Ce lo chiediamo perché, nel Novembre del 2014, abbiamo intervistato l’ex dirigente generale della Regione, dipartimento Agricoltura, Cosimo Gioia, che ci ha raccontato la sua disavventura: la disavventura di un dirigente che ha cercato di fare chiarezza sulla salubrità dei grani che arrivano in Sicilia con le navi ed è stato bloccato dai potenti e dagli ‘ascari’ della politica siciliana. Breve digressione sui grani ‘biologici’ della nostra Isola e, in generale, sull’agricoltura ‘biologica’…
Il Fatto quotidiano di oggi pubblica un articolo dal titolo: “Ravenna, diossina nel grano per gli allevamenti: fermate 20 mila tonnellate” (che potete leggere qui). Subito il nostro pensiero è volato al porto di Palermo e, in generale, ai grani che invadono la Sicilia. Ci siamo ricordati di Cosimo Gioia, già dirigente generale della Regione siciliana, dipartimento Agricoltura. E di un’intervista che chi scrive ha pubblicato nel Novembre del 2014.
In questa intervista si parla dei grani siciliani e dei controlli, anzi, dei mancati controlli sui grani che arrivano in Sicilia con le navi.
Rileggiamo assieme alcuni passi di questa intervista a Cosimo Gioia:
“Quando mi sono insediato all’assessorato regionale all’Agricoltura ho appurato che i pastifici siciliani che utilizzavano il grano duro siciliano si contavano sulla punta delle dita, compresa la Tomasello. E che la stragrande maggioranza del grano arrivava, e arriva ancora oggi, con le navi. Così ho disposto i controlli sanitari del grano che arriva in Sicilia con le navi. Ho accertato che erano e sono navi assolutamente inadeguate, magari ex petroliere, che trasportano granaglie provenienti da Paesi dove sono state trattate con fitofarmaci pesanti, cioè veleni, fino a prima della raccolta. Grano pieno di micotossine. Grano che arrivava e arriva anche da Cernobyl”.
E che è successo?
“Di tutto. Perché questi controlli nell’interesse degli ignari consumatori siciliani che mangiano pane e pasta fatti con grano arrivato da chissà dove non si dovevano attuare. Non bisognava disturbare i due-tre grandi importatori che comandano il prezzo del grano in Sicilia. Sarebbe stato semplice affrontare e risolvere il problema, ma non si è voluto. Avevo pronto il progetto per il marchio del grano duro siciliano. I pastifici siciliani erano d’accordo. Tutti d’accordo, tranne la politica siciliana”.
In che senso?
“Nel senso che mi hanno sbattuto fuori. Hanno vinto i due-tre grandi commercianti che oggi continuano a controllare il mercato del grano in Sicilia”.
E il presidente Lombardo?
“Mi dava ragione. Mi assecondava. Poi, però, mi ha tolto l’incarico”.
Solita storia. Oggi?
“Ancora oggi in Sicilia arrivano le solite navi con il solito grano e i siciliani mangiano. E oggi che, anche grazie alla crisi Ucraina, il prezzo del grano duro siciliano è schizzato a 40 centesimi e forse più, cosa fanno i politici siciliani? Sono preoccupati. Hanno ragione: per loro se gli agricoltori siciliani ci guadagnano è un problema. Forse perché li debbono tenere al cappio. Sono incredibili, gli attuali politici siciliani. Invece di pensare a un marchio del grano duro siciliano, invece di favorire la produzione di pasta e pane con grano duro della nostra terra utilizzando al meglio questa congiuntura internazionale favorevole, si lamentano che il prezzo è alto. Incredibile. Se fossero stati un po’ attenti, seguendo magari Report, saprebbero che già alcuni mesi fa la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli aveva previsto che il prezzo del grano sarebbe schizzato a 50 centesimi al chilogrammo. Questo sempre per rispondere a certi politici siciliani”.
Ma del suo progetto per controllare la salubrità delle navi cariche di grano che arrivano in Sicilia e del marchio del grano duro siciliano i suoi successori, Salvatore Barbagallo e Dario Cartabellotta, hanno fatto qualcosa?
“Lo chieda a loro”.
Fin qui l’intervista del Novembre 2014. E oggi? Abbiamo rintracciato al telefono Cosimo Gioia che, sempre gentile, ha risposto alle nostre domande.
E’ cambiato qualcosa rispetto a due anni fa?
“Non mi sembra proprio. Io stavo avviando una serie di controlli scientifici sulle navi cariche di grano che arrivano in Sicilia. E l’ho fatto rischiando di persona, perché ho toccato interessi consolidati. Ma, come ho già raccontato qualche anno fa, sono stato bloccato”.
Quindi in Sicilia continuiamo ad arrivare grani senza controlli?
“Credo proprio di sì”.
E il grano siciliano che fine fa?
“Il grano siciliano è tra i migliori al mondo sotto il profilo della qualità. E’ uno dei pochi grani nei quali le aflatossine sono praticamente non rintracciabili”.
Che significa?
“Le aflatossine sono sostanze tossiche prodotte dai funghi che si sviluppano nel grano. In Sicilia, dove ad Aprile, a Maggio e a Giugno il sole spacca le pietre, questi funghi non trovano le condizioni climatiche per svilupparsi”.
E che fine fanno i grani siciliani?
“A parte il prodotto che viene commercializzato qui in Sicilia – e parliamo di quantitativi minimi – la maggior parte del grano prodotto nelle contrade siciliane prende la via dell’estero”.
E a noi siciliani rifilano il pane fatto con i grani che arrivano con le navi…
“Purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi è così. Io, da dirigente generale della Regione siciliana, ho provato a cambiare le cose, nell’interesse dei consumatori siciliani. Ma sono stato travolto da grandi interessi e, soprattutto, dall’ascarismo della politica siciliana”.
Visto che lei è un tecnico e che nella vita fa l’imprenditore agricolo possiamo fare chiarezza sui grani biologici prodotti in Sicilia? A noi ‘sta storia dei grani biologici convince poco.
“E convince poco anche me. Come ho già detto, ci sono periodi dell’anno in cui il grano siciliano cresce senza problemi. Ma a Marzo, quando si pone il problema delle malerbe, si deve intervenire”.
E come si interviene?
“Con gli erbicidi”.
Cioè con i prodotti chimici?
“Certo. A meno che non si decida di eliminare le malerbe manualmente. Ma con costi di produzione elevatissimi”.
Mai lei cosa pensa del grande boom dell’agricoltura biologica siciliana?
“Passiamo alla domanda di riserva”.
P.S.
In effetti, da almeno sei-sette anni chi scrive si chiede: ma che fine fa tutta la produzione agricola ‘biologica’ della Sicilia che dovrebbe giustificare i 320 milioni di Euro di contributi del Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013?
(Parliamo dei fondi in parte già erogati – 180 milioni di Euro – e in parte ancora da erogare (altri 140 milioni di Euro): risorse a rischio dopo un pronunciamento del TAR Sicilia per il quale non è stato inoltrato ricorso al CGA, da parte della Regione, nei termini di legge.
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