Ecco cosa fa la Regione siciliana: distribuisce ricchi premi agli agricoltori della nostra Isola che non coltiveranno il grano duro per sette anni! Meno grano duro prodotto in Sicilia, più giustificazioni per il grano duro che arriva con le navi. Così la Regione siciliana si genuflette agli interessi delle multinazionali, dell’Unione Europea e del Canada. Il tutto a scapito dei consumatori che mangeranno sempre più grano ‘estero’ con annessi e connessi
Che l’ha detto che la Regione siciliana non fa nulla per i produttori di grano duro della nostra Isola? Fa, invece. E sapete cosa fa, guarda caso a partire da quest’anno, proprio mentre infuria in tutto il mondo la polemica sul grano duro canadese pieno di glifosato e micotossine DON? Regala un po’ di soldi ad ogni agricoltore siciliano che decide di non coltivare più grano duro per sette anni! Sì, avete letto bene: tu, agricoltore di Sicilia, ti stai buono per sette anni tenendo i terreni a pascolo e io, Regione, ti regalo 360-370 euro ad ettaro. I soldi li tira fuori l’Unione Europea.
Il discorso non fa una grinza. Il Parlamento Europeo approva il CETA, il trattato commerciale internazionale tra Unione Europea e Canada che prevede, tra le altre cose, che l’Europa acquisti il grano duro che il Canada produce nelle aree fredde e umide. Sono 4 milioni di tonnellate di grano duro canadese all’anno (come potete leggere in questo articolo che abbiamo scritto lo scorso dicembre) ‘ricco’ di glifosato e micotossine DON (come potete legge qui e anche qui).
Ovviamente ci sono tante lamentele. Mezzo mondo, ormai, sa di che pasta è fatto (è proprio il caso di dirlo!) il grano duro canadese coltivato nelle aree umide. I consumatori hanno cominciato a riflettere sulla pasta industriale che arriva sulle loro tavole. E i produttori di grano duro del Mezzogiorno d’Italia, massacrati dalla concorrenza sleale dei canadesi, sono in rivolta. Un’associazione di produttori di grano del Sud e di consumatori – GranoSalus – ha fatto effettuare le analisi su otto marche di pasta italiane (qui i risultati delle analisi).
Gli industriali dicono che debbono ricorrere al grano duro estero (nessuno nomina più il grano duro canadese, chissà perché…) perché il grano duro prodotto nel Sud Italia non basta. Per certi versi hanno ragione, se è vero che, negli ultimi anni, 600 mila ettari di seminativi del Sud Italia sono stati abbandonati. Tutto grano duro che non si coltiva più, rimpiazzato dal grano duro “estero” (che nella stragrande maggioranza dei casi è canadese o ucraino) che arriva con le ‘famigerate’ navi.
In questo momento è in corso una battaglia durissima. I produttori di grano duro del Sud si sono ribellati. Sono soprattutto i granicoltori della Puglia e della Sicilia a combattere, visto che in queste due Regioni si coltiva quasi il 70% del grano duro italiano.
La battaglia è durissima e impari. Le multinazionali, attraverso il mercato di Chicago (il più importante del mondo per i cereali), fanno crollare il prezzo del grano duro del Sud Italia. L’estate dello scorso anno il prezzo del grano duro del Mezzogiorno d’Italia è precipitato a 14-15 euro al quintale, a fronte di costi di produzione di 21-22 euro al quintale. Presi per la gola, lo scorso anno molti agricoltori pugliesi e siciliani si sono rifiutati di vendere il proprio grano duro e l’hanno stoccato.
Quest’anno, stessa musica: grano duro di alta qualità, quello prodotto nel Sud Italia, ma prezzo basso: 21 euro al quintale. Strozzati per il secondo anno consecutivo.
Il tutto mentre in questo momento il grano duro canadese – quello ‘ricco’ di sostanze che fanno bene alla salute! – viene pagato a 27 euro al quintale.
I lettori giustamente diranno: ma come, il grano duro del Sud Italia – per lo più pugliese e siciliano – maturato al sole, privo di glifosato e di micotossine DON si vende a 21 euro e il grano duro canadese con i contaminanti si vende a 27 euro al quintale? Ma come funziona ‘sto mercato?
Funziona in ragione degli interessi delle multinazionali. Le multinazionali hanno deciso che la pasta industriale si deve produrre con il grano ‘estero’: e così deve essere! Quindi ‘botte’ in testa – cioè prezzi bassi – per gli agricoltori del Sud Italia e, in generale, per chi si oppone allo strapotere delle multinazionali.
Cosa fanno Unione Europea e Regione siciliana nel pieno di questo scontro? ‘Premiano’ gli agricoltori siciliani che si adeguano ai voleri delle multinazionali.
Tutti noi, l’estate dello scorso anno, ci siamo chiesti: perché una ‘stretta’ così forte? Perché far precipitare il prezzo del grano duro a 14-15 euro al quintale? Perché un prezzo così stracciato?
La spiegazione arriverà a febbraio di quest’anno. Dopo l’annata orribile dello scorso anno tanti produttori di grano duro della Sicilia si sono detti:
“Ragazzi, ragioniamo un attimo: lavorazione del terreno, semina, interventi per eliminare le malerbe, patema d’animo (perché in agricoltura un’ondata di maltempo ti dimezza il raccolto), trebbiatura e poi dobbiamo pure perdere nella vendita del nostro grano? E se non lo vendiamo – perché a 15 euro al quintale non lo vendiamo – ci dobbiamo sobbarcare pure i costi dello stoccaggio?”.
E’ a questo punto – siamo nel febbraio di quest’anno – che in ‘soccorso’ degli agricoltori siciliani arrivano le tre “C” della Regione siciliana: Crocetta, Cracolici & Cimò.
Il primo – Rosario Crocetta – è il presidente della Regione.
Il secondo – Antonello Cracolici – è l’assessore regionale all’Agricoltura.
Il terzo – Gaetano Cimò – è il dirigente generale del dipartimento Agricoltura della Regione.
Cosa si inventa il Governo regionale? Un decreto a valere sul PSR, Piano di Sviluppo Rurale, fondi europei per l’agricoltura. Misura 10. Anzi, per essere precisi, Misura 10.1.C.
Voi agricoltori – questo prevede tale Misura – vi impegnate a non coltivare i seminativi per sette anni. Per sette anni i vostri terreni debbo diventare pascolo permanente. E noi vi diamo un premio in base alla localizzazione. Ovvero:
288 euro ad ettaro se il vostro terreno si trova in montagna;
365 euro per ettaro se il vostro terreno si trova in collina;
370 euro per ettaro se il vostro terreno si trova in pianura.
Il grano duro è una coltura tipicamente collinare che va bene anche in pianura: e infatti la maggiore remunerazione si ha per la collina e per la pianura.
Se a questi 360-370 euro all’anno, per ettaro, si somma il contributo AGEA – che varia da 230 a 290 euro per ettaro all’anno, a seconda se il fondo non viene o viene coltivato (se si coltiva si arriva a 290 euro), si arriva a un reddito di oltre 600 euro per ettaro.
Pensate: 600 euro all’anno per ogni ettaro di seminativo per restare in casa: non male no?
Il problema è che, tra sette anni, tra multinazionali e CETA, chissà che cosa torneranno a coltivare gli agricoltori che hanno accettato…
Intanto le navi che scaricano il grano duro ‘estero’ avranno un’altra motivazione: se anche la Sicilia coltiva meno grano duro a maggior ragione noi lo dobbiamo importare! E chi lo smonta, adesso?
Il danno prodotto da questa Misura del PSR non riguarda solo l’agricoltura siciliana e il grano duro in particolare. Riguarda i consumatori di pasta: italiani e del resto del mondo. Perché la pasta industriale si mangia in tutto il mondo.
Perché se il grano duro ‘cattivo’ scaccia quello buono la pasta industriale, vuoi o non vuoi, verrà prodotta con il grano duro ‘estero’.
Grande la Regione siciliana, no? Invece di sostenere la produzione di grano duro della nostra terra sostiene gli interessi delle multinazionali in combutta con l’Unione Europea!
Riassumiamo.
Le multinazionali devono fare affari in Canada.
I canadesi dicono: “Sì, ma in cambio ci dovete fare vendere i nostri 4 milioni di tonnellate di grano duro che coltiviamo nelle aree fredde e umide”.
Le multinazionali impongono all’Unione Europea il CETA, che prevede, tra le altre cose, che l’Unione acquisti il grano duro canadese. Morale: pasta, pane, biscotti, pizze, dolci, merendine e via continuando si faranno anche con questo grano ‘estero’.
Ci penserà la pubblicità martellante a farci ‘digerire’ il glofosato e le micotossine DON.
Il Parlamento Europeo approva il CETA e dice ai 27 Paesi che fanno parte della stessa Unione: approvate il CETA.
Milioni di consumatori, in tutta Europa, protestano contro il CETA e contro i veleni in agricoltura.
E mentre è in corso ‘sta battaglia che fa la Regione siciliana? D’accordo con l’Unione Europea toglie di mezzo una parte del grano duro siciliano per fare posto a quello ‘estero’.
Intanto la parola passa al Senato presieduto da Piero Grasso, che ‘deve’ approvare il CETA. E via…
P.S.
Qualcuno obietterà che la Misura 10.1.C del PSR non vale solo per il grano duro, ma anche per altre colture annuali. A questi ‘scienziati’ dovete rispondere che il grano duro si coltiva in rotazione: proprio con quelle colture che, insieme con il grano, non vanno coltivate per sette anni.
Questa Misura è stata pensata contro il grano duro siciliano. Il resto sono chiacchiere.
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