Sembra questa la nuova tendenza in voga in certi ambienti intellettuali della solita Italia. Dopo avere tentato di negare o ridimensionare per anni i massacri dei meridionali in epoca risorgimentale, oggi si prova un’altra strada: ridurre tutto alla nostalgia dei Borboni… Ma per chi ci prendono?
Fino a qualche tempo fa, le penne illuminate dei grandi giornali italiani sembravano votate ad una missione: sminuire il dramma vissuto dai meridionali all’indomani dell’Unità d’Italia, tentare di mettere a tacere la nuova storiografia che tirava fuori da cassetti impolverati documenti che parlavano di stragi ed efferatezze compiute nel nome del nuova Patria. Poi, fallendo nell’obiettivo, sono arrivati gli appelli alle classi intellettuali meridionali, troppo impegnate, secondo la visione torino-centrica, in questo processo di revisionismo storico che non avrebbe risolto i problemi del Mezzogiorno. Anche questa strategia è fallita, perché qui nessuno è fesso. La verità storica non è una panacea e nessuno l’ha mai pensata come tale, ma privare un popolo della propria storia equivale a privarlo della propria libertà e della propria identità. La storia, fino a prova contraria, rimane maestra di vita e come diceva Gramsci “quando nel passato si ricercano le deficienze e gli errori non si fa storia, ma politica attuale”. Non è dunque un esercizio estetico fine a se stesso, o di conoscenza pura. E non lo è in particolar modo per il Sud Italia.
Sconfitti pure gli attacchi a quello che certa cultura ama definire ‘inutile revisionismo’, ecco affacciarsi un nuovo slogan il cui fine sembra sempre lo stesso: impedire ai meridionali di ritrovare l’orgoglio della propria identità.
Lo slogan si basa su un sillogismo del tutto artificioso: se sei un meridionale che rifiuta la cultura risorgimentale ufficiale, che lotta per ridare dignità al suo popolo, allora non sei altro che un nostalgico dei Borboni.
Una nuova menzogna che, ancora una volta, offende la nostra intelligenza. Perché in tutto il Sud, se è vero che non manca qualche movimento neo-borbonico, a prevalere è altro. Si parla, nella stragrande maggioranza dei casi, di una nostalgia diversa, ed è quella verso una verità negata che è inscindibilmente legata al sogno di un futuro che non vuole avere nulla a che fare con reali e con colonizzatori di ogni stirpe, quella italica inclusa.
A tirare fuori questa presunta (per non dire falsa) nostalgia borbonica hanno pensato, ad esempio, alcuni storici (assolutamente non meridionali o meridionalisti) nel dibattito che sta accompagnando la proposta di dedicare una giornata ai Martiri del Sud. Proposta presentata dal Movimento 5 Stelle in diverse regioni meridionali (non in Sicilia). Proposta che, come leggiamo sul Giornale.it, è anche approdata al Senato, dove il senatore M5S Sergio Puglia è intervenuto affermando che: “Il tempo è maturo per fare una riflessione e analizzare cosa accadde alle popolazioni civili meridionali e quanto ancora ci costa nel presente. Nei testi scolastici si fa appena un accenno. Chiediamo la verità”.
La data proposta è quella del 13 febbraio. Ovvero quella della fine dell’assedio di Gaeta da parte delle truppe piemontesi nel 1860. La città, come vi raccontiamo qui, fu oggetto di un assedio spietato, guidato dal feroce generale Cialdini che si macchiò di crimini orrendi in tutto il Sud.
“È una proposta giusta. Era ora- dice lo scrittore e giornalista Pino Aprile che non è un grillino come non lo sono tanti meridionali che plaudono all’iniziativa- Cosa è successo durante l’annessione? È successo che un esercito è penetrato in un Paese amico senza nemmeno una dichiarazione di guerra, rubando, stuprando e ammazzando. Per carità, in quegli anni è successo anche altrove… Le unificazioni nazionali hanno prodotto sempre massacri. Solo che noi italiani non ce lo siamo mai detti. Si fa ancora finta che l’annessione del Sud sia stata una parata fiorita attorno a Garibaldi, è stato un genocidio”.
Ed ecco, invece, lo storico filo-risorgimentale, sempre intervistato dal Giornale (non sarebbe stato più logico chiedere un commento ad uno storico meridionale?) che riduce tutto al “nostalgismo borbonico che sta prendendo piede negli ultimi anni”. A parlare è Dino Cofrancesco di cui abbiamo letto articoli in cui elogia il Risorgimento e che per tirare acqua al suo mulino (bocciare la proposta) cita alcuni intellettuali meridionali (non ne sono mancati) che hanno tifato per l’Unità d’Italia. Tra questi i siciliani Rosario Romeo e Adolfo Omodeo: “È questo che i neoborbonici sembrano dimenticare”, dice Cofrancesco.
Ma non abbiamo capito cosa voglia dire: Romeo e Omodeo sono il verbo? Vale la loro visione e non quella di Gramsci, ad esempio, che vide nell’Unità, un selvaggio processo di colonizzazione? Il fatto che ci fossero meridionali pro Unità, significa che le barbarie subite non contano nulla? Che pretendere giustizia e rispetto per le vittime, anche con l’istituzione di una giornata commemorativa, è tempo perso? E, soprattutto, chi ha detto al professor Cofrancesco che orgoglio meridionale equivale a nostalgismo borbonico?
La nostalgia borbonica è rara al Sud, mentre dalle parti di questo storico, a quanto pare, il tifo per le politiche coloniali piemontesi rimane molto diffusa.
Altra perla di saggezza: “Il generale Cialdini- dice Cofrancesco- era quel che era, ma non dimentichiamoci le teste dei bersaglieri mozzate e issate sulle picche. Le violenze ci sono state da entrambe le parti, non ci sono stati dei martiri. Delle vittime invece ovviamente sì. E di certo non userei il termine genocidio. Semmai c’è stata dopo un’emigrazione di massa dal Meridione, ma dovuta all’arretratezza economica del Sud, non all’unificazione. L’unificazione l’ha resa possibile modernizzando”.
Solitamente, quando un esercito con le sue legioni di mercenari si scaglia contro un popolazione, non si parla di lotta alla pari. Questo pare sfuggire a Cofrancesco. Per il quale, a quanto pare, dovremmo pure essere grati all’unificazione che ha reso possibile l’emigrazione….
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