consentire alle imprese industriali della pasta la massimizzazione dei profitti. Ma questo non può andare a discapito della salute. I signori Barilla dicono che la pasta senza glifosato costerebbe troppo? Costerebbe ancora di più curarsi. La salute non può essere sacrificata sull’altare del profitto”.
“La storia che l’Italia non sarebbe autosufficiente nella produzione di grano duro – precisa sempre De Bonis – presenta una chiave di lettura diversa. Se, come avviene oggi, seicentomila mila ettari di seminativi, nel Sud, non vengono coltivati a grano duro, l’Italia, ovviamente, diventa non autosufficiente. Quello che gli industriali non dicono è perché questi seicentomila ettari di seminativi del Mezzogiorno d’Italia non vengono coltivati”.
“La spiegazione è semplice – sottolinea il coordinatore di GranoSalus -. Da una parte c’è l’Unione Europea che paga gli agricoltori per non fargli coltivare il grano (QUESTO ARGOMENTO è STATO AFFRONTATO DA I NUOVI VESPRI IN QUESTO ARTICOLO). Dall’altra parte c”è una speculazione che tiene basso il prezzo del grano duro. L’obiettivo è quello di scoraggiare gli agricoltori che producono grano duro nel Mezzogiorno d’Italia – e segnatamente in Puglia e in Sicilia – per giustificare il grano duro che arriva con le navi, che è spesso pieno non soltanto di glifosato, ma anche di micotossine DON”.
“Noi, da tempo – insiste De Bonis – ci battiamo per far partire la CUN, la Commissione Unica Nazionale che dovrebbe finalmente porre fine alle vergognose speculazioni al ribasso che danneggiano scientificamente i produttori di grano duro del Sud Italia. Ma su questo punto il Governo nazionale tergiversa. E non troviamo nemmeno appoggio dai vertici delle Regioni meridionali, che pure dovrebbero intervenire a sostegno degli agricoltori del Sud. Ancora, qui in Puglia, aspettiamo che, su tale questione, intervenga il presidente della Regione, Michele Emiliano”.
Se è per questo, le speculazioni ai danni del grano duro della Sicilia sono state fino ad oggi ignorate anche dal Governo della Regione siciliana. Da qualche giorno è stato eletto il nuovo presidente della Regione, Nello Musumeci. Vedremo se la musica cambierà o continuerà.
E allora? “E allora – sottolinea il coordinatore di GranoSalus – basta coltivare il grano duro del Sud Italia, che matura naturalmente, senza glifosato e senza micotossine DON. Bisogna mettere a coltura i seicentomila ettari di seminativi del Mezzogiorno abbandonati. E chiudere definitivamente con il grano contaminato che arriva con le navi. Ma per fare questo è necessario che la politica agricola italiana faccia gli interessi degli agricoltori e non degli industriali”.
“Nelle pubblicità dei dolci – conclude De Bonis – il gruppo Barilla si premura di far sapere ai consumatori che quel dato prodotto è senza olio di palma. Informazione corretta, se è vero che l’olio di palma trattato in un certo modo può essere dannoso per la salute. Perché la stessa cosa non si può fare con il glifosato e le micotossine?”.
P.S.
Ci chiediamo e chiediamo: in queste trasmissioni televisive sul grano, oltre che sentire gli industriali, non sarebbe giusto ascoltare anche le ragioni di chi – come Saverio De Bonis e come il titolare di questo blog, Franco Busalacchi – si batte in difesa del grano duro del Sud Italia?
Tanto più che sulle analisi condotte su otto marche di pasta prodotte in Italia (QUI I RISULTATI DELLE ANALISI) la Giustizia, per ben due volte, ha dato ragione a GranoSalus e a I Nuovi Vespri, che erano stati chiamati in causa proprio dagli industriali (QUI L’ARTICOLO).
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