Si tratta di un accorgimento semplicissimo. Ce lo illustra Saverio De Bonis, tra i protagonisti di GranoSalus, l’associazione di agricoltori del Sud Italia che si accinge a promuovere i controlli su tutti i derivati del grano. Il metodo per riconoscere se il pane è buono – che ognuno di noi potrà praticare in casa – ci tutela solo dalle micotossine. Per escludere l’eventuale presenza di glisofato e di altre sostanze bisognerà attendere le analisi più sofisticate. Ma eliminare, con un accorgimento semplicissimo, il pane con le micotossine è già un grande passo in avanti
Ieri abbiamo iniziato ad aprire una ‘finestra’ sul mondo del pane. E l’abbiamo fatto (come potete leggere qui) ponendoci una domanda: che cosa c’è nel pane che mangiamo ogni giorno? Per una Regione come la Sicilia – dove la coltivazione dei cereali interessa una superficie che oscilla da 300 a 350 mila ettari – ci sembra una domanda obbligatoria. E lo è, in generale, per tutto il Sud Italia, dove la coltura del grano è molto diffusa, dalla Puglia alla Basilicata al Molise, per citare solo alcune Regioni.
Abbiamo già iniziato a ragionare sulla qualità del grano duro del Mezzogiorno d’Italia. Insieme con Saverio De Bonis, tra i protagonisti di GranoSalus – associazione che raccoglie tanti agricoltori meridionali attorno a un progetto di rilancio del grano duro del Sud d’Italia – abbiamo indicato ai consumatori dove poter trovare la pasta prodotta con grano duro delle nostre contrade, che, grazie al nostro clima caldo, è naturalmente priva di micotossine (qui potete leggere l’articolo sulla).
Questo è solo l’inizio di un percorso, perché GranoSalus avvierà i controlli su tutti i derivati del grano – pasta, pane, dolci, biscotti e via continuando – pubblicando i risultati delle analisi che verranno effettuate da organismi indipendenti. Controlli che riguarderanno non soltanto l’eventuale presenza di micotossine, ma anche di glisofato, di pesticidi, di metalli pesanti e via continuando.
In attesa che cominciano ad essere effettuate queste analisi siamo tornati a De Bonis per farci raccontare cosa possiamo fare, oggi, a proposito del pane.
“Per il pane – ci dice De Bonis – possiamo già fare molto senza bisogno delle analisi, che restano comunque importanti. Con il pane è già possibile, senza ricorrere ad analisi sofisticate di laboratorio, capire se è prodotto con farine buone”.
Ci spieghi.
“Noi, dalle nostre parti abbiamo battezzato il nostro metodo la prova delle fettine di pane. La questione è molto semplice. Dobbiamo limitarci a conservare in un luogo asciutto due o tre fettine di pane. Se, dopo cinque-sei giorni, il pane indurito è rimasto bianco, beh, ciò significa che la farina con la quale è stato prodotto non contiene micotossine. Se invece, dopo alcuni giorni, sulle fettine di pane compaiono i funghi – per esempio la caratteristica colorazione verde – ebbene, quel pane è fatto con farine che contengono micotossine”.
Che fate quando questo si verifica?
“A me è successo. Mi sono recato dal negozio dove avevo acquistato il pane e ho fatto presente al titolare cos’era successo”.
E poi cos’è successo?
“Semplice: il fornaio ha cambiato farina e il pane adesso è buono”.
Quindi, se abbiamo ben capito, con la gobalizzazione dell’economia la farina cattiva scaccia quella buona. Ma se intervengono i consumatori con questo semplice accorgimento, la farina buona caccia via quella cattiva…
“Praticamente è così. Partendo dal basso possiamo migliorare la nostra alimentazione eliminando le storture che vengono imposte dalla globalizzazione dell’economia. Va precisato che questo accorgimento vale per le micotossine. Saranno i controlli e le analisi dettagliate a dirci se nelle farine – e quindi nei prodotti che derivano dal grano – potrebbero esserci altri problemi: penso al glifosato, ai metalli e ad altro ancora. Ma eliminare, con questo semplice accorgimento, il pane fatto con farine che contengono micotossine è già un grande passo avanti”.
Una curiosità: il grano e i cereali vengono anche utilizzati in zootecnia per l’alimentazione degli animali…
“La sua domanda apre uno scenario molto ampio. Certo, i cereali vengono utilizzati anche per l’alimentazione del bestiame”.
Questo significa che ci potrebbero essere problemi anche per la catena alimentare?
“Certo, però con una gradualità diversa. E con diversità di problemi tra Sud e Centro Nord Italia”.
Cioè?
“Nel Centro Nord Italia – con riferimento al latte – hanno un problema in più. Lì si utilizza il mais, che potrebbe contenere l’aflatossina, che è la più pericolosa per la salute umana”.
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