Per fronteggiare una pesantissima crisi servirebbe, subito, la dichiarazione dello stato di crisi del settore. Passaggio indispensabile per mettere gli agricoltori al riparo gli agricoltori dalle speculazioni delle multinazionali. Ma, inspiegabilmente, né il Governo nazionale, né il Governo regionale fanno qualcosa. La manifestazione di oggi a Palermo. E le manifestazioni in Molise, in Basilicata e in Puglia. Il problema dei grani duri siciliani. Ma anche le possibili soluzioni. Aggiornamenti: gli impegni assunti dall’assessore regionale all’Agricoltura, Antonello Cracolici
Alla fine non poteva che arrivare il giorno della grande protesta. Ed è anche logico: per pareggiare i costi di produzione gli agricoltori italiani debbono vendere il proprio grano a circa 24 centesimi di Euro al chilogrammo. Con l’aggiunta dell’integrazione dell’Unione Europea, quanto meno non ci perdono. Se il prezzo va giù, come sta avvenendo quest’anno – con il prezzo che oscilla tra 14 e 18 centesimi di Euro – i produttori di grano lavorano in perdita. Da qui la manifestazione di stamattina promessa dalla Coldiretti. Con mobilitazione in Sicilia, in Molise, in Basilicata e in Puglia.
In Sicilia l’appuntamento è a Palermo, in Piazza Castelnuovo (Piazza Politeama). Poi il corteo si sposterà in Piazza Indipendenza, davanti Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione siciliana.
La crisi del settore è generale e riguarda sia il grano duro – coltura tipica del Mezzogiorno d’Italia – sia il grano tenero, che si coltiva invece nel Centro Nord Italia. Quello che succede nel mondo dei granicoltori italiani lo abbiamo già raccontato, in parte, nei giorni scorsi (come potete leggere qui).
Quella del grano italiano è una crisi che viene da lontano. Sullo sfondo c’è l’andamento del mercato internazionale e, in particolare, del Chicago Board of Trade, che è il più importante mercato del mondo. Dietro il crollo del prezzo del grano – sceso ai livelli di trent’anni fa – ci sono, con molta probabilità, gli interessi delle multinazionali. Per esempio, la pressione per accaparrarsi i terreni italiani (con particolare riferimento a quelli pugliesi e siciliani).
Ma ciò che lascia perplessi è la pressoché totale mancanza di strategia del Governo nazionale del nostro Paese e delle Regioni.
Tanto per cominciare, le Regioni potrebbero chiedere al Governo nazionale la dichiarazione dello Stato di crisi. Ciò allenterebbe le pressioni speculative sui produttori di grano. Insomma, stop alla pressione dell’Agenzia delle Entrate sugli agricoltori. Perché, quando la crisi morde, è proprio la pressione delle tasse e, in generale, l’ansia dei pagamenti a costringere gli agricoltori a trovare, in un modo o nell’altro, i soldi: magari vendendo una parte dei propri terreni. Che, poi, come abbiamo visto, è l’obiettivo degli speculatori.
Sotto questo profilo l’esempio della Sicilia è emblematico. Sicilia e Puglia, insieme, producono oltre il 42% del grano duro italiano. Non conosciamo la situazione della Puglia, se non per grandi linee. Ma conosciamo, bene o male, lo scenario granicolo siciliano. E non riusciamo a capire cosa aspetta il Governo regionale a chiedere la dichiarazione dello stato di crisi.
La crisi del grano duro siciliano ha radici antiche. C’è – e questo l’abbiamo già segnalato – l’andamento del mercato internazionale. Ma con un po’ di organizzazione ci si può difendere e si possono difendere i produttori di grano della Sicilia.
La Sicilia, negli ultimi anni, ha avuto a disposizione un sacco di soldi per rilanciare l’agricoltura. Ci riferiamo al PSR, sigla che sta per Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 (2,2 miliardi messi a disposizione dall’Unione Europea), fondi che passano dalla Regione siciliana. Più altri 3 miliardi circa 3 miliardi di fondi FEASR, meglio noti come fondi ‘PAC o ‘AGEA’, che arrivano agli agricoltori direttamente dalla Commissione Europea come sostegno al reddito senza passare dalla Regione.
Ebbene: che fine hanno fatto questi soldi? Sarebbe interessante capire come la Regione ha speso 2,2 del PSR e quanti dei 3 miliardi del FEASR sono finiti nella nostra Isola. Per capire, alla fine, quante di queste risorse sono state utilizzate per il grano duro siciliano, che è la coltura più estesa della nostra Isola.
Se andiamo a scavare ci accorgiamo che la ‘filosofia’ che sta dietro questo enorme flusso di fondi (ai quali dobbiamo aggiungere e gli oltre 2 miliardi di Euro del PSR 2014-2020) è deteriore: questi fondi servono alla politica che li utilizza per fini assistenziali e, soprattutto, per fini clientelari.
Il fine ultimo di questo flusso finanziario non è il rilancio dell’agricoltura siciliana, ma la ‘fabbrica del consenso’ per i partiti che governano.
Fatti salvi gli interventi di assistenza (o meglio, di assistenzialismo), il resto delle risorse va ad alimentare un mondo opaco, totalmente privo di chiarezza. Con la scusa che i pagamenti vengono effettuati dall’AGEA (Agenzia nazionale) non c’è verso di capire come vengono spesi questi soldi.
Tra ‘giovani agricoltori’ e ‘agricoltura biologica’, quello che succede in Sicilia lo sa solo Nostro Signore Iddio.
Il risultato è che la cerealicoltura è praticamente abbandonata. Con responsabilità che riguardano sia le istituzioni, sia gli stessi agricoltori, non sempre disposti alle innovazioni (e quando lo sono, come nel caso del recupero dei grani antichi della Sicilia, vengono lasciati soli dalle istituzioni, Regione in testa).
Non raccontare la verità non serve. Oggi, rispetto al grano duro canadese, il grano duro siciliano è perdente. Contiene meno glutine, sostanza proteica che conferisce alla pasta la tenuta durante la cottura. Negli anni ’60 e ’70 del secolo passato la produzione di grano duro, in Sicilia, si attestava intorno a 16-20 quintali per ettaro (quando andava bene). Piano piano si è passati a cultivar in grado di produrre 30, poi 35, poi 40, poi 50, fino a 60 quintali di grano duro per ettaro.
Ma a un certo punto – grosso modo dai primi anni ’90 in poi – la ricerca e l’innovazione, che pure avevano avuto un ruolo importante negli anni precedenti, si è bloccata. Sarebbe stato necessario unire all’aumento della produttività delle cultivar anche un miglioramento della qualità dei grani duri.
Ma l’aumento della qualità, nei grani duri siciliani, non c’è stata. Il risultato, l’abbiamo accennato, sono i grani duri con basso tenore di glutine.
Qualcuno fa osservare che in Puglia la qualità dei grani duri è superiore a quella dei grani duri siciliani: ma questo non sta preservano i granicoltori pugliesi dalla crisi, tant’è vero che anche loro, oggi, scendono in piazza.
Crisi senza soluzione, allora? Nient’affatto. Basterebbe un po’ di organizzazione. Intanto un marchio del grano duro siciliano che, nel complesso, resta tra i migliori del mondo. Questo perché in Sicilia, quando il grano si raccoglie e si conserva, c’è un caldo secco: e con il caldo secco non ci sono problemi di aflatossine, che sono muffe o funghi altamente tossici.
Tra l’altro, non è affatto vero che la pasta prodotta con il grano siciliano non è buona. Basterebbe spiegare ai consumatori siciliani che la pasta ‘industriale’ (prodotta delle multinazionali) tiene sì meglio la cottura, ma non è esente da aflatossine, che sono sostanze deleterie per la salute umana (sono tra le sostanze più cancerogene esistenti!).
Oltre a spingere per il consumo interno di pasta fatta con il grano duro siciliano, la stessa Regione, attraverso le facoltà di Agraria dell’Isola, dovrebbe spingere per il miglioramento genetico dei grani duri siciliani. Facendo anche chiarezza sul recupero dei grani antichi della nostra Isola, che oggi fanno gola a tanti speculatori. Pensare che si possa guadagnare con i grani antichi senza un sostegno, quando i grani duri antichi producono meno della metà delle altre cultivar, è un’illusione.
Insomma, la Tumminia – tanto per citare un esempio, ma ce ne sarebbero altri, di grani antichi siciliani da valorizzare – non può avere lo stesso prezzo di altri grani duri. Deve essere pagato ad un prezzo più alto, per consentire agli agricoltori di trovare conveniente la produzione.
Ma per realizzare questi obiettivi serve la politica. La vera politica. E serve anche una burocrazia preparata. Senza queste due condizioni è inutile pensare al rilancio di questo settore.
Aggiornamento:
I provvedimenti annunciati dall’assessore regionale all’Agricoltura, Antonello Cracolici
“Mercoledì verrà presentata in giunta una proposta di risoluzione con la quale il governo regionale si impegna a sostenere nei tavoli nazionali e comunitari le proposte avanzate dalla Coldiretti, assieme ad altri interventi di supporto al comparto predisposti dall’assessorato regionale Agricoltura, mentre è stato già convocato per giovedì prossimo alle 12 il primo tavolo tecnico sulla cerealicoltura siciliana”
Lo ha detto l’assessore regionale all’Agricoltura, Antonello Cracolici, durante la manifestazione di Coldiretti a Palazzo d’Orleans contro il crollo del prezzo del grano.
“La mozione che presenteremo in giunta – si legge sempre nel comunicato diramato dall’assessore – impegnerà il governo a sostenere azioni a difesa della tracciabilità di origine dei prodotti trasformati dal grano e sul superamento dell’attuale regime comunitario che prevede l’importazione a dazio zero di alcuni prodotti della filiera agroalimentare che favoriscono la concorrenza sleale.. Sicilia, Puglia a Marche sono le regioni a più alto volume di produzione del grano duro. Nella risoluzione il governo regionale darà valore alle azioni già assunte sia con la ristrutturazione delle passività agrarie che, dall’1 agosto a 31 ottobre, consentirà a tutte le imprese agricole di poter rinegoziare i debiti con le banche e di rinnovare i mutui per i prossimi dieci anni con interessi a carico della Regione”.
“Così come la Regione siciliana – aggiunge Cracolici – ha chiesto ed ottenuto dalla Commissione Politiche Agricole l’incremento del capitolo relativo ai pagamenti diretti della PAC per il sostegno accoppiato che permetterà al settore del grano duro di avere 8 milioni di euro in più e che consentirà il trasferimento diretto ai produttori di grano di circa 70 milioni di euro – aggiunge l’assessore regionale all’Agricoltura. Il Governo regionale inoltre ha istituito in questi giorni il tavolo tecnico per procedere alla registrazione dei grani antichi che costituiscono una straordinaria opportunità di valorizzazione della biodiversità siciliana al fine di dare valore ad un prodotto autoctono 100% siciliano”.
“Con le misure del PSR 4.1 e 4.2 verranno favoriti investimenti per realizzazione di impianti per lo stoccaggio e la trasformazione dei grani prodotti in Sicilia. Nella nuova programmazione agricola sono stati inseriti anche criteri di premialità per l’aggregazione tra i produttori: negli investimenti condivisi promossi da più aziende agricole sono previsti incentivi per la quota di contributo a fondo perduto che sarà del 70%, invece che del 50% come nella maggior parte delle misure. Un ulteriore impegno che il governo della Regione siciliana intende portare avanti è quello di valorizzare nell’ambito dell’alimentazione delle mense scolastiche e ospedaliere i prodotti a km 100: ovvero i prodotti realizzati e trasformati nei luoghi più vicini ai siti di distribuzione”.
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